Alimentazione & Benessere ​Dott. Ignazio Madonia
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Dieta per la diverticolosi

12/11/2010

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La diverticolosi del colon è una condizione comune che affligge circa il 50% della popolazione occidentale entro i 60 anni e quasi tutti all’età di 80 anni. Solo una piccola percentuale di persone che hanno diverticolosi presentano sintomi, e soltanto per alcuni sarà necessario un intervento.
I diverticoli sono tasche che si sviluppano nelle pareti del colon, di solito nel sigma, o nel colon sinistro, ma possono interessare anche tutto il colon. La diverticolosi descrive la presenza di queste tasche. La diverticolite rappresenta l’infiammazione o le complicazioni di queste tasche.
I principali sintomi della malattia diverticolare sono: dolore addominale (solitamente nel quadrante addominale inferiore sinistro), diarrea, spasmo colico, variazione dell' alvo ed occasionalmente una severa emorragia rettale. Questi sintomi compaiono in una piccola percentuale di pazienti con questa condizione e talvolta sono difficili da differenziare dai pazienti affetti da sindrome da colon irritabile.
La diverticolite - un’infezione del diverticolo - potrebbe causare uno o più dei seguenti sintomi: dolore, brividi, febbre, alterazione dell’alvo. Una sintomatologia più importante è presente nelle complicazioni più gravi come la perforazione con accesso o formazione di una fistola.
Indicazioni fanno presupporre che una dieta povera di fibre, attuata per molti anni causa un aumento della pressione nel colon che porta alla diverticolosi.
La diverticolosi e la malattia diverticolare, solitamente, vengono opportunamente trattate con una dieta adeguata, e alcune volte con medicine che aiutano a controllare il dolore, lo spasmo colico e le variazioni dell’alvo. Aumentando il contenuto di fibre nella dieta (cereali, legumi, verdure, etc.) - e qualche volta riducendo alcuni alimenti - si riduce la pressione nel colon e queste complicazioni si manifestano più raramente. Molto utili si rivelano alcune sostanze idrofile, capaci di aumentare la massa fecale e di ridurre in questo modo la pressione all'interno del lume intestinale (per esempio lo psyllium, nomi commerciali: Psylloplus, Fybogel, Metamucil, etc.).
La diverticolite richiede una gestione più accurata. Casi moderati possono essere controllati senza ricovero in ospedale; questa decisione deve essere presa dal medico curante. Il trattamento consiste in antibiotici presi per via orale, restrizioni nella dieta e il possibile uso di prodotti che rendano le feci più morbide. Casi più gravi necessitano del ricovero ospedaliero, gli antibiotici verranno somministrati via endovenosa e la dieta sarà limitata. La maggior parte degli attacchi acuti possono essere risolti in questo modo. Il trattamento chirurgico viene riservato ai pazienti con attacchi ripetuti, casi severi o complicati e quando si avverte una debole riposta o, addirittura, nessun miglioramento dopo la terapia medica.

Cibi da evitare:

Formaggi e salumi grassi, cibi piccanti e/o elaborati (fritti), Bevande gassate e alcolici, Dolci elaborati.

La dieta dovrebbe apportare circa 20 gr. di fibre al giorno per ogni 1000 Kcal assunte. (indicazione OMS).

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Dieta per chi soffre di ulcera

12/11/2010

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I due tipi di ulcera

L'ulcera può colpire due organi: lo stomaco (ulcera gastrica) o il duodeno (ulcera duodenale). I sintomi più frequenti sono l'acidità, il bruciore, il dolore. Generalmente nell'ulcera gastrica il dolore insorge subito dopo il pasto, mentre in quella duodenale 3-4 ore dopo il pasto, quando cioè lo stomaco è vuoto, tanto da essere chiamato proprio "dolore da fame".Una dieta appropriata è di grande importanza nella cura di questa malattia, soprattutto se accompagnata da una terapia a base di farmaci, che oggi sulla base di nuove acquisizioni scientifiche risultano molto efficaci.

Il latte non è più un toccasana

Recentemente la scienza ha decretato la falsità di alcune credenze popolari secondo cui, per esempio, il latte è un valido antiulcera e le spezie, invece, la aggravano. E' vero tutto il contrario.
Il latte, pur avendo un effetto di sollievo immediato del dolore dell'ulcera, la aggrava poiché stimola la produzione di un ormone, la gastrina, che scatena la produzione di acido nello stomaco.
Al contrario, le spezie come il peperoncino, ritenute un tempo molto pericolose per l'ulcera, si sono rivelate un aiuto per combatterla, grazie al contenuto in capsaicina, una sostanza che migliora la circolazione sanguigna nello stomaco. Naturalmente chi non tollera questo tipo di spezie farebbe bene a rinunciarvi e adottare altri rimedi antiulcera.

I cibi che fanno bene

Le ultime ricerche scientifiche hanno poi evidenziato che la natura ci mette a disposizione due armi potenti per alleviare l'ulcera: la banana e il cavolo. La banana stimola la produzione di cellule che ispessiscono la parete dello stomaco, cicatrizzando le ferite dell'ulcera. I cavoli, invece, contengono un'altra sostanza, il gefarnato, usato da tempo come base di farmaci antiulcera. Questo composto ha il potere di rinforzare la mucosa dello stomaco proteggendola dagli attacchi degli acidi; sembra inoltre che il cavolo abbia proprietà antibiotiche, specie nei confronti dell' Helicobacter pylori, il batterio ormai ritenuto la causa principale delle ulcere. Una curiosa ricerca compiuta negli Stati Uniti sui detenuti del penitenziario di San Quintino ha dimostrato che l'ulcera gastrica si era cicatrizzata nel 93% dei casi fra quanti sono stati invitati a consumare cavoli quotidianamente. Infine, anche l'umile aglio sembra avere potere curativo per questa malattia. Non guarisce l'ulcera ma riduce l'effetto delle sostanze irritanti.

Gli alimenti sconsigliati

Alcolici (specie la birra) soprattutto a digiuno, bevande gassate, specie se a base di cola, brodi di carne, salumi, fritture, frutta acida come le arance e i limoni, pesci fritti o sott'olio, pane caldo. Particolare attenzione va poi fatta a quegli alimenti contenenti particelle che possono fissarsi su una lesione ulcerosa, come la crusca o i semini di frutta come kiwi, more, fichi, lamponi.

La liquirizia aiuta

La liquirizia tradizionale si è rivelata recentemente una potente arma antiulcera. Ricercatori svedesi e americani hanno infatti osservato che la radice di liquirizia ha la proprietà di ridurre l'acidità dello stomaco, di favorire la formazione di mucosa gastrica e l'attività di autoriparazione di quest'organo. Chi soffre di pressione alta e le donne in gravidanza devono tuttavia fare attenzione a non abusare di questo alimento: è scientificamente dimostrato, infatti, che la liquirizia alza la pressione e favorisce la ritenzione di liquidi nell'organismo.

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Alimentazione e gastrite

12/11/2010

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Cos'è la gastrite

La gastrite è una infiammazione della parete dello stomaco che può iniziare proprio a tavola, e per due motivi: o a causa di un'alimentazione poco corretta o a causa di frequenti stati di tensione emotiva e di stress durante i pasti. Altre cause sono l'uso indiscriminato di farmaci come aspirina, cortisonici e diuretici senza il controllo del medico; l'abuso di alcolici o l'intossicazione con cibi guasti.

I due tipi di gastrite

Se la tavola è spesso fonte di gastrite, ne è però anche la cura principale. Non esiste però una dieta unica per tutti i casi. Se la gastrite è di tipo "acido o ipersecretivo" cioè con il succo gastrico più acido del normale, la dieta deve essere a base di latte, uova, formaggi freschi con condimenti quali il burro e l'olio d'oliva crudi. Bisogna poi evitare le carni arrosto, il brodo, gli estratti di carne, l'alcol e alcuni tipi di frutta come arance, mandarini, uva, che stimolano eccessivamente la secrezione gastrica.
Al contrario, nei casi di gastrite "iposecretiva" cioè quando il succo gastrico è meno acido, la dieta deve essere ricca di carboidrati e povera di grassi. Quindi, bisogna mettere in tavola frequentemente pasta, riso, cereali in genere, evitando i fritti e le carni grasse di bovino o di maiale, i cibi affumicati e conservati. E’ necessario anche porre una particolare attenzione alla preparazione dei cibi cercando di affaticare lo stomaco il meno possibile: per esempio la carne andrà accuratamente tritata o addirittura omogeneizzata. Le verdure vanno bollite e, se necessario, triturate. Il pane deve essere sempre ben cotto, addirittura quasi biscottato.

Regole generali

In generale, per ogni tipo di gastrite, è necessario evitare i cibi che irritano la mucosa gastrica, soprattutto quelli troppo freddi o troppo caldi. Bisogna inoltre ridurre o meglio evitare caffè, tè, spezie e cipolle crude, che contengono sostanze in grado di rilasciare il muscolo che chiude la bocca dello stomaco, favorendo quindi il reflusso gastro-esofageo, anch’esso causa di una sensazione di bruciore all’apparato digerente. E’ importante anche fare pasti piccoli e frequenti. Al contrario, mangiare troppo e velocemente sovraccarica lo stomaco rendendo più frequenti gli attacchi di gastrite. Anche il fumo deve essere limitato il più possibile. Un errore da non commettere è infine quello di mettersi sdraiati dopo aver mangiato, poiché la posizione distesa favorisce il reflusso del cibo nell’esofago, causando bruciore. Bisognerebbe aspettare almeno tre ore dopo i pasti per andare a coricarsi.

Cosa fare se c'è un attacco

In caso di un attacco acuto di gastrite è necessario sospendere i cibi solidi per almeno ventiquattro ore, sostituendoli con una dieta liquida a base di succhi di frutta, tè leggero e brodi vegetali leggeri; si ricomincerà gradualmente a mangiare gli alimenti solidi con riso bollito, carni bianche e latticini freschi.
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Dieta per chi soffre di fegato

12/11/2010

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Cosa fa il fegato

Il fegato è il principale laboratorio chimico del corpo umano ed è quello che più degli altri organi deve il suo stato di salute all'alimentazione.
I cibi che aiutano più di ogni altro il buon funzionamento del fegato sono i carboidrati, cioè pane, pasta, riso, zucchero, miele. Questi concorrono alla formazione del glicogeno epatico, sostanza che favorisce le importanti funzioni di quest'organo. Il fegato ha comunque bisogno di tutte le sostanze presenti negli alimenti per lavorare bene.
Un'alimentazione corretta permette anche di risolvere quei lievi disturbi che ogni tanto possono presentarsi, come svogliatezza, bocca amara, sonnolenza dopo i pasti.
La raccomandazione principale è mangiare con regolarità; possibilmente in pasti piccoli suddivisi nella giornata; bisogna evitare quindi di digiunare per molte ore durante il giorno e rimpinzarsi la sera a cena.

Le uova non fanno male ?

Da chiarire una volta per tutte è poi il problema delle uova: queste non fanno male al fegato, ma piuttosto a chi soffre di calcoli alla colecisti (cistifellea), poiché l'uovo fa contrarre la cistifellea acuendo i disturbi.
Al fegato, invece, le uova fanno solo bene, in quanto contengono sostanze utili per il buon funzionamento delle cellule epatiche, come la metionina e la colina, due amminoacidi. Quindi se cotte alla coque o bollite possono essere tranquillamente consumate da due a quattro alla settimana. Evitare invece le uova fritte, poiché i grassi della frittura sovraccaricano il fegato.

L'alcol non solo nuoce, ma fa ingrassare

Non dimentichiamo infine che l'alcol in dosi eccessive è il principale imputato delle malattie epatiche. La gran parte dell'alcol assorbito arriva infatti al fegato e la sua trasformazione ha luogo principalmente in quest'organo. Inoltre l'alto contenuto di calorie dell'alcol non comporta soltanto lesioni al fegato, ma lo induce ad accumulare le calorie in eccesso sotto forma di grassi.

Le donne devono stare più attente al bicchiere

Queste precauzioni andrebbero raddoppiate nel caso delle donne. Il sesso femminile, infatti, ha una minore quantità dell'enzima che trasforma l'alcol, detto alcooldeidrogenasi, col risultato di mantenere l'alcol più a lungo in circolo nell'organismo. E' anche questo il motivo per cui, a parità di dosi, una donna regge meno bene l'alcol rispetto a un uomo.
Se proprio si vuole bere qualcosa prima di andare a dormire l'ideale è un bicchiere di latte con zucchero o un succo di frutta.

Un aiuto dalle vitamine

I disturbi di fegato possono essere alleviati anche consumando di più i cibi ricchi di due tipi di vitamine, la B12 e la K. La prima si trova in fegato, aringhe, carne, latte, formaggi e uova. La seconda viene in parte fabbricata nell'organismo e in parte può essere assunta con cibi quali spinaci, cavoli, pomodoro, fragole, carne bovina.

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Dieta per la menopausa

12/11/2010

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Perché si aumenta di peso

Lo squilibrio ormonale che si verifica durante la menopausa porta in genere un aumento di peso, dovuto al rallentamento del metabolismo anche se si continua a mangiare come sempre.
Attenzione quindi alle calorie, ma senza far mancare all'organismo le sostanze che in questo momento sono indispensabili: il calcio e la vitamina D, che contribuiscono a irrobustire le ossa, ora a rischio di osteoporosi.


Il calcio, un amico contro l'osteoporosi

In menopausa, la quantità necessaria di calcio per mantenerne un buon livello nell'organismo, è intorno ai 1500 mg (milligrammi) al giorno.
Sì allora ai cibi ricchi di calcio come il latte, lo yogurt e i formaggi, scegliendo sempre tra quelli più magri, ma non dimenticando che anche alcune verdure hanno un discreto apporto di calcio senza però gravare molto sul bilancio calorico. Sono: broccoli, cavolfiori, carciofi, cicoria, indivia e radicchio verde. Con le verdure, ricordate inoltre di preparare anche minestre, dato che i sali minerali si concentrano nell'acqua di cottura.
Tra i pesci e i molluschi, sono poi particolarmente ricchi di calcio le ostriche, i mitili e i calamari. Anche le acque minerali ricche di calcio possono aiutare. Per scegliere quelle giuste, basta leggere l'etichetta e osservare il contenuto di ioni di calcio.


I cibi che ostacolano l'assorbimento di calcio

Attenzione però ad alcuni alimenti che invece ostacolano l'assorbimento di calcio. Sono gli ossalati (contenuti negli spinaci, tè, asparagi e piselli), i fitati (contenuti nei cereali, legumi e vegetali), il sodio (sale, insaccati, alimenti conservati in genere). Basti pensare che con ogni grammo di sodio consumato si perdono 26 mg di calcio.
Anche il caffè ha l'effetto di ridurre la disponibilità di calcio nell'organismo, quindi è preferibile non consumarne più di due tazzine al giorno.


I cibi che aiutano a fissare il calcio

Il calcio assorbito con i cibi, viene fissato nell'organismo da un altro minerale, il magnesio, contenuto nelle noci, nelle mandorle, nelle verdure a foglia verde, nelle barbabietole e nel chicco di grano non macinato. Ma anche il fosforo non deve mancare ed è presente in molti pesci, specie lo stoccafisso e il cefalo, nei cereali, nel fegato. Un ruolo simile è svolto anche dalle vitamine A ed E.

Come alimentarsi in menopausa

Ecco un esempio di dieta da seguire:
Colazione: uno yogurt magro con cereali
Metà mattina: una fetta di ananas
Pranzo: penne ai quattro formaggi, verdura mista, frutta fresca.
Metà pomeriggio: una spremuta di frutta
Cena: salmone bollito con patate, insalata, pane integrale, un frutto.


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Dieta contro la cistite

12/11/2010

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Cos'è la cistite

La cistite è l'infiammazione della vescica, e si manifesta con una sensazione di bruciore quando si fa la pipì, un aumento della frequenza e dell'urgenza di andare a urinare. Causa di questo fastidio, che può durare anche per anni, sia pure a intervalli, sono i batteri Escherichia coli, che normalmente colonizzano l'intestino, e che possono migrare nelle vie urinarie attaccandosi alle pareti della vescica e moltiplicandosi rapidamente.

Chi ne viene colpito

Dopo il raffreddore, la cistite è il disturbo più comune che colpisce le donne. Il 20-30 per cento delle italiane ne è colpito almeno una volta l'anno.
La cistite colpisce le donne dall'inizio della loro attività sessuale, aumenta durante la gravidanza e continua ad aumentare dopo la menopausa.

Come si cura

Per curare la cistite bisogna ricorrere agli antibiotici, ma una alimentazione adatta può essere di grande aiuto poiché molti cibi combattono la diffusione di questi batteri nella vescica, riducendo così il rischio di ricadute.

I benefici del mirtillo

Da tempo il rimedio alimentare più diffuso nella medicina popolare è il succo di mirtillo. Oltre che sotto forma di succo, il mirtillo può essere consumato come frutta, con un po' di succo di limone e mezzo cucchiaino di zucchero, o a prima colazione, mescolato con lo yogurt.
Le virtù del mirtillo hanno trovato oggi una spiegazione scientifica: i mirtilli hanno dei composti unici, derivati dal tannino, che impediscono ai batteri di colonizzare le cellule che rivestono l'uretra e la vescica.
Per mantenere una difesa efficace contro i batteri è sufficiente anche mezzo bicchiere al giorno di succo di mirtillo (da diluire con acqua), per sette settimane. Il mirtillo è una bacca dotata di molte altre virtù. Particolarmente povero di calorie (25 per 100 grammi), è ricco di fibra (3.1 grammi per etto), di potassio (160 milligrammi) di vitamina C (15 milligrammi) e vitamina A (13 microgrammi), calcio e fosforo. Un vero cocktail di vitamine e sali minerali utilissimi.

Bere molta acqua

Per combattere efficacemente la cistite bisogna anche bere molti liquidi, iniziando con due bicchieri di acqua non gassata appena sveglie e continuando poi per tutta la giornata fino a raggiungere i due litri d'acqua nelle 24 ore. I liquidi servono a diluire i batteri nell'urina, favorendo la loro eliminazione con le urine.

Quali cibi evitare

Esistono anche alcuni cibi che è meglio evitare, poiché possono rendere l'urina troppo acida. In un ambiente acido, infatti, i batteri Escherichia coli possono proliferare più velocemente. I cibi che rendono acida l'urina sono cipolle, formaggi stagionati, cioccolato, fave, pomodori e soia, compresi gli alimenti ottenuti con questo legume, come il formaggio tofu.

Quali cibi consumare di più

Un aiuto contro la cistite arriva anche dallo yogurt, perché sovente questa infiammazione si accompagna ad aumento della candida, il lievito che colonizza la vagina e che in presenza di cistite può proliferare più del normale aggravando la situazione. Lo yogurt invece permette di tenere bassi i livelli della candida.
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Diabete mellito

12/11/2010

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Il diabete è una condizione in cui il corpo non e in grado di produrre insulina a sufficienza. L'insulina è un ormone prodotto dal pancreas e circola nel sangue. Il nostro corpo necessita di zucchero (glucosio) per fornirci energia. Lo zucchero viene introdotto con il cibo (principalmente con i carboidrati). L'insulina consente di utilizzare lo zucchero, senza l'insulina lo zucchero non può essere utilizzato dal corpo e si accumula quindi nel sangue causando iperglicemia , aumentando in quantità elevate viene liberato dalle urine. Per produrre energia senza l'insulina l'organismo utilizza i grassi invece dello zucchero. Questa condizione viene definita diabete mellito. Attualmente il diabete mellito ha assunto importanza sociale per il progressivo aumento dell'incidenza della malattia. Ciò è legato anche ad un regime di vita che in seguito al benessere economico è sempre più sedentario ed ha favorito un'alimentazione eccessiva rispetto al fabbisogno  energetico. Solo negli Stati Uniti si è calcolato che ne sono affette 15 milioni di persone, in Italia quasi 2,5 milioni. Dal 1979 in poi la classificazione è basata in parte sull'eziologia (causa) in parte sulla terapia farmacologica utilizzata per il trattamento della malattia. In pratica esistono principalmente due principali forme di Diabete: il diabete di tipo 1 che colpisce una popolazione giovane, che necessita di insulina in quanto il pancreas non ne produce; il diabete di tipo 2 che colpisce una popolazione prevalentemente anziana, caratterizzata (spesso ma non sempre) da un eccesso di peso, trattata con antidiabetici orali e dieta, in alcuni casi è necessario un trattamento insulinico. Il Diabete di tipo 1 (o insulino-dipendente, IDDM ) è caratterizzato dalla distruzione delle cellule beta di Langerhans pancreatiche che producono insulina. Sono stati individuati più fattori che contribuiscono alla sua comparsa: fattori genetici, cioè ereditati nella nostra costituzione; fattori immunitari, cioè legati ad una particolare difesa del nostro organismo contro le infezioni;
fattori ambientali, che dipendono dall'azione contro il nostro organismo di batteri, virus, sostanze chimiche. I dati attualmente disponibili indicano che la distruzione delle cellule pancreatiche avviene in soggetti geneticamente suscettibili. Tale suscettibilità è sicuramente poligenica, cioè coinvolge più geni del codice genetico. La distruzione avviene per un meccanismo autoimmune. Un evento precipitante di natura ambientale (virus, tossine, ecc) inizia il processo autoimmune, cioè vengono formati anticorpi contro le cellule pancreatiche. Si dice che l'organismo ha perso la tolleranza immunitaria nei confronti delle cellule pancreatiche, produce quindi autoanticorpi, cioè cellule di "autodistruzione". Il Diabete di tipo 2 (diabete mellito non insulino-dipendente, NIDDM) è caratterizzato da una residua secrezione insulinica che però è inadeguata al fabbisogno dell'organismo; esiste inoltre una resistenza dei tessuti corporei all'azione dell'insulina ancora prodotta dal pancreas. In questo caso sono più importanti i fattori genetici, acquisiti ed ambientali. La predisposizione genetica necessita del concorso dei fattori acquisiti ed ambientali per manifestare la  malattia. Per fattori acquisiti si intende: età, dieta, sovrappeso e obesità, distribuzione centrale del grasso, dislipidemia, stress, farmaci, abuso di alcool, ridotta attività fisica, modernizzazione dello stile di vita, meccanizzazione, urbanizzazione. Quanto maggiore è la componente genetica tanto minore è l'esposizione ai fattori acquisiti necessaria ad esprimere lo stato di malattia. Il perdurare della esposizione di un individuo a questi fattori spiega  l'importanza dell'età. L'importanza dei fattori dietetici è dimostrata dal rapido aumento del numero di persone affette da Diabete di tipo 2 con la comparsa del benessere economico. Lo si osserva ad esempio nella migrazione di gruppi etnici da aree povere ad aree opulente (ricche). L'aumento dell'apporto calorico globale, insieme alla ridotta attività fisica, comporta obesità, dislipidemia (alterazione dei grassi, colesterolo e trigliceridi, nel sangue), insulino-resistenza. Forse anche l'eccesso di zuccheri semplici, proteine, grassi saturi, o la carenza di antiossidanti, vitamina E, ecc, possono essere responsabili di una alterazione della sensibilità all'insulina o della secrezione insulinica. L' importanza dell'obesità con l'incremento del grasso nell'ambito addominale è un fattore ben apprezzabile: ad esempio nel periodo postmenopausale, dove si assiste all'aumento della prevalenza  del diabete nel sesso femminile. Il Diabete di tipo 2 è molto diffuso e si calcola che fino al 3%  della popolazione ne sia affetto.
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Diabete gestazionale

12/11/2010

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Il diabete mellito in gravidanza si presenta in due forme diverse: il diabete comparso prima della gravidanza  ed il diabete che compare in corso di gravidanza.

Diabete comparso prima della gravidanza              

Fino agli anni 60’ la gravidanza in una donna diabetica era gravata da numerosi problemi che riguardavano sia il feto che la mamma. Dagli anni ’70 le cose sono cambiate radicalmente grazie alla ottimizzazione della terapia dietetica ed insulinica.
La creatura in gestazione dipende per il suo sviluppo dalle sostanze nutritive che provengono dal sangue della madre; la placenta rappresenta un filtro che consente il passaggio del nutrimento dal sangue materno a quello fetale, mentre non passano altre sostanze come l’insulina.  La presenza di glicemie materne elevate rappresenta per il figlio un’ipernutrizione forzata che si traduce in una produzione  eccessiva di insulina fetale e in  un eccessivo accrescimento del feto: la macrosomia fetale. Un neonato macrosomico pesa più di 4 Kg può raggiungere anche i 6-7 Kg e sembra più maturo di un neonato normale. L’iperglicemia, quando presente nelle prime settimane di vita dell’embrione, può causare un maggior numero di aborti spontanei e di malformazioni congenite se il diabete materno è trascurato. E’ necessario quindi ottenere un controllo metabolico perfetto sin dai primi giorni del concepimento utilizzando una dieta adeguata ed uno schema di terapia insulinica appropriata. E’ da evitare l’uso di antidiabetici orali, in quanto possono causare malformazioni sul prodotto del concepimento.
La gravidanza nella donna affetta da diabete deve essere programmata; le diabetiche in età fertile devono usare metodi contraccettivi sicuri tenendo presente che le pillole contraccettive disponibili attualmente possono essere utilizzate con discreta sicurezza.

Diabete comparso in corso di gravidanza

Difficilmente una donna non diabetica incinta si preoccupa dell’eventuale comparsa del diabete. Eppure sappiamo che la gravidanza può rappresentare una delle circostanze che possono far comparire il diabete in una donna predisposta.
Può trattarsi di diabete che si presenta nel corso della gravidanza oppure di quella forma comunemente chiamata diabete gestazionale che compare generalmente tra la 26° e 28° settimana di gestazione, presente nel 3% delle gravidanze. In questo caso il rischio di malformazioni fetali non è aumentato; può essere presente però macrosomia fetale che espone al rischio di un trauma al neonato al momento del parto.

Come individuare il diabete gestazionale?

Il test migliore nella maggior parte dei centri è il carico orale di glucosio; per ragioni pratiche ed economiche è stato proposto un test che consiste  nel misurare la glicemia 1 ora e  2 ore dopo l’assunzione di 75 grammi di glucosio anidro sciolti in 300 ml di acqua.
I valori soglia di concentrazione di glucosio devono essere a 1 hr 180 e a 2 hr 153.

Terapia del diabete gestazionale

E’ sempre consigliata una dieta di circa 1500-2000 calorie e l’autocontrollo glicemico a domicilio. La terapia con insulina è necessaria se nonostante la dieta la glicemia a digiuno supera i 100 mg/dl o se la glicemia dopo circa un ora e mezza dai pasti supera i 140 mg/dl.

Anche in questo caso è proibito l’uso di antidiabetici orali.

Fattori di rischio del diabete gestazionale

·        Età maggiore di 35 anni

·        Obesità

·        Familiarità per diabete                                                                         

·        Precedente diabete gestazionale                                                  

·        Precedenti problemi ostetrici: macrosomia fetale

·        Ipertensione arteriosa                                                                 

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Colonpatie croniche

12/11/2010

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Il tipo più comune di colonpatia cronica è rappresentato dalla sindrome del colon irritabile, di origine funzionale, particolarmente frequente nei soggetti di sesso femminile nella 3° - 4° decade di vita. Tale sindrome è caratterizzata da dolori addominali e irregolarità dell'alvo (stipsi o diarrea, o alternanza di stipsi e diarrea) cui si aggiungono spesso altri disturbi intestinali quali meteorismo, senso di evacuazione incompleta, emissione di muco con le feci. Con una certa frequenza il quadro clinico è complicato da disturbi dispeptici e da sintomi generici quali cefalea, insonnia e astenia.

La malattia è sostanzialmente legata a disordini dell'attività contrattile e motoria del colon, mentre vi è assoluta normalità degli esami radiologici e strumentali, nonchè dei tests colturali, parassitologici e di assorbimento eseguiti sui campioni di feci.  

La stipsi cronica primaria anche in assenza di sintomatologia dolorosa addominale si può considerare nella maggior parte dei casi espressione incompleta della sindrome del colon irritabile, con cui in effetti ha in comune il background psicologico e motorio.

Complicanza della stipsi cronica è la diverticolosi del colon, per lo più localizzata al colon discendente e che comunque può rappresentare anche una situazione patologica primitiva, spesso congenita. La diverticolosi può, per sovrainfezione batterica, evolvere in diverticolite, caratterizzata da dolori addominali, febbre e diarrea.

Fortunatamente assai più rare sono le malattie infiammatorie croniche intestinali (colite ulcerosa e morbo di Crohn), ove, accanto alla diarrea sanguinolenta si osservano sintomi da interessamento sistemico quali: febbre, anemizzazione, malnutrizione, complicanze a carico della cute, delle articolazioni, dell'apparato oculare ed epatobiliare. Complicanze locali di tali affezioni sono invece: stenosi, fistole e perforazioni intestinali. L'eziologia della colite ulcerosa e del morbo di Crohn, malattie per certi versi assai simili, rimane oscura e il trattamento si basa per lo più sulla terapia con steroidi e con salazopirina o suoi derivati.

Con l'eccezione della colite ulcerosa e del morbo di Crohn in fase acuta (ove è spesso necessario ricorrere alla alimentazione parenterale), i problemi dietetici relativi alle varie colonpatie croniche sono sostanzialmente simili e giustificano perciò una trattazione comune dell'argomento.

 

Consigli pratici per il paziente con colonpatia cronica  

A) pazienti con stipsi

Alimenti consigliati:

- dieta ricca di vegetali, specie: carote, arance, cavolini di Bruxelles, mele

- crusca grezza (20-40gr al mattino) oppure preparati sostitutivi come da prescrizione del medico

- pane, biscotti, farina integrale

Alimenti vietati:

- tutti i legumi (piselli, fagioli, lenticchie)

 

B) pazienti con diarrea

Alimenti vietati:

- ridurre o eliminare il caffè

- eliminare latte, latticini.

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Cellulite ed alimentazione

12/11/2010

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La cellulite è un diffusissimo problema che colpisce un gran numero di donne, le giovani come le  mature, le grasse come le magre.
Spesso presenta un carattere familiare e compare generalmente dopo la pubertà, con accentuazione e recrudescenza durante la gravidanza e la menopausa.
Interessa principalmente cosce, glutei, ginocchia, caviglie; più raramente, addome e arti superiori.

Come e perché si manifesta la cellulite?

Innanzitutto, bisogna precisare che il termine cellulite, nonostanteil suffisso “ite”, che designa solitamente le infiammazioni, non è un’infiammazione. Essa può essere definita un’alterazione non infiammatoria del tessuto cellulare sottocutaneo.
La causa di questa alterazione va ricercata a livello cellulare, nel processo di scambio tra gli adipociti e il resto dell'organismo che avviene grazie alla rete capillare che circonda le cellule dell'ipoderma.
Grazie a questa sottilissima parete di capillari e cellule è possibile lo scambio di scorie e C02 con nutrienti e ossigeno; bastano però lievi squi­libri per rallentare questo scambio e compromettere l'inte­ro processo.
Il primo stadio della cellulite ha la sua origine proprio in questi micro-squilibri: le cellule e i capillari, infatti, per compensare la ridotta disponibilità di ossigeno possono reagire aumentando in modo abnorme la permeabilità della propria membrana, che diventa così più sottile e più fragile. A causa di piccolissimi traumi questa si può rompere, provocando la fuoriu­scita di grasso che va a infiltrarsi in aree sempre più  estese del lobulo adiposo, dando origine al fenomeno della cellulite.
A questo punto, per risanare la situazione, bisognerebbe intervenire in modo da fa­vorire il riassorbimento del grasso: questo sarebbe possibile eliminando le cause che hanno provocato il rallentamento del flusso sanguigno. Se ciò non avviene, l'organismo reagisce isolando le zone in cui è stata alterata la struttura delle cellule dei lobuli, dando origine al secondo stadio della cellulite. In questa fase avviene la produzione di nuove fibre di collagene che hanno il compito di incapsulare le zone colpite.
Il terzo stadio è caratterizzato dalla formazione di noduli che diven­tano sempre più grandi e dolenti al tatto e, nei casi più gravi, si può raggiungere addirittura il quarto stadio, con un peggioramento di questi sintomi, aggravati da segni di insufficienza circolatoria (che risultano accentuati in caso di sovrappeso).

Come combattere questo problema?

Innanzitutto, è bene rivolgersi ad un medico, che farà un’accurata anamnesi e prescriverà opportuni esami del sangue (glicemia, uricemia, colesterolemia…): questo servirà ad individuare precisamente dove è avvenuta l’alterazione dell’equilibrio cellulare.
Solo così il Nutrizionista o il Dietista potrà consigliare un regime alimentare mirato.
Possono comunque essere consigliate alcune regole generali da seguire: in linea di massima, una dieta anticellulite deve essere leggermente ipocalorica.
Essa deve inoltre risultare varia e ben equilibrata nei suoi nutrienti: spesso, infatti, sono i piccoli errori quotidiani che aggravano lo stato della cellulite.

Alcuni accorgimenti che possono essere seguiti sono:

·   suddividere l’alimentazione giornaliera in 4-5 pasti;

·   consumare più verdure, che saziano e sono poco caloriche;

·   optare per cotture semplici (vapore, griglia);

·   evitare di salare molto;

·   consumare frutta ricca di vitamina C e sostanze antiossidanti;

·   bere molta acqua non gasata, che aiuta ad eliminare attraverso le urine i liquidi trattenuti dai tessuti;

·   evitare cibi molto salati, salumi, formaggi grassi e fermentati, fritti, scatolame, bevande dolcificate, succhi di frutta con sciroppo, alcolici, cioccolato, caffè, the forte;

·   non fumare;

·   svolgere attività fisica (camminare, nuotare, fare ginnastica).

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    Dott. Ignazio Madonia
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