Alimentazione & Benessere ​Dott. Ignazio Madonia
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Diabete mellito

12/11/2010

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Il diabete è una condizione in cui il corpo non e in grado di produrre insulina a sufficienza. L'insulina è un ormone prodotto dal pancreas e circola nel sangue. Il nostro corpo necessita di zucchero (glucosio) per fornirci energia. Lo zucchero viene introdotto con il cibo (principalmente con i carboidrati). L'insulina consente di utilizzare lo zucchero, senza l'insulina lo zucchero non può essere utilizzato dal corpo e si accumula quindi nel sangue causando iperglicemia , aumentando in quantità elevate viene liberato dalle urine. Per produrre energia senza l'insulina l'organismo utilizza i grassi invece dello zucchero. Questa condizione viene definita diabete mellito. Attualmente il diabete mellito ha assunto importanza sociale per il progressivo aumento dell'incidenza della malattia. Ciò è legato anche ad un regime di vita che in seguito al benessere economico è sempre più sedentario ed ha favorito un'alimentazione eccessiva rispetto al fabbisogno  energetico. Solo negli Stati Uniti si è calcolato che ne sono affette 15 milioni di persone, in Italia quasi 2,5 milioni. Dal 1979 in poi la classificazione è basata in parte sull'eziologia (causa) in parte sulla terapia farmacologica utilizzata per il trattamento della malattia. In pratica esistono principalmente due principali forme di Diabete: il diabete di tipo 1 che colpisce una popolazione giovane, che necessita di insulina in quanto il pancreas non ne produce; il diabete di tipo 2 che colpisce una popolazione prevalentemente anziana, caratterizzata (spesso ma non sempre) da un eccesso di peso, trattata con antidiabetici orali e dieta, in alcuni casi è necessario un trattamento insulinico. Il Diabete di tipo 1 (o insulino-dipendente, IDDM ) è caratterizzato dalla distruzione delle cellule beta di Langerhans pancreatiche che producono insulina. Sono stati individuati più fattori che contribuiscono alla sua comparsa: fattori genetici, cioè ereditati nella nostra costituzione; fattori immunitari, cioè legati ad una particolare difesa del nostro organismo contro le infezioni;
fattori ambientali, che dipendono dall'azione contro il nostro organismo di batteri, virus, sostanze chimiche. I dati attualmente disponibili indicano che la distruzione delle cellule pancreatiche avviene in soggetti geneticamente suscettibili. Tale suscettibilità è sicuramente poligenica, cioè coinvolge più geni del codice genetico. La distruzione avviene per un meccanismo autoimmune. Un evento precipitante di natura ambientale (virus, tossine, ecc) inizia il processo autoimmune, cioè vengono formati anticorpi contro le cellule pancreatiche. Si dice che l'organismo ha perso la tolleranza immunitaria nei confronti delle cellule pancreatiche, produce quindi autoanticorpi, cioè cellule di "autodistruzione". Il Diabete di tipo 2 (diabete mellito non insulino-dipendente, NIDDM) è caratterizzato da una residua secrezione insulinica che però è inadeguata al fabbisogno dell'organismo; esiste inoltre una resistenza dei tessuti corporei all'azione dell'insulina ancora prodotta dal pancreas. In questo caso sono più importanti i fattori genetici, acquisiti ed ambientali. La predisposizione genetica necessita del concorso dei fattori acquisiti ed ambientali per manifestare la  malattia. Per fattori acquisiti si intende: età, dieta, sovrappeso e obesità, distribuzione centrale del grasso, dislipidemia, stress, farmaci, abuso di alcool, ridotta attività fisica, modernizzazione dello stile di vita, meccanizzazione, urbanizzazione. Quanto maggiore è la componente genetica tanto minore è l'esposizione ai fattori acquisiti necessaria ad esprimere lo stato di malattia. Il perdurare della esposizione di un individuo a questi fattori spiega  l'importanza dell'età. L'importanza dei fattori dietetici è dimostrata dal rapido aumento del numero di persone affette da Diabete di tipo 2 con la comparsa del benessere economico. Lo si osserva ad esempio nella migrazione di gruppi etnici da aree povere ad aree opulente (ricche). L'aumento dell'apporto calorico globale, insieme alla ridotta attività fisica, comporta obesità, dislipidemia (alterazione dei grassi, colesterolo e trigliceridi, nel sangue), insulino-resistenza. Forse anche l'eccesso di zuccheri semplici, proteine, grassi saturi, o la carenza di antiossidanti, vitamina E, ecc, possono essere responsabili di una alterazione della sensibilità all'insulina o della secrezione insulinica. L' importanza dell'obesità con l'incremento del grasso nell'ambito addominale è un fattore ben apprezzabile: ad esempio nel periodo postmenopausale, dove si assiste all'aumento della prevalenza  del diabete nel sesso femminile. Il Diabete di tipo 2 è molto diffuso e si calcola che fino al 3%  della popolazione ne sia affetto.
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Diabete gestazionale

12/11/2010

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Il diabete mellito in gravidanza si presenta in due forme diverse: il diabete comparso prima della gravidanza  ed il diabete che compare in corso di gravidanza.

Diabete comparso prima della gravidanza              

Fino agli anni 60’ la gravidanza in una donna diabetica era gravata da numerosi problemi che riguardavano sia il feto che la mamma. Dagli anni ’70 le cose sono cambiate radicalmente grazie alla ottimizzazione della terapia dietetica ed insulinica.
La creatura in gestazione dipende per il suo sviluppo dalle sostanze nutritive che provengono dal sangue della madre; la placenta rappresenta un filtro che consente il passaggio del nutrimento dal sangue materno a quello fetale, mentre non passano altre sostanze come l’insulina.  La presenza di glicemie materne elevate rappresenta per il figlio un’ipernutrizione forzata che si traduce in una produzione  eccessiva di insulina fetale e in  un eccessivo accrescimento del feto: la macrosomia fetale. Un neonato macrosomico pesa più di 4 Kg può raggiungere anche i 6-7 Kg e sembra più maturo di un neonato normale. L’iperglicemia, quando presente nelle prime settimane di vita dell’embrione, può causare un maggior numero di aborti spontanei e di malformazioni congenite se il diabete materno è trascurato. E’ necessario quindi ottenere un controllo metabolico perfetto sin dai primi giorni del concepimento utilizzando una dieta adeguata ed uno schema di terapia insulinica appropriata. E’ da evitare l’uso di antidiabetici orali, in quanto possono causare malformazioni sul prodotto del concepimento.
La gravidanza nella donna affetta da diabete deve essere programmata; le diabetiche in età fertile devono usare metodi contraccettivi sicuri tenendo presente che le pillole contraccettive disponibili attualmente possono essere utilizzate con discreta sicurezza.

Diabete comparso in corso di gravidanza

Difficilmente una donna non diabetica incinta si preoccupa dell’eventuale comparsa del diabete. Eppure sappiamo che la gravidanza può rappresentare una delle circostanze che possono far comparire il diabete in una donna predisposta.
Può trattarsi di diabete che si presenta nel corso della gravidanza oppure di quella forma comunemente chiamata diabete gestazionale che compare generalmente tra la 26° e 28° settimana di gestazione, presente nel 3% delle gravidanze. In questo caso il rischio di malformazioni fetali non è aumentato; può essere presente però macrosomia fetale che espone al rischio di un trauma al neonato al momento del parto.

Come individuare il diabete gestazionale?

Il test migliore nella maggior parte dei centri è il carico orale di glucosio; per ragioni pratiche ed economiche è stato proposto un test che consiste  nel misurare la glicemia 1 ora e  2 ore dopo l’assunzione di 75 grammi di glucosio anidro sciolti in 300 ml di acqua.
I valori soglia di concentrazione di glucosio devono essere a 1 hr 180 e a 2 hr 153.

Terapia del diabete gestazionale

E’ sempre consigliata una dieta di circa 1500-2000 calorie e l’autocontrollo glicemico a domicilio. La terapia con insulina è necessaria se nonostante la dieta la glicemia a digiuno supera i 100 mg/dl o se la glicemia dopo circa un ora e mezza dai pasti supera i 140 mg/dl.

Anche in questo caso è proibito l’uso di antidiabetici orali.

Fattori di rischio del diabete gestazionale

·        Età maggiore di 35 anni

·        Obesità

·        Familiarità per diabete                                                                         

·        Precedente diabete gestazionale                                                  

·        Precedenti problemi ostetrici: macrosomia fetale

·        Ipertensione arteriosa                                                                 

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Colonpatie croniche

12/11/2010

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Il tipo più comune di colonpatia cronica è rappresentato dalla sindrome del colon irritabile, di origine funzionale, particolarmente frequente nei soggetti di sesso femminile nella 3° - 4° decade di vita. Tale sindrome è caratterizzata da dolori addominali e irregolarità dell'alvo (stipsi o diarrea, o alternanza di stipsi e diarrea) cui si aggiungono spesso altri disturbi intestinali quali meteorismo, senso di evacuazione incompleta, emissione di muco con le feci. Con una certa frequenza il quadro clinico è complicato da disturbi dispeptici e da sintomi generici quali cefalea, insonnia e astenia.

La malattia è sostanzialmente legata a disordini dell'attività contrattile e motoria del colon, mentre vi è assoluta normalità degli esami radiologici e strumentali, nonchè dei tests colturali, parassitologici e di assorbimento eseguiti sui campioni di feci.  

La stipsi cronica primaria anche in assenza di sintomatologia dolorosa addominale si può considerare nella maggior parte dei casi espressione incompleta della sindrome del colon irritabile, con cui in effetti ha in comune il background psicologico e motorio.

Complicanza della stipsi cronica è la diverticolosi del colon, per lo più localizzata al colon discendente e che comunque può rappresentare anche una situazione patologica primitiva, spesso congenita. La diverticolosi può, per sovrainfezione batterica, evolvere in diverticolite, caratterizzata da dolori addominali, febbre e diarrea.

Fortunatamente assai più rare sono le malattie infiammatorie croniche intestinali (colite ulcerosa e morbo di Crohn), ove, accanto alla diarrea sanguinolenta si osservano sintomi da interessamento sistemico quali: febbre, anemizzazione, malnutrizione, complicanze a carico della cute, delle articolazioni, dell'apparato oculare ed epatobiliare. Complicanze locali di tali affezioni sono invece: stenosi, fistole e perforazioni intestinali. L'eziologia della colite ulcerosa e del morbo di Crohn, malattie per certi versi assai simili, rimane oscura e il trattamento si basa per lo più sulla terapia con steroidi e con salazopirina o suoi derivati.

Con l'eccezione della colite ulcerosa e del morbo di Crohn in fase acuta (ove è spesso necessario ricorrere alla alimentazione parenterale), i problemi dietetici relativi alle varie colonpatie croniche sono sostanzialmente simili e giustificano perciò una trattazione comune dell'argomento.

 

Consigli pratici per il paziente con colonpatia cronica  

A) pazienti con stipsi

Alimenti consigliati:

- dieta ricca di vegetali, specie: carote, arance, cavolini di Bruxelles, mele

- crusca grezza (20-40gr al mattino) oppure preparati sostitutivi come da prescrizione del medico

- pane, biscotti, farina integrale

Alimenti vietati:

- tutti i legumi (piselli, fagioli, lenticchie)

 

B) pazienti con diarrea

Alimenti vietati:

- ridurre o eliminare il caffè

- eliminare latte, latticini.

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Cellulite ed alimentazione

12/11/2010

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La cellulite è un diffusissimo problema che colpisce un gran numero di donne, le giovani come le  mature, le grasse come le magre.
Spesso presenta un carattere familiare e compare generalmente dopo la pubertà, con accentuazione e recrudescenza durante la gravidanza e la menopausa.
Interessa principalmente cosce, glutei, ginocchia, caviglie; più raramente, addome e arti superiori.

Come e perché si manifesta la cellulite?

Innanzitutto, bisogna precisare che il termine cellulite, nonostanteil suffisso “ite”, che designa solitamente le infiammazioni, non è un’infiammazione. Essa può essere definita un’alterazione non infiammatoria del tessuto cellulare sottocutaneo.
La causa di questa alterazione va ricercata a livello cellulare, nel processo di scambio tra gli adipociti e il resto dell'organismo che avviene grazie alla rete capillare che circonda le cellule dell'ipoderma.
Grazie a questa sottilissima parete di capillari e cellule è possibile lo scambio di scorie e C02 con nutrienti e ossigeno; bastano però lievi squi­libri per rallentare questo scambio e compromettere l'inte­ro processo.
Il primo stadio della cellulite ha la sua origine proprio in questi micro-squilibri: le cellule e i capillari, infatti, per compensare la ridotta disponibilità di ossigeno possono reagire aumentando in modo abnorme la permeabilità della propria membrana, che diventa così più sottile e più fragile. A causa di piccolissimi traumi questa si può rompere, provocando la fuoriu­scita di grasso che va a infiltrarsi in aree sempre più  estese del lobulo adiposo, dando origine al fenomeno della cellulite.
A questo punto, per risanare la situazione, bisognerebbe intervenire in modo da fa­vorire il riassorbimento del grasso: questo sarebbe possibile eliminando le cause che hanno provocato il rallentamento del flusso sanguigno. Se ciò non avviene, l'organismo reagisce isolando le zone in cui è stata alterata la struttura delle cellule dei lobuli, dando origine al secondo stadio della cellulite. In questa fase avviene la produzione di nuove fibre di collagene che hanno il compito di incapsulare le zone colpite.
Il terzo stadio è caratterizzato dalla formazione di noduli che diven­tano sempre più grandi e dolenti al tatto e, nei casi più gravi, si può raggiungere addirittura il quarto stadio, con un peggioramento di questi sintomi, aggravati da segni di insufficienza circolatoria (che risultano accentuati in caso di sovrappeso).

Come combattere questo problema?

Innanzitutto, è bene rivolgersi ad un medico, che farà un’accurata anamnesi e prescriverà opportuni esami del sangue (glicemia, uricemia, colesterolemia…): questo servirà ad individuare precisamente dove è avvenuta l’alterazione dell’equilibrio cellulare.
Solo così il Nutrizionista o il Dietista potrà consigliare un regime alimentare mirato.
Possono comunque essere consigliate alcune regole generali da seguire: in linea di massima, una dieta anticellulite deve essere leggermente ipocalorica.
Essa deve inoltre risultare varia e ben equilibrata nei suoi nutrienti: spesso, infatti, sono i piccoli errori quotidiani che aggravano lo stato della cellulite.

Alcuni accorgimenti che possono essere seguiti sono:

·   suddividere l’alimentazione giornaliera in 4-5 pasti;

·   consumare più verdure, che saziano e sono poco caloriche;

·   optare per cotture semplici (vapore, griglia);

·   evitare di salare molto;

·   consumare frutta ricca di vitamina C e sostanze antiossidanti;

·   bere molta acqua non gasata, che aiuta ad eliminare attraverso le urine i liquidi trattenuti dai tessuti;

·   evitare cibi molto salati, salumi, formaggi grassi e fermentati, fritti, scatolame, bevande dolcificate, succhi di frutta con sciroppo, alcolici, cioccolato, caffè, the forte;

·   non fumare;

·   svolgere attività fisica (camminare, nuotare, fare ginnastica).

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Morbo celiaco

12/11/2010

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Il morbo celiaco, malattia ereditaria che colpisce prevalentemente i bambini (dai 6 mesi in su), è una disfunzione causata dall’intolleranza al glutine, una proteina presente nel frumento, nella segale e nell’orzo. L’ingerimento di glutine irrita il rivestimento intestinale, ostacolando l’assorbimento di molti elementi nutritivi tra i quali i grassi, le proteine, i carboidrati, le vitamine liposolubili, il ferro, il calcio, il magnesio, lo zinco e alcune vitamine liposolubili. E’ stato scoperto che le persone affette da morbo celiaco hanno una grande carenza di vitamina B6. La carenza di questa vitamina causa diarrea, vomito, gas intestinali ed eczema. La malattia può essere provocata anche da infezioni intestinali o parassiti e stress psicologico. La carenza di proteine che si manifesta nelle persone che seguono diete dimagranti “fai da te” o fanno l’uso eccessivo di lassativi può alterare il tratto intestinale sino a rendere impossibile l’assorbimento del glutine. Tra le cause scatenanti si sospetta anche l’allergia al latte. Il morbo celiaco causa carenze di molte sostanze nutritive che devono essere reintegrate. Tra queste: il calcio, il complesso B e le vitamine A, C, D ed E. Il ferro, l’acido folico e la vitamina B12 possono essere usati per curare l’anemia che accompagna di solito la malattia. La Kinesiologia viene utilizzata per diagnosticare l’intolleranza al glutine. I sintomi del morbo celiaco sono perdita di peso, diarrea, steatorrea (presenza di particelle di grasso non assorbito nelle feci), gas intestinali, gonfiore allo stomaco, dolori addominali e anemia. Negli adulti i sintomi del morbo celiaco sono cambiamenti di umore, stanchezza, depressione, stitichezza, sterilità e problemi alla pelle. La malnutrizione accompagna spesso questa malattia a causa della notevole riduzione della capacità di assorbimento degli elementi nutritivi. La difficoltà di assorbimento delle proteine causa l’edema. Le anormalità nella coagulazione del sangue dovute alla carenza di vitamina K causano frequenti emorragie, mentre la carenza di calcio causa tetania e dolore alle ossa. Il morbo celiaco può favorire il manifestarsi della schizofrenia.

E’ riscontrato che i sintomi di squilibrio mentale dei pazienti affetti da morbo celiaco diminuivano notevolmente seguendo una dieta senza glutine. Secondo alcuni medici il morbo celiaco può essere causato in parte, nei bambini predisposti o che hanno altri casi in famiglia, dall’introduzione troppo precoce del grano nel corso dello svezzamento. Si consiglia di allattare il bambino al seno per i primi quattro mesi e di introdurre poi alimenti a base di riso e miglio.

Il grano può essere introdotto al compimento del primo anno. Il trattamento del morbo celiaco prevede una dieta ben equilibrata, senza glutine, ricca di calorie e proteine e con una quantità normale di grassi. Quando il glutine è escluso dall’alimentazione la guarigione dalla malattia è completa. La dieta dovrebbe escludere tutti i cereali fatta eccezione per il riso e per il granturco. Le fibre devono essere assunte consumando frutta, verdura e frutta secca come noci, fichi e uva passa. Molti alimenti industriali come il gelato, i condimenti per insalate e i cibi in scatola contengono eccipienti prodotti con farina di grano; controllate le etichette. La farina di grano può essere sostituita con farina di carmacora, mais, patate, riso e soia. Esiste anche la farina a basso contenuto di glutine. Le piante che possono essere d’aiuto sono la papaia e l’olmo americano

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Calcoli della colecisti

12/11/2010

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I calcoli della colecisti (cistifellea) sono una delle più comuni patologie delle vie biliari. Fortunatamente questi sassolini spesso non danno problemi al paziente e solo in rari casi sono responsabili di una specifica sintomatologia. Quando questo accade però, insorgono dolori violenti, paragonabili, secondo alcuni, a quelli del parto. Per evitare complicazioni o ricadute spesso viene suggerito l'intervento chirurgico.
La colecisti o cistifellea è un sacchettino, situato sotto la faccia inferiore del fegato (parte destra dell'addome). Questa piccola vescica funge da deposito della bile prodotta dagli epatociti (cellule del fegato).
Il dotto cistico mette in comunicazione il lume della cistifellea con le vie biliari principali, piccoli “condotti” che hanno origine dal fegato e trasportano la bile DIRETTAMENTE all’intestino tenue (duodeno). La cistifellea non è dunque un organo vitale, dato che il passaggio della bile è comunque consentito da altre vie.
L'ultimo tratto delle vie biliari  è il coledoco che termina nell'ampolla duodenale del Vater con un naturale restringimento sfinterico (sfintere di Oddi) nel quale sfocia anche il dotto pancreatico del Wirsung (salvo anomalie anatomiche). Oltre a raccogliere e concentrare la bile (5-20 volte), al momento opportuno, la colecisti provvede anche a riversarla all'interno del duodeno sempre attraverso il coledoco.
Quando i cibi passano dallo stomaco all'intestino, una serie di stimoli mediati da sostanze chimiche (CCK), fanno contrarre la cistifellea che riversa il suo contenuto all'interno del tenue.
Grazie alla sua composizione chimica (acqua, sali biliari, bilirubina, colesterolo e altri grassi) la bile favorisce la digestione e l'assorbimento dei lipidi. In particolari condizioni il colesterolo ed i pigmenti biliari in essa contenuti  possono precipitare aggregandosi in piccoli cristalli che con il tempo tendono ad ammassarsi.
Si parla in questi casi di litiasi biliare o più comunemente di calcoli della colecisti. Sinonimi più o meno appropriati di questa condizione sono: calcoli della cistifellea, calcolosi biliare, o, impropriamente, "calcoli al fegato". Le dimensioni dei calcoli sono variabili, talvolta assomigliano a granellini di sabbia, altre volte raggiungono le dimensioni di una biglia.
Purtroppo esiste anche la possibilità che questi calcoli si spostino dalla loro posizione di origine andando ad accludere i flussi biliari e causando una colica. In linea generale i calcoli più piccoli, avendo una maggiore mobilità, sono più pericolosi di quelli grandi dato che spostandosi possono andare più facilmente ad occludere i dotti biliari e pancreatici. Si viene così a creare un ostacolo alla fuoriuscita della bile e delle sostanze secrete dal pancreas. Tale condizione può causare una delle complicanze più gravi della calcolosi, chiamata pancreatite acuta.
Fortunatamente le conseguenze dei calcoli della colecisti  non sono sempre così gravi. Nella maggior parte dei casi i calcoli della cistifellea vengono infatti  scoperti casualmente e, con buona probabilità, il paziente a cui vengono diagnosticati non svilupperà sintomi o complicazioni negli anni seguenti. Altri soggetti meno fortunati lamentano disturbi digestivi, nausea, vomito e dolore viscerale.

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Caduta dei capelli

12/11/2010

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Noi sappiamo che il nostro corpo si accresce fino ad avere il miglior potenziale intorno ai 20-21 anni. Poi c'è la fase stabile dove diamo il meglio e che va dai 21 ai 30 anni e quindi da tale età comincia il decadimento
L'organismo non ha più quella fase anabolica o di accrescimento, ma inizia quella catabolica caratterizzata dalla mancanza di capacità di assimilare determinate sostanze capaci di creare tessuto.
I primi capelli bianchi vengono infatti messi dai 30 anni, anche prima per motivi patologici, compaiono le prime rughette. Questo è il momento in cui bisogna prendere in cura il proprio corpo; non può andare avanti come in gioventù dove tutto va bene; bisogna quindi curare l'alimentazione, l'igiene di vita, la forma mentale, la forma motoria. Tali azioni agevolano il ricambio e mettono il corpo in condizione di non avere delle cadute troppo rapide. Raggiungendo i 40-50 anni, il decadimento sarà più dolce e consentirà di affrontare con più vigore i 60 - 70 anni. Con una cura giornaliera del proprio corpo si può arrivare a 70 anni con un fisico simile a quello che una volta erano i 50 anni. Quindi è tutta questione di manutenzione, tale e quale al caso di una automobile che se ben mantenuta dura molti    anni. Il numero di capelli reputato normale nella caduta giornaliera è di circa una cinquantina.


Quando si inizia a perdere i capelli?
Si  inizia a  perdere i capelli  quando c'è  un  indebolimento nei  processi  di  metabolismo,  cioè quando o per cattivo  funzionamento  del fegato o  per cattiva  digestione o  per una vita  un po' stressante,  il metabolismo viene  alterato,  ecco  che   l'organismo  non  riesce  a  recepire dal  cibo, cioè   dall'alimentazione  giornaliera (ammesso che sia corretta),  quegli  elementi  che  servono  come  nutrizione e  alla  formazione  del ricambio normale del capello. Venendo a mancare determinati elementi, e soprattutto alcuni oligoelementi, il capello ne soffre e cade in due maniere:
- per distacco: per debolezza o per asfissia (cioè per mancanza di ossigeno)
- per fragilità allo strappo, infatti alcuni sono persi sul cuscino, altri nel pettine, ad altri cadono anche senza toccarli.


Quanto può incidere il fattore ereditario sulla perdita di capelli, sia per i maschi che per le femmine?

L'ereditarietà è sempre anch'essa relativa, perché sempre connessa al concetto di costituzione, e siccome tante volte il carattere ereditario si trasmette, allora ci sono degli individui che soffrono per ereditarietà, mentre altri non ne risentono affatto. Possiamo comunque considerare la percentuale di incidenza della ereditarietà sulla perdita di capelli in non più del 30%.

E' vero che l'aglio o le pastiglie di aglio aiutano nella prevenzione della caduta dei capelli?
Sì perché l'aglio è composto da una sostanza che è l'allicina che corrisponde ad un preparato chimico: I'isosolfocianato di allile, che contiene tra l'altro anche lo zolfo che serve appunto a proteggere il fegato e a farlo elaborare bene; la molecola allile invece ha potere disinfettante e quindi disintossicante. Ecco perché l'aglio è uno dei principali elementi ed alimenti che intervengono nella cura del capello.

Stitichezza, colite, colesterolo, ecc. Possono influire sulla caduta dei capelli?

Sì, chi ha una cattiva digestione, o chi ha un cattivo sonno, tutti problemi connessi al metabolismo, può andare incontro a cadute di capelli chi dorme poco, chi  vive una vita "stressante" di lavoro o per altri motivi, chi è costretto a mangiare male e di corsa, deve stare attento perché sono tutti fattori scatenanti la caduta.

Quando la persona ha capelli grassi o con forfora cosa deve fare?
Deve stare attenta che  il  suo organismo abbia  una funzione intestinale regolata, perché molte  volte dipende dal  fatto che i lipidi, cioè i grassi vanno in circolo, giacchè la funzione intestinale non aiuta ad espellere quella parte  grassa  che  non  viene utilizzata  nella "costruzione" della cellula  il grasso  in eccesso  che  non  va  nei tessuti  rimane nel  sangue ed è quello che poi provoca  un  aumento del  colesterolo.   Chi   quindi  ha  grasso nel sangue ha sicuramente capelli grassi.  La  forfora  è  invece  una conseguenza, è  il prodotto  ultimo  di  un  grasso  che  è  stato  alterato,  ossidato  e  che  combinandosi  con la  polvere forma la  cosiddetta squama;  ci sono  anche  squamette  di  cute  o  chitina,  il  ricambio  del  capello  stesso,  le  mescolanze  con il pulviscolo atmosferico e il grasso, tutto va a costituire la seborrea.

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Antropometria

11/11/2010

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L’antropometria è la valutazione della composizione corporea ed è utilizzata in vari settori come medicina, antropologia, ergonomia, sport e auxologia.  Grande interesse viene riposto alla quantificazione del grasso corporeo in relazione allo STATO DI SALUTE e alla PERFORMANCE SPORTIVA

La valutazione della composizione corporea viene inoltre utilizzata per:

Identificare il rischio di salute del paziente associato a livelli eccessivamente alti o bassi di massa grassa;

Identificare il rischio di salute del paziente associato a eccessivo accumulo di grasso intra-addominale;

Monitorare i cambiamenti di composizione corporea che sono associati a certe malattie;

Cambiamenti nelle proporzioni durante l’accrescimento e l’invecchiamento;

Valutare l’effetto dell’alimentazione e dell’esercizio fisico;

Stimare il peso corporeo desiderabile di un  soggetto.

Valutare la composizione corporea significa misurare i diversi  componenti che costituiscono il corpo. La valutazione della composizione corporea può essere fatta a diversi livelli dal più semplice (atomico) al più complesso (corpo intero) ) passando per livelli intermedi (molecolare, cellulare e tissutale). L'Analisi antropometrica si rende indispensabile al fine di conoscere in modo accurato la composizione corporea del soggetto, questo per avere un'importante punto di riferimento in vista dei prossimi controlli; infatti, al di là della bilancia, le variazioni della composizione corporea sono meglio analizzate con strumenti non influenzabili da fattori emozionali o esterni.

È importante inoltre sapere che un kg di muscolo consuma più calorie di un kg di grasso; quindi al fine del consumo calorico giornaliero è importante conoscere l'entità della massa grassa e di quella magra. I metodi di valutazione sono molti e vanno dall'impedenziometria, alla pesata idrostatica, dalla risonanza magnetica alla plicometria computerizzata.

QUAL'E' LA PERCENTUALE DI GRASSO CORRETTA?

La percentuale normale dovrebbe essere 12-18% per gli uomini e 19-25% per le donne. Gli atleti hanno una percentuale di grasso inferiore. Perchè parlo di "percentuale" e non di un valore assoluto? Naturalmente perchè conta quanto grasso uno ha in rapporto al proprio peso corporeo. Ovvero, si cerca di sapere quanta parte del prorpio peso è dovuta al grasso e quanta al resto.

COME SI MISURA LA PERCENTUALE DI GRASSO?
Questa misurazione dunque dice molto di più del semplice peso su quale e quanta dieta si dovrebbe mettere a fare una persona per raggiungere uno stato ottimale anche al fine di evitare le malattie correlate col sovrappeso.
Per conoscere la percentuale di grasso sono stati usati diversi sistemi, uno dei più semplici e facilmente applicabile da tutti è il RAPPORTO ADDOME/VITA, ci si mette davanti ad uno specchio in modo da facilitare le cose. Si misura con il solito centimetro da sarto sia la circonferenza a livello dell'ombelico, che quella a livello della vita. Si dividono le circonferenze, e si ha un numero che è il rapporto tra addome e vita. Ad esempio, se uno ha un valore di 100 cm di addome e 90 cm di vita, si avrà un rapporto di 0.9. Se si ha 66 cm di addome e 91.5 cm di vita, si avrà un rapporto di 0.7, e così via.

Come si valuta questo risultato? Il rapporto deve stare sotto un certo valore.
Nell'uomo, i valori compresi da 0.95-1.0 in sù sono considerati corrispondenti ad un aumento di rischio per le malattie cardiache. Le donne dovrebbero avere un valore di 0.8 o inferiore.

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Allergie alimentari

11/11/2010

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Le allergie alimentari sono reazioni del sistema immunitario a certi alimenti.
L'organismo sintetizza anticorpi IgE diretti contro quel particolare alimento. Istamina ed altri mediatori sono rilasciati da vari tipi di cellule. Tali mediatori causano i sintomi tipici delle reazioni allergiche.
Da distinguere dalle "intolleranze" alimentari che sono per lo più su base biochimica (esempio intolleranza al lattosio) o psicogena.

Tutti gli alimenti contengono potenziali allergeni ma il 90% delle reazioni allergiche su base alimentare sono causate da 8 alimenti:
latte, uova, grano, arachidi, soia, noci, pesce, molluschi. Alla base stanno alcune proteine contenute in questi cibi.
Arachidi, noci, pesce, molluschi sono gli alimenti in grado di produrre le reazioni allergiche più gravi (shock anafilattico).

Le allergie alimentari interessano fino al 5% dei bambini e l'1-2% degli adulti (il 25% degli adulti crede però di essere allergico a qualche alimento).
Tutti i soggetti sono potenzialmente suscettibili ma quelli più frequentemente colpiti sono i soggetti atopici, ossia predisposti per iperreattività immunologica.
Esistono poi dei determinanti presumibilmente genetici. Figli di genitori con allergie alimentari più frequentemente sviluppano reattività alimentare ed in genere verso lo stesso tipo di alimento a cui sono allergici i genitori.

La sintomatologia di una reazione allergica alimentare può essere molto varia e coinvolgere diversi distretti organici:
gastrointestinale: con vomito, diarrea, crampi,
cutaneo: con orticaria, gonfiore, angioedema, eczema,
orale: con prurito o gonfiore di labbra, lingua o mucosa orale,
respiratorio: con asma, edema della glottide, difficoltà respiratorie.
Nei casi più gravi vi possono poi essere reazioni generalizzate, con shock anafilattico e arresto cardiocircolatorio. Le reazioni allergiche più gravi (shock anafilattico) si sviluppano in genere in soggetti con allergie alimentari già riconosciute per contatto involontario con l'antigene (in genere il soggetto ignorava la presenza di quel particolare componente nel prodotto alimentare consumato).

Le allergie ad alcuni alimenti tendono ad attenuarsi e a cessare con l'accrescimento; le allergie ad arachidi e a noci possono però durare per tutta la vita.

Allergie alimentari: problematiche attuali

Prodotti transgenici e biotecnologici

Le biotecnologie possono essere utilizzate per incrementare la produzione agricola, creando alimenti più abbondanti, più nutrienti e meno costosi.
Nonostante tali promesse vi sono preoccupazioni da parte del pubblico per quanto riguarda sicurezza e utilità di tali alimenti che hanno condotto a una forma di fobia con boicottaggio e richiesta di ferree regolamentazioni legislative.

La questione della sicurezza é quella maggiormente dibattuta da pubblico, legislatori e produttori.
Il trasferimento di geni da microorganismi, piante o animali ad altre piante e animali poi utilizzati per l'alimentazione umana fa nascere rischi di conseguenze non desiderate di tali manipolazioni genetiche. L'allergenicità può essere una di tali conseguenze: i geni codificano per proteine che possono rivelarsi allergeniche per i consumatori.

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Allattamento e divezzamento

11/11/2010

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ALLATTAMENTO

Il latte materno è comunque l'alimento migliore per il lattante.
Il latte vaccino, prima del primo anno di vita, è da sconsigliare per diversi motivi: scarsa quantità di ferro e vitamine, povertà di acidi grassi essenziali, elevato contenuto di proteine e sali minerali che porta ad un sovraccarico renale.
Inoltre, il latte vaccino può determinare piccole emorragie intestinali che favoriscono l' insorgenza di un'anemia da carenza di ferro. In alternativa al latte vaccino si possono utilizzare i "latti di proseguimento" che rispondono meglio alle esigenze nutrizionali del bambino.

Per la mamma è consigliata una dieta equilibrata e diversificata.
Incrementare la dieta abituale di 100 grammi di carne o 400-500 ml di latte o 50 grammi di parmigiano.

Alimenti proibiti: rape, selvaggina, aglio e cipolla crudi, crostacei, mandorle amare, asparagi, carni conservate, pomodori acerbi, mitili, cavoli, carni insaccate, patate inverdite, molluschi, superalcoolici.

Alimenti consentiti in quantita' ridotta: vino, birra, cola, the', spinaci, bietole, funghi, pomodori, agrumi, fragole, tonno, sgombri, aringhe, alici, zuppe di pesce, salmone, formaggi fermentati, fritture, cioccolato, cacao, frutta secca, dolci di pasticceria.

DIVEZZAMENTO

passaggio dall'alimentazione lattea esclusiva ad altro tipo di alimentazione
Inizio divezzamento = 4-6 mesi. (epoca di introduzione consigliata):

Non somministrare sale da cucina sotto il primo anno di vita. 
Introdurre il latte vaccino dopo il primo anno di vita.  Pasta e biscotto con glutine = dai 5,5 mesi. 
Le carni devono essere introdotte all'inizio del divezzamento, sotto forma di liofilizzati e, in seguito, omogeneizzati.  Il tuorlo dell'uovo ben cotto dovrebbe essere introdotto dopo i 9 mesi. 
Legumi = dai 7 mesi. - Agrumi = dai 12 mesi.

4-5 MESI: INIZIO DIVEZZAMENTO

3 o 4 pasti di latte materno o “di proseguimento”=    220-250 g x 3 o 180 g x 4

1 pasto di brodo vegetale (1 patata, 1 carota, 1 zucchina, 1 costa di sedano) +1-2 cucchiai del passato di verdure = 150-180 g

crema di riso o mais + tapioca = 1-2 cucchiai

liofilizzato di pollo o tacchino o agnello o coniglio = 10 g

Parmigiano Reggiano = 1 cucchiaino      Olio extravergine di oliva = 1 cucchiaino

mela o pera o banana = 50 g

6-12 MESE: SCHEMA DIVEZZAMENTO

2 pasti di latte materno o "di proseguimento" + eventualmente biscotti = 220-250 g x 2 + n. 2-3 bisc.

2 pasti di minestrina con brodo vegetale o di pollo o di carne = 220-250  g + verdure passate = 2-3 cucchiai

pastina o semolino di riso o di grano = 2-3 cucchiai

omogeneizzato di carne o pollo, tacchino, agnello, coniglio fresco o pesce (sogliola, trota) = 30-50 g

oppure formaggio (parmigiano, groviera, stracchino) o prosciutto crudo o cotto =15-25 g

oppure tuorlo d'uovo ben cotto =  1-3 settimana

Olio extravergine di oliva = 1-2 cucchiaini

mela o pera o banana = 70-100 g

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    Autore

    Dott. Ignazio Madonia
    Dietista

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