Dott. Ignazio Madonia
Allergie ed intolleranze alimentari
Le allergie alimentari presentano una prevalenza del 3-4% negli adulti e del 6% in età pediatrica (J. Allergy Clin. Immunol. 2006: 117, 2 suppl.: S470-S475).
Le allergie alimentari compaiono più frequentemente in età infantile e di solito tendono a scomparire con il passare degli anni, ma possono anche manifestarsi per la prima volta in età adulta.
La prevalenza delle allergie alimentari sembra inoltre dipendere dalle abitudini alimentari individuali (consumo eccessivo o prolungato o esclusivo dell'alimento in causa) e dalle abitudini alimentari tipiche dei diversi paesi (allergia a crostacei e molluschi nei paesi mediterranei, allergia al pesce nei paesi scandinavi, allergia alle arachidi negli USA, ecc.).
In genere, gli alimenti che determinano con maggior frequenza manifestazioni cliniche di allergia alimentare sono: uova, latte, pesce, crostacei, arachidi, nocciole, soia, frumento, seguiti poi da vegetali come mela, noce, sedano, pomodoro, banana, kiwi, pesca, carota, pera.
Una appropriata eliminazione dalla dieta degli alimenti responsabili di solito comporta una regressione delle manifestazioni cliniche, sebbene un rapido controllo della sintomatologia acuta richieda spesso il ricorso alla terapia farmacologica.
La conoscenza dei componenti dell'alimentazione più frequentemente in causa costituisce il presupposto teorico essenziale per un corretto iter diagnostico-terapeutico delle reazioni avverse al cibo.
L'European Academy of Allergy and Clinical Immunology, al fine di stabilire un linguaggio comune riguardo le reazioni avverse agli alimenti, ha proposto una classificazione basata esclusivamente sui meccanismi patogenetici (Allergy 1995, 50: 623-635).
Una prima distinzione fondamentale è quella tra reazioni tossiche causate da sostanze nocive contenute negli alimenti ingeriti (esempi tipici sono l'intossicazione da funghi e la gastroenterite causata da tossine batteriche contenute in cibi avariati) e reazioni non tossiche dipendenti da un'abnorme risposta individuale ad alcuni componenti di alimenti igienicamente sani e tossicologicamente non nocivi.
Queste ultime reazioni poi si suddividono patogenicamente in Allergie Alimentari che sono immunomediate (IgE e non IgE mediate) e Intolleranze Alimentari che invece non sono immunomediate, ma vengono prodotte con meccanismi di tipo enzimatico, metabolico, farmacologico, idiosincrasico o ancora sconosciuto (tabella 1).
Le allergie alimentari compaiono più frequentemente in età infantile e di solito tendono a scomparire con il passare degli anni, ma possono anche manifestarsi per la prima volta in età adulta.
La prevalenza delle allergie alimentari sembra inoltre dipendere dalle abitudini alimentari individuali (consumo eccessivo o prolungato o esclusivo dell'alimento in causa) e dalle abitudini alimentari tipiche dei diversi paesi (allergia a crostacei e molluschi nei paesi mediterranei, allergia al pesce nei paesi scandinavi, allergia alle arachidi negli USA, ecc.).
In genere, gli alimenti che determinano con maggior frequenza manifestazioni cliniche di allergia alimentare sono: uova, latte, pesce, crostacei, arachidi, nocciole, soia, frumento, seguiti poi da vegetali come mela, noce, sedano, pomodoro, banana, kiwi, pesca, carota, pera.
Una appropriata eliminazione dalla dieta degli alimenti responsabili di solito comporta una regressione delle manifestazioni cliniche, sebbene un rapido controllo della sintomatologia acuta richieda spesso il ricorso alla terapia farmacologica.
La conoscenza dei componenti dell'alimentazione più frequentemente in causa costituisce il presupposto teorico essenziale per un corretto iter diagnostico-terapeutico delle reazioni avverse al cibo.
L'European Academy of Allergy and Clinical Immunology, al fine di stabilire un linguaggio comune riguardo le reazioni avverse agli alimenti, ha proposto una classificazione basata esclusivamente sui meccanismi patogenetici (Allergy 1995, 50: 623-635).
Una prima distinzione fondamentale è quella tra reazioni tossiche causate da sostanze nocive contenute negli alimenti ingeriti (esempi tipici sono l'intossicazione da funghi e la gastroenterite causata da tossine batteriche contenute in cibi avariati) e reazioni non tossiche dipendenti da un'abnorme risposta individuale ad alcuni componenti di alimenti igienicamente sani e tossicologicamente non nocivi.
Queste ultime reazioni poi si suddividono patogenicamente in Allergie Alimentari che sono immunomediate (IgE e non IgE mediate) e Intolleranze Alimentari che invece non sono immunomediate, ma vengono prodotte con meccanismi di tipo enzimatico, metabolico, farmacologico, idiosincrasico o ancora sconosciuto (tabella 1).
Tab. 1
CROSS REATTIVITA' TRA ALLERGENI INALATI E ALIMENTI
La sensibilizzazione ad alcuni frutti e vegetali è associata alla sensibilizzazione ad altri alimenti appartenenti o alla stessa famiglia botanica o a famiglie differenti. Questo fenomeno viene chiamato "cluster" di ipersensibilità e riguarda, ad esempio, i seguenti alimenti:
- Nocciola, noce, noce brasiliana, mandorle tra di loro ed in combinazione con noci, e frutti con nocciolo
- Frutti con nocciolo tra loro e in combinazione con pera e mela
- Mela e pera
- Kiwi e avocado
- Patata e carota
- Prezzemolo e sedano
- Pomodoro e arachide (fam. differenti)
Nelle persone affette da allergia a pollini si possono presentare sintomi allergici all'ingestione di alimenti vegetali quali frutta, verdura e spezie per effetto di allergeni cross-reattivi presenti nei pollini e negli alimenti. Le principali cross-reattività sono riportate nelle tabelle 2, 3 e 4.
TABELLA 2 – CROSS-REATTIVITÀ TRA ALIMENTI ED ALTRI ALLERGENI
ALIMENTI
Mela – CROSS-REATTIVITÀ DOCUMENTATA: Patata, carota, polline di betulla
Carota – CROSS-REATTIVITÀ DOCUMENTATA: Sedano, anice, mela, patata, segale, frumento, ananas, avocado, polline di betulla
Cereali – CROSS-REATTIVITÀ DOCUMENTATA: Frumento, segale, orzo, avena, granoturco, riso, polline di graminacee, corrispondenti pollini
Merluzzo – CROSS-REATTIVITÀ DOCUMENTATA: Anguilla, sgombro, salmone, trota, tonno
Latte di mucca – CROSS-REATTIVITÀ DOCUMENTATA: Latte d’asina, capra, di altri animali simili
Uova – CROSS-REATTIVITÀ DOCUMENTATA: Albume, lisozima, tuorlo, ovoalbumina, ovomucoide
Aglio – CROSS-REATTIVITÀ DOCUMENTATA: Cipolla, asparago
Miele – CROSS-REATTIVITÀ DOCUMENTATA: Contaminazione da polline di composite
Piselli – CROSS-REATTIVITÀ DOCUMENTATA: Lenticchie, liquirizia, semi di soia, fagioli bianchi, noccioline americane, finocchio
Pesca – CROSS-REATTIVITÀ DOCUMENTATA: Albicocca, prugna, banana, guava
Noce americana – CROSS-REATTIVITÀ DOCUMENTATA: Noccioline, noce, noce brasiliana
Riso – CROSS-REATTIVITÀ DOCUMENTATA: Cereali, granoturco, polline di segale
Gamberetto – CROSS-REATTIVITÀ DOCUMENTATA: Granchio comune, aragosta, calamaro, gambero, acari
TABELLA 3 – CROSS-REATTIVITÀ TRA ALLERGENI INALATORI ED ALIMENTARI
Betulla con: Mela, pesca, pera, albicocca, prugna, ciliegia, banana, noce, nocciola, sedano, finocchio, carota
Nocciolo con: Mela, pesca, ciliegia, carota, limone
Parietaria con: Gelso, basilico, ciliegia, melone
Graminacee con: Pomodoro, melone, anguria, arancia, kiwi, frumento
Composite con: Sedano, mela, melone, anguria
Ambrosie con: Melone, banana
Acari con: Gamberetto, lumaca
TABELLA 4 – TAVOLA DELLE REATTIVITÀ MULTIPLE TRA ALLERGENI ALIMENTARI, ALLERGENI INALANTI ED ALTRO
Brassicaceae – All’interno della famiglia: cavolo (verza, capuccio, rapa, cruciferae fiore, broccolo di bruxelles), rapa, colza, ravizzone e loro olii
Compositae, asteraceae – All’interno della famiglia: camomilla, carciofo, cicoria, lattuga, girasole (semi ed olio) dragoncello e con i corrispondenti pollini
Cucurbitaceae – All’interno della famiglia: zucchino, zucca, melone, anguria, cetriolo, e con il polline di Gramineae e con il pomodoro (fam. solanaceae)
Gramineae, poaceae (fam. solanaceae) – All’interno della famiglia: frumento, mais, segale, orzo, riso, avena, con il polline di Gramineae e con il pomodoro
Leguminoseae , papilionaceae – All’interno della famiglia: fagioli, soia, arachidi, piselli, lenticchie, liquerizia, gomme
Liliaceae – All’interno della famiglia: asparago, porro, cipolla, aglio, ecc.
Solanaceae – All’interno della famiglia: patata, melanzana, peperone, pomodoro e con le graminaceae
Rutaceae – All’interno della famiglia: limone, mandarino, pompelmo, arancia, cedro e con il vischio (fam. Loranthaceae)
Rosaceae – All’interno della famiglia: mandorle, mela, albicocca, pesca, susina, ciliegia, prugna, fragola e con il polline di betulla
Umbelliferae, apiaceae – All’interno della famiglia: anice, carota, finocchio, sedano, prezzemolo e con il polline di artemisia
Grano, segale – Papaina, bromelina, e polline di betulla
Banana, castagna, kiwi, avocado – Tra di loro,con il lattice e il ficus beniamina
Banana – Melone e polline di Compositeae
Carota – Lattuga, sedano, anice, mela, patata, segale, frumento, ananas, avocado, e polline di betulla
Mela – Patata, carota, sedano, e con il polline di betulla
Semi e noci – Fra di loro (noce, noce americana, nocciola, mandorla) e con l’arachide (fam. leguminoseae)
Nocciole, sedano, carota, arancio, patata, ciliegia, kiwi – Polline di betulla
Sedano – Carota, cumino, anice, finocchio, coriandolo, pepe, noce moscata, zenzero, cannella
Nocciole – Segale, semi di sesamo, kiwi, semi di papavero
Latte – Fra di loro (latte di mucca, capra, ecc.)
Uova – Singole proteine, ovoalbumina, ovomucoide, e con le piume ed il siero di volatili
Carni – Fra di loro (carne di maiale, di bue, di coniglio, ecc.) e fra carne di bovino e latte
Crustacea – All’interno della famiglia: gambero, aragosta, granchio, calamaro ecc.
Gasteropodi – Acari
Molluschi – Tra di loro ( mitili, vongole, ostriche, ecc.)
Pesci – Tra di loro (merluzzo, sgombro, salmone, trota, tonno, ecc.)
Surimi – Merluzzo
- Nocciola, noce, noce brasiliana, mandorle tra di loro ed in combinazione con noci, e frutti con nocciolo
- Frutti con nocciolo tra loro e in combinazione con pera e mela
- Mela e pera
- Kiwi e avocado
- Patata e carota
- Prezzemolo e sedano
- Pomodoro e arachide (fam. differenti)
Nelle persone affette da allergia a pollini si possono presentare sintomi allergici all'ingestione di alimenti vegetali quali frutta, verdura e spezie per effetto di allergeni cross-reattivi presenti nei pollini e negli alimenti. Le principali cross-reattività sono riportate nelle tabelle 2, 3 e 4.
TABELLA 2 – CROSS-REATTIVITÀ TRA ALIMENTI ED ALTRI ALLERGENI
ALIMENTI
Mela – CROSS-REATTIVITÀ DOCUMENTATA: Patata, carota, polline di betulla
Carota – CROSS-REATTIVITÀ DOCUMENTATA: Sedano, anice, mela, patata, segale, frumento, ananas, avocado, polline di betulla
Cereali – CROSS-REATTIVITÀ DOCUMENTATA: Frumento, segale, orzo, avena, granoturco, riso, polline di graminacee, corrispondenti pollini
Merluzzo – CROSS-REATTIVITÀ DOCUMENTATA: Anguilla, sgombro, salmone, trota, tonno
Latte di mucca – CROSS-REATTIVITÀ DOCUMENTATA: Latte d’asina, capra, di altri animali simili
Uova – CROSS-REATTIVITÀ DOCUMENTATA: Albume, lisozima, tuorlo, ovoalbumina, ovomucoide
Aglio – CROSS-REATTIVITÀ DOCUMENTATA: Cipolla, asparago
Miele – CROSS-REATTIVITÀ DOCUMENTATA: Contaminazione da polline di composite
Piselli – CROSS-REATTIVITÀ DOCUMENTATA: Lenticchie, liquirizia, semi di soia, fagioli bianchi, noccioline americane, finocchio
Pesca – CROSS-REATTIVITÀ DOCUMENTATA: Albicocca, prugna, banana, guava
Noce americana – CROSS-REATTIVITÀ DOCUMENTATA: Noccioline, noce, noce brasiliana
Riso – CROSS-REATTIVITÀ DOCUMENTATA: Cereali, granoturco, polline di segale
Gamberetto – CROSS-REATTIVITÀ DOCUMENTATA: Granchio comune, aragosta, calamaro, gambero, acari
TABELLA 3 – CROSS-REATTIVITÀ TRA ALLERGENI INALATORI ED ALIMENTARI
Betulla con: Mela, pesca, pera, albicocca, prugna, ciliegia, banana, noce, nocciola, sedano, finocchio, carota
Nocciolo con: Mela, pesca, ciliegia, carota, limone
Parietaria con: Gelso, basilico, ciliegia, melone
Graminacee con: Pomodoro, melone, anguria, arancia, kiwi, frumento
Composite con: Sedano, mela, melone, anguria
Ambrosie con: Melone, banana
Acari con: Gamberetto, lumaca
TABELLA 4 – TAVOLA DELLE REATTIVITÀ MULTIPLE TRA ALLERGENI ALIMENTARI, ALLERGENI INALANTI ED ALTRO
Brassicaceae – All’interno della famiglia: cavolo (verza, capuccio, rapa, cruciferae fiore, broccolo di bruxelles), rapa, colza, ravizzone e loro olii
Compositae, asteraceae – All’interno della famiglia: camomilla, carciofo, cicoria, lattuga, girasole (semi ed olio) dragoncello e con i corrispondenti pollini
Cucurbitaceae – All’interno della famiglia: zucchino, zucca, melone, anguria, cetriolo, e con il polline di Gramineae e con il pomodoro (fam. solanaceae)
Gramineae, poaceae (fam. solanaceae) – All’interno della famiglia: frumento, mais, segale, orzo, riso, avena, con il polline di Gramineae e con il pomodoro
Leguminoseae , papilionaceae – All’interno della famiglia: fagioli, soia, arachidi, piselli, lenticchie, liquerizia, gomme
Liliaceae – All’interno della famiglia: asparago, porro, cipolla, aglio, ecc.
Solanaceae – All’interno della famiglia: patata, melanzana, peperone, pomodoro e con le graminaceae
Rutaceae – All’interno della famiglia: limone, mandarino, pompelmo, arancia, cedro e con il vischio (fam. Loranthaceae)
Rosaceae – All’interno della famiglia: mandorle, mela, albicocca, pesca, susina, ciliegia, prugna, fragola e con il polline di betulla
Umbelliferae, apiaceae – All’interno della famiglia: anice, carota, finocchio, sedano, prezzemolo e con il polline di artemisia
Grano, segale – Papaina, bromelina, e polline di betulla
Banana, castagna, kiwi, avocado – Tra di loro,con il lattice e il ficus beniamina
Banana – Melone e polline di Compositeae
Carota – Lattuga, sedano, anice, mela, patata, segale, frumento, ananas, avocado, e polline di betulla
Mela – Patata, carota, sedano, e con il polline di betulla
Semi e noci – Fra di loro (noce, noce americana, nocciola, mandorla) e con l’arachide (fam. leguminoseae)
Nocciole, sedano, carota, arancio, patata, ciliegia, kiwi – Polline di betulla
Sedano – Carota, cumino, anice, finocchio, coriandolo, pepe, noce moscata, zenzero, cannella
Nocciole – Segale, semi di sesamo, kiwi, semi di papavero
Latte – Fra di loro (latte di mucca, capra, ecc.)
Uova – Singole proteine, ovoalbumina, ovomucoide, e con le piume ed il siero di volatili
Carni – Fra di loro (carne di maiale, di bue, di coniglio, ecc.) e fra carne di bovino e latte
Crustacea – All’interno della famiglia: gambero, aragosta, granchio, calamaro ecc.
Gasteropodi – Acari
Molluschi – Tra di loro ( mitili, vongole, ostriche, ecc.)
Pesci – Tra di loro (merluzzo, sgombro, salmone, trota, tonno, ecc.)
Surimi – Merluzzo
La conoscenza delle reattività crociate consente, una volta individuato un alimento responsabile di manifestazioni allergiche, di escludere dalla dieta del paziente anche gli alimenti potenzialmente responsabili di cross-reattività con l'alimento riconosciuto come sicura causa di allergia.
ALLERGENI NASCOSTI
Nei singoli alimenti si possono riscontrare allergeni imprevisti in quanto non propri della naturale composizione dell'alimento e dovuti a contaminazione tra alimenti, cross-reattività tra allergeni alimentari (ad es. tra arachide e soia: appartengono infatti entrambe alla famiglia delle leguminose), uso di sostanze allergizzanti indicate con nome generico o non dichiarate nelle etichette, indicazioni non corrette delle sostanze utilizzate per la preparazione degli alimenti, nomenclature complesse e diverse nei vari paesi, alimenti transgenici, contaminazioni con additivi intenzionali (conservanti, coloranti, addensanti, ecc.) o additivi accidentali (sostanze inquinanti, antibiotici per uso veterinario, pesticidi, ecc.).
Ad esempio, la soia è usata in moltissime preparazioni come ingrediente aggiuntivo, stabilizzante nei prodotti a base di cereali, e nella carne. Le gomme di origine vegetale vengono usate come addensanti o stabilizzanti. Così pure sono d'uso comune come ingredienti aggiuntivi le arachidi, il frumento, le uova e il latte.
Infine va considerato che esistono alcuni allergeni termolabili (ad esempio allergeni di mele, patate e carote) e altri termostabili (ad esempio alcuni allergeni del latte vaccino, di albume d'uovo e di arachidi) per cui anche la preparazione e la cottura dei cibi può influire sul loro potere allergizzante.
Ad esempio, la soia è usata in moltissime preparazioni come ingrediente aggiuntivo, stabilizzante nei prodotti a base di cereali, e nella carne. Le gomme di origine vegetale vengono usate come addensanti o stabilizzanti. Così pure sono d'uso comune come ingredienti aggiuntivi le arachidi, il frumento, le uova e il latte.
Infine va considerato che esistono alcuni allergeni termolabili (ad esempio allergeni di mele, patate e carote) e altri termostabili (ad esempio alcuni allergeni del latte vaccino, di albume d'uovo e di arachidi) per cui anche la preparazione e la cottura dei cibi può influire sul loro potere allergizzante.
DIAGNOSI
Le manifestazioni cliniche di allergia possono interessare diversi organi e apparati:
- Gastroenterici: sindrome orale allergica (prurito oro-faringeo con papule o vescicole ed edema labiale), nausea, vomito, dolori addominali crampiformi, diarrea
- Cutanei: orticaria, angioedema al volto, dermatite atopica, prurito
- Respiratori: rinite, asma bronchiale, edema laringeo
- Cardiovascolari: shock anafilattico
- Neurologici: cefalea, convulsioni
Quando la sintomatologia è acuta, ricorrente o ad esordio immediato, spesso il paziente sa riferire un rapporto presunto di causa-effetto con uno o più alimenti. Allora si conferma la diagnosi attraverso la ripetuta positività di un test di provocazione, consistente nel somministrare di nuovo l'alimento ritenuto responsabile per verificare l'effettivo scatenamento dei sintomi precedentemente accusati, attuabile solo se i sintomi non presentavano una gravità tale da controindicare l'esecuzione del test (es. shock anafilattico); in questi casi, una volta individuati gli alimenti responsabili, la terapia dietetica consiste semplicemente nella loro esclusione dalla dieta, escludendo anche i cibi che danno reattività crociata (J. Allergy Clin. Immunol. 1984, 73/6: 749-62).
Va ricordato che i test di provocazione alimentare possono accertare la diagnosi di reazione avversa ad un alimento ma non identificare il meccanismo patogenetico con cui questa avviene.
L'impiego di test epicutanei (prick test) e della ricerca nel siero di IgE specifiche con il metodo RAST o ELISA ha l'obiettivo di riconoscere una patogenesi IgE mediata ad una reazione avversa ai cibi già diagnosticata con i test di provocazione alimentare, ma spesso da risultati che non concordano con l'esito dei più specifici test di provocazione alimentare (Chron. Dermatol. 1991, 2: 199-208).
- Gastroenterici: sindrome orale allergica (prurito oro-faringeo con papule o vescicole ed edema labiale), nausea, vomito, dolori addominali crampiformi, diarrea
- Cutanei: orticaria, angioedema al volto, dermatite atopica, prurito
- Respiratori: rinite, asma bronchiale, edema laringeo
- Cardiovascolari: shock anafilattico
- Neurologici: cefalea, convulsioni
Quando la sintomatologia è acuta, ricorrente o ad esordio immediato, spesso il paziente sa riferire un rapporto presunto di causa-effetto con uno o più alimenti. Allora si conferma la diagnosi attraverso la ripetuta positività di un test di provocazione, consistente nel somministrare di nuovo l'alimento ritenuto responsabile per verificare l'effettivo scatenamento dei sintomi precedentemente accusati, attuabile solo se i sintomi non presentavano una gravità tale da controindicare l'esecuzione del test (es. shock anafilattico); in questi casi, una volta individuati gli alimenti responsabili, la terapia dietetica consiste semplicemente nella loro esclusione dalla dieta, escludendo anche i cibi che danno reattività crociata (J. Allergy Clin. Immunol. 1984, 73/6: 749-62).
Va ricordato che i test di provocazione alimentare possono accertare la diagnosi di reazione avversa ad un alimento ma non identificare il meccanismo patogenetico con cui questa avviene.
L'impiego di test epicutanei (prick test) e della ricerca nel siero di IgE specifiche con il metodo RAST o ELISA ha l'obiettivo di riconoscere una patogenesi IgE mediata ad una reazione avversa ai cibi già diagnosticata con i test di provocazione alimentare, ma spesso da risultati che non concordano con l'esito dei più specifici test di provocazione alimentare (Chron. Dermatol. 1991, 2: 199-208).
TERAPIA
Il trattamento delle allergie ed intolleranze alimentari consiste essenzialmente nell'escludere dalla dieta i cibi in causa.
Ciò presuppone la conoscenza della composizione degli alimenti, necessaria per individuare le sostanze in causa soprattutto se contenute nei cibi in forma inapparente come gli additivi oppure se capaci di dare reattività crociate come è tipico di diversi allergeni.
Se la sintomatologia evocata da un allergene ingerito è ad esordio tardivo o è cronica, cioè continuativa da almeno 6 settimane, spesso il paziente non appare in grado di individuare gli alimenti responsabili in base all'anamnesi.
Allora il paziente può essere sottoposto per un periodo di 2-5 settimane a una dieta base restrittiva e ipoallergica che ha lo scopo di far regredire i sintomi con l'eliminazione contemporanea di quasi tutti gli alimenti potenzialmente più allergizzanti.
Un esempio di dieta restrittiva è la dieta di Sheldon a base di riso (in alternativa: patate), carne di agnello (in alternativa: coniglio, tacchino), lattuga (in alternativa: carote), olio extravergine d'oliva, sale, zucchero di canna, acqua minerale.
Una volta risolta la sintomatologia con la dieta base, si prosegue con una dieta di provocazione, consistente nell'integrare la dieta base risultata efficace con l'inserimento progressivo di singoli alimenti o di gruppi di alimenti antigenicamente affini (tabelle 2-4), da introdurre in successione ad intervalli di almeno tre giorni per verificare con certezza la loro eventuale responsabilità anche nell'insorgenza di reazioni ritardate.
L'alimento o il gruppo di alimenti che si dimostrano tolleranti vengono mantenuti nella dieta mentre invece quelli che provocano manifestazioni cliniche vengono identificati ed esclusi dalla dieta dopo aver ripetuto il test di provocazione per verificare con certezza il rapporto casuale.
L'impiego delle diete di eliminazione e provocazione, se non controindicato dalla gravità delle reazioni avverse evocate, risulta utile allo scopo finale di ottenere, mediante la costante compilazione di un diario alimentare, un elenco di alimenti e/o additivi alimentari non tollerati da escludere ed un elenco di quelli tollerati da poter mantenere con sicurezza nella dieta.
L'esecuzione corretta della dieta di provocazione richiede l'uso di alimenti puri, cioè senza additivi e assunti nelle quantità abituali.
Dato che nella prima infanzia le allergie alimentari sono prevalentemente imputabili al consumo di uova, latte e derivati, allo scopo di evitare l'imposizione di un'inutile ed eccessiva restrizione alimentare, difficile da seguire con costanza, nei bambini con eczema topico è stato proposto con successo l'impiego di uno schema dietetico che prevede per un periodo di venti giorni solo l'esclusione di latte e derivati e poi per un uguale periodo di uova e derivati (Arch. Dis. Child. 1983, 58: 463).
Se questo schema dietetico non da un miglioramento clinico, si può comunque ricorrere nei bambini ad una dieta base ipoallergica, ad esempio a base di riso e di idrolisati proteici, a base di amminoacidi di sintesi oppure a base di soia che però può essere anch'essa allergizzante (Recenti Progressi in Medicina 1999, 90\9: 473).
Tra le reazioni avverse al cibo mediate da meccanismi immunologici va considerato anche il morbo celiaco che si cura eliminando dalla dieta gli alimenti contenenti glutine e si può diagnosticare con la ricerca nel siero di anticorpi anti-endomisio e anti-gliadina.
Ciò presuppone la conoscenza della composizione degli alimenti, necessaria per individuare le sostanze in causa soprattutto se contenute nei cibi in forma inapparente come gli additivi oppure se capaci di dare reattività crociate come è tipico di diversi allergeni.
Se la sintomatologia evocata da un allergene ingerito è ad esordio tardivo o è cronica, cioè continuativa da almeno 6 settimane, spesso il paziente non appare in grado di individuare gli alimenti responsabili in base all'anamnesi.
Allora il paziente può essere sottoposto per un periodo di 2-5 settimane a una dieta base restrittiva e ipoallergica che ha lo scopo di far regredire i sintomi con l'eliminazione contemporanea di quasi tutti gli alimenti potenzialmente più allergizzanti.
Un esempio di dieta restrittiva è la dieta di Sheldon a base di riso (in alternativa: patate), carne di agnello (in alternativa: coniglio, tacchino), lattuga (in alternativa: carote), olio extravergine d'oliva, sale, zucchero di canna, acqua minerale.
Una volta risolta la sintomatologia con la dieta base, si prosegue con una dieta di provocazione, consistente nell'integrare la dieta base risultata efficace con l'inserimento progressivo di singoli alimenti o di gruppi di alimenti antigenicamente affini (tabelle 2-4), da introdurre in successione ad intervalli di almeno tre giorni per verificare con certezza la loro eventuale responsabilità anche nell'insorgenza di reazioni ritardate.
L'alimento o il gruppo di alimenti che si dimostrano tolleranti vengono mantenuti nella dieta mentre invece quelli che provocano manifestazioni cliniche vengono identificati ed esclusi dalla dieta dopo aver ripetuto il test di provocazione per verificare con certezza il rapporto casuale.
L'impiego delle diete di eliminazione e provocazione, se non controindicato dalla gravità delle reazioni avverse evocate, risulta utile allo scopo finale di ottenere, mediante la costante compilazione di un diario alimentare, un elenco di alimenti e/o additivi alimentari non tollerati da escludere ed un elenco di quelli tollerati da poter mantenere con sicurezza nella dieta.
L'esecuzione corretta della dieta di provocazione richiede l'uso di alimenti puri, cioè senza additivi e assunti nelle quantità abituali.
Dato che nella prima infanzia le allergie alimentari sono prevalentemente imputabili al consumo di uova, latte e derivati, allo scopo di evitare l'imposizione di un'inutile ed eccessiva restrizione alimentare, difficile da seguire con costanza, nei bambini con eczema topico è stato proposto con successo l'impiego di uno schema dietetico che prevede per un periodo di venti giorni solo l'esclusione di latte e derivati e poi per un uguale periodo di uova e derivati (Arch. Dis. Child. 1983, 58: 463).
Se questo schema dietetico non da un miglioramento clinico, si può comunque ricorrere nei bambini ad una dieta base ipoallergica, ad esempio a base di riso e di idrolisati proteici, a base di amminoacidi di sintesi oppure a base di soia che però può essere anch'essa allergizzante (Recenti Progressi in Medicina 1999, 90\9: 473).
Tra le reazioni avverse al cibo mediate da meccanismi immunologici va considerato anche il morbo celiaco che si cura eliminando dalla dieta gli alimenti contenenti glutine e si può diagnosticare con la ricerca nel siero di anticorpi anti-endomisio e anti-gliadina.
INTOLLERANZE E PATOLOGIE
Il campo delle intolleranze alimentari è in continua evoluzione; secondo chi opera con le intolleranze, il 40-50% della popolazione ne sarebbe afflitto, secondo la scienza ufficiale non più del 5-10% avrebbe disturbi dovuti alle intolleranze.
Poiché le intolleranze alimentari sono responsabili di una minor difesa dell'organismo, alcune patologie potrebbero essere significativamente interessate: riniti, asma, congiuntiviti, dermatiti, dermatosi, eczemi, psoriasi, coliti. Per altre si ipotizza l'importanza del ruolo degli aspetti immunitari dell'alimentazione, ma sembra ancora prematuro inserirlo fra i fattori prioritari di considerazione. Ciò che è importante notare è che la relazione fra patologia e intolleranza è probabilistica nel senso che la patologia può dipendere dall'intolleranza, non dipende necessariamente da essa. Utilizzando la legge di guarigione totale, il soggetto che soffre di una patologia e al quale è stata diagnosticata un'intolleranza, nel momento in cui elimina l'intolleranza, deve guarire dal suo problema: un generico leggero miglioramento o un semplice allungamento delle recidive deve far continuare l'indagine delle cause al di fuori del campo alimentare. In altre parole non si deve incorrere nell'errore di monocausa, rapportando ogni stato del soggetto al suo profilo alimentare.
Esistono diversi test che promettono di rivelare le intolleranze alimentari. Nella medicina convenzionale i test attualmente riconosciuti sono rivolti a un solo alimento (lattosio, glutine); ciò è garanzia di serietà. In campo non convenzionale si pretenderebbe con un'unica tipologia di test di scoprire tutte le intolleranze possibili.
Quando si parla di "test per le intolleranze" (al plurale e generico) si vuole indicare un test che vada bene per tante intolleranze. Limitandoci a questa definizione, è quindi importante distinguere fra:
non hanno basi scientifiche (cioè non spiegano scientificamente i motivi dell'intolleranza; per esempio dire che l'intolleranza è prodotta da tossine che si accumulano nell'organismo è una spiegazione di validità nulla, se non si spiega il meccanismo d'accumulo, di quali tossine si tratta, se non le si rilevano realmente ecc.). Si basano su concetti generici molto discutibili che tendono a dare di un fenomeno una determinata spiegazione (l'intolleranza) fra le tante possibili (errore di partigianeria).
Non sono mai sottoposti a test di validazione su campioni di popolazione molto numerosi, anzi chi li promuove evita queste verifiche.
I secondi (test scientifici) sono molto recenti e sono la risposta della scienza ufficiale al dilagare (spesso facilitata da enormi interessi commerciali) di test non scientifici. Negli ultimi anni sono nati alcuni test che, partendo da una spiegazione dell'intolleranza, si prefiggono di rilevarla. Purtroppo, nonostante l'entusiasmo dei promotori, sono ancora sotto esame e nulla di definitivo si può affermare.
Vediamo le difficoltà dei test per le intolleranze.
La sensibilità - È la probabilità che soggetto malato (quindi intollerante) presenti un test positivo. Se il test è affidabile dovrebbe essere il 100%. Poiché si conosce e si riesce a diagnosticare l'intolleranza al glutine (celiachia), si può usare questa forma di intolleranza per valutare la sensibilità dei test. I test non scientifici hanno dimostrato sensibilità che non arrivano mai al 30%, nonostante siano molto propensi a giudicare un soggetto intollerante a qualche alimento. Alcuni test scientifici sotto esame sembra possano arrivare al 70%, una percentuale comunque non soddisfacente. Ricordiamo che una percentuale non indica affatto un successo: anche inventando un test a caso, è possibile giudicare intolleranti individui celiaci con percentuali dell'ordine del 20-30%. Il trucco è semplice: basta considerare l'80% della popolazione intollerante a qualcosa, privilegiare le intolleranze più conosciute e si azzeccherà almeno nella metà dei casi di celiachia.
La specificità - È la probabilità che un soggetto sano presenti un test negativo. Dovrebbe essere 1 (cioè il 100% dei soggetti sani risulta negativo). Questo è il punto dolente dei test anti-intolleranze. I falsi positivi sono quella percentuale (variabile da test a test) che risulta intollerante, ma non presenta problemi, cioè è sana. Per i test non scientifici tale percentuale è molto alta, circa l'80%: se prendiamo cioè 100 soggetti sani e li sottoponiamo al test, ben 80 risultano malati (cioè la specificità è solo del 20%)! A questo punto il test diventa scarsamente affidabile anche sui malati.
La tipologia degli alimenti - Alcuni test come il VEGA vogliono verificare l'intolleranza su alimenti complessi, per esempio il cioccolato. Il problema è come fare a capire se uno è intollerante a latte, cacao, nichel, zucchero, lecitina di soia, o grassi idrogenati vegetali. Altri (come il DRIA) raffinano gli alimenti. Però anche se si semplificano gli alimenti, si tratta sempre di cibi costituiti da decine di sostanze. E se si scoprisse che l'intolleranza è per una certa vitamina (per esempio chi è intollerante al lievito potrebbe essere intollerante a vitamine del gruppo B contenute nel lievito) o per un certo aminoacido, che senso ha testare alimenti anche semplici che contengono decine di vitamine o decine di aminoacidi?
La quantità degli alimenti - Generalmente si arriva a 30-40, nei test più costosi a 100-150. Non è credibile scientificamente che ne bastino così pochi. A volte si ragiona per classi (i formaggi), ma ciò nasce dal non sapere esattamente ancora qual è la vera sostanza che produce l'intolleranza. Analizzare il grana e supporlo rappresentante di tutti i formaggi (ricotta, pecorino, groviera) dal punto di vista scientifico è l'equivalente per un biologo analizzare un topo anziché un elefante (tanto sono tutt'e due mammiferi). Basta pensare che gli additivi sono centinaia per capire come è rozzo definire una persona intollerante ai salumi: e se fosse intollerante ai conservanti contenuti in essi, piuttosto che all'alimento in sé (la maggior parte dei salumi contiene nitriti e nitrati). È molto più ragionevole pensare che un soggetto sia intollerante a un additivo (e, ripetiamo, sono centinaia) che a un alimento.
Le estensioni - Molti terapeuti hanno visto che eliminando gli alimenti positivi la situazione del paziente non migliorava (già questo è un limite al test); allora hanno esteso gli alimenti proibiti a partire dall'alimento trovato positivo. A prescindere dal fatto che se le estensioni sono troppo vaste l'alimentazione diventa un incubo, che senso ha escludere alimenti che sono risultati negativi? Per esempio l'intolleranza al solo lievito chimico genera l'esclusione di tutto ciò che è fermentato; genera anche l'esclusione del lievito di birra, del formaggio grana, del dado da brodo ecc. In genere ciò viene spiegato con il fatto che nel meccanismo di somma infiammatoria che si determina mangiando cibi verso cui esiste intolleranza, ogni cibo che determina fermentazione ha un minimo effetto o grande effetto nel determinare la sommatoria finale. Spiegazione a livello di stregoneria, piuttosto che di scienza, poco convincente perché a questo punto il cibo incomincia a diventare un GRANDE NEMICO.
L'incompatibilità - I vari test sono fra di loro incompatibili nel senso che non danno gli stessi risultati. Questa non è una prova di condanna generale (potrebbe essercene uno valido e gli altri no), ma deve far riflettere. Inoltre molti test non scientifici risalgono a 40-50 anni fa: nonostante ciò non sono riusciti ad affermarsi con credibilità.
Riporto un riassunto dall'inserto Salute di Repubblica.
Vega -In due recenti studi (2001-2002) la metodica non si è dimostrata in grado di distinguere i sani dai malati allergici ad acari o gatto.
Citotest - Nulla dimostra che l'allergia alimentare sia sostenuta da meccanismi di citotossicità; il test non individua reazioni immunologiche.
Test del capello - In uno studio del 1987 (pubblicato su Lancet) si è valutata l'incapacità di discriminare soggetti affetti da allergie alimentari al pesce da soggetti sani. In 5 diversi laboratori stesso negativo risultato.
DRIA - Uno studio pubblicato dal British Medical Journal (1988) ha dimostrato che la capacità di discriminare pazienti con patologie è "puramente casuale".
Dosaggio IgG specifiche - Almeno 4 studi controllati evidenziano che anticorpi IgG specifici per i comuni allergeni alimentari possono essere riscontrati in soggetti sani e in altre patologie. Il loro dosaggio non fa parte della diagnostica dell'allergia alimentare.
Iridologia - Una rassegna di studi controllati disponibili (4) ne esclude la validità diagnostica.
Perché hanno successo? "Offrono una risposta ai malesseri" risponde Carolina Ciacci, gastroenterologa al Federico II di Napoli "sono facilmente accessibili, si decide da soli quando farli, basta pagare. Io, però, li vieterei".
Visto che i test non sono affidabili, facciamo quindi il punto:
Le intolleranze sono molto di moda e purtroppo una parte della medicina convenzionale le sopravvaluta. I fatti a oggi certi sono:
Le spiegazioni che danno i fautori delle intolleranze sono di una genericità assoluta, senza termini scientifici precisi (i pochi presenti sono negativi, del tipo "le intolleranze NON sono ecc."), a metà strada fra la spiegazione di uno stregone e la spiegazione di un "filosofo" alimentare. Leggiamone alcune prese dalla rete e pubblicate su siti di un certo spessore.
L'intolleranza alimentare invece agisce in relazione alla quantità di alimenti non tollerati ingeriti e con un fenomeno di accumulo di cosiddette "tossine" nell'organismo… Le cosiddette tossine nessuno le specifica mai, né chimicamente né biologicamente.
L'intolleranza alimentare non è esattamente un'allergia, ma può mantenere in piedi un'allergia vera e propria. Vi sembra preciso???
L'intolleranza alimentare è sempre dose-dipendente ed è determinata da molecole particolari farmacologicamente attive presenti negli alimenti, oppure conseguente ad un disturbo della digestione o dell'assorbimento dei principali costituenti alimentari. Quali molecole? Nessuno lo dice mai...
L'ultima definizione, forse la più precisa, spiega chiaramente perché le intolleranze sono una bufala. Infatti dire che si è intolleranti a un cibo è un'approssimazione scientifica inaccettabile. Un medico che dice a un paziente che è intollerante per esempio al pomodoro è equivalente a un medico che si esprime su una forma tumorale dicendo che è "un brutto male". Infatti non è mai l'alimento che può causare intolleranza, ma una molecola contenuta nel cibo. Non si è intolleranti al frumento, ma al glutine, un gruppo di proteine contenute in alcuni cereali. Questa banale constatazione fa crollare il tentativo di mettere in piedi test per le intolleranze basati su cibi (tutti quelli che ci sono in giro!). Infatti non ha senso provare il paziente con un cibo, si deve provarlo con una molecola fisiologicamente attiva. Solo che le molecole possibili sono milioni. Non tutti i broccoli sono uguali, alcune varietà contengono sostanze che altri non contengono: che senso ha parlare di intolleranza al broccolo? Pensiamo alle decine di pani diversi con ingredienti diversi. Che senso ha parlare di intolleranza al pane?
Quindi:
diffidate di chi vi dice che siete intolleranti a un cibo: scientificità nulla!
Le intolleranze note
Sono quella al glutine e al lattosio. Si può ipotizzare che se ne scopriranno altre, ma è importante notare che queste intolleranze si rivelano con esami molto precisi. Per esempio per l'intolleranza al glutine, la diagnosi di celiachia si effettua mediante dosaggi sierologici: gli AGA (anticorpi antigliadina di classe IgA e IgG), gli EMA (anticorpi antiendomisio di classe IgA). Recentemente è stato messo a punto un nuovo test per il dosaggio di anticorpi di classe IgA, gli Anti-transglutaminasi.
Insomma la diagnosi avviene non certo con l'analisi di un capello o con test ottimistici e sbrigativi. Notiamo comunque ancora una volta che il test ricerca entità ben più fini del generico concetto di cibo.
Un consiglio ai fautori delle intolleranze:
invece di colpire i cibi, cercate di studiare le eventuali molecole (sostanze) che possono causare il problema.
I test non funzionano
A prescindere dal tipo di test e dalla stupenda spiegazione che vi danno, dovrebbe essere ormai chiaro che un test non dovrebbe indagare il cibo, ma le centinaia di sostanze contenute in esso.
Poiché le intolleranze alimentari sono responsabili di una minor difesa dell'organismo, alcune patologie potrebbero essere significativamente interessate: riniti, asma, congiuntiviti, dermatiti, dermatosi, eczemi, psoriasi, coliti. Per altre si ipotizza l'importanza del ruolo degli aspetti immunitari dell'alimentazione, ma sembra ancora prematuro inserirlo fra i fattori prioritari di considerazione. Ciò che è importante notare è che la relazione fra patologia e intolleranza è probabilistica nel senso che la patologia può dipendere dall'intolleranza, non dipende necessariamente da essa. Utilizzando la legge di guarigione totale, il soggetto che soffre di una patologia e al quale è stata diagnosticata un'intolleranza, nel momento in cui elimina l'intolleranza, deve guarire dal suo problema: un generico leggero miglioramento o un semplice allungamento delle recidive deve far continuare l'indagine delle cause al di fuori del campo alimentare. In altre parole non si deve incorrere nell'errore di monocausa, rapportando ogni stato del soggetto al suo profilo alimentare.
Esistono diversi test che promettono di rivelare le intolleranze alimentari. Nella medicina convenzionale i test attualmente riconosciuti sono rivolti a un solo alimento (lattosio, glutine); ciò è garanzia di serietà. In campo non convenzionale si pretenderebbe con un'unica tipologia di test di scoprire tutte le intolleranze possibili.
Quando si parla di "test per le intolleranze" (al plurale e generico) si vuole indicare un test che vada bene per tante intolleranze. Limitandoci a questa definizione, è quindi importante distinguere fra:
- test non convenzionali
- test validabili convenzionalmente.
non hanno basi scientifiche (cioè non spiegano scientificamente i motivi dell'intolleranza; per esempio dire che l'intolleranza è prodotta da tossine che si accumulano nell'organismo è una spiegazione di validità nulla, se non si spiega il meccanismo d'accumulo, di quali tossine si tratta, se non le si rilevano realmente ecc.). Si basano su concetti generici molto discutibili che tendono a dare di un fenomeno una determinata spiegazione (l'intolleranza) fra le tante possibili (errore di partigianeria).
Non sono mai sottoposti a test di validazione su campioni di popolazione molto numerosi, anzi chi li promuove evita queste verifiche.
I secondi (test scientifici) sono molto recenti e sono la risposta della scienza ufficiale al dilagare (spesso facilitata da enormi interessi commerciali) di test non scientifici. Negli ultimi anni sono nati alcuni test che, partendo da una spiegazione dell'intolleranza, si prefiggono di rilevarla. Purtroppo, nonostante l'entusiasmo dei promotori, sono ancora sotto esame e nulla di definitivo si può affermare.
Vediamo le difficoltà dei test per le intolleranze.
La sensibilità - È la probabilità che soggetto malato (quindi intollerante) presenti un test positivo. Se il test è affidabile dovrebbe essere il 100%. Poiché si conosce e si riesce a diagnosticare l'intolleranza al glutine (celiachia), si può usare questa forma di intolleranza per valutare la sensibilità dei test. I test non scientifici hanno dimostrato sensibilità che non arrivano mai al 30%, nonostante siano molto propensi a giudicare un soggetto intollerante a qualche alimento. Alcuni test scientifici sotto esame sembra possano arrivare al 70%, una percentuale comunque non soddisfacente. Ricordiamo che una percentuale non indica affatto un successo: anche inventando un test a caso, è possibile giudicare intolleranti individui celiaci con percentuali dell'ordine del 20-30%. Il trucco è semplice: basta considerare l'80% della popolazione intollerante a qualcosa, privilegiare le intolleranze più conosciute e si azzeccherà almeno nella metà dei casi di celiachia.
La specificità - È la probabilità che un soggetto sano presenti un test negativo. Dovrebbe essere 1 (cioè il 100% dei soggetti sani risulta negativo). Questo è il punto dolente dei test anti-intolleranze. I falsi positivi sono quella percentuale (variabile da test a test) che risulta intollerante, ma non presenta problemi, cioè è sana. Per i test non scientifici tale percentuale è molto alta, circa l'80%: se prendiamo cioè 100 soggetti sani e li sottoponiamo al test, ben 80 risultano malati (cioè la specificità è solo del 20%)! A questo punto il test diventa scarsamente affidabile anche sui malati.
La tipologia degli alimenti - Alcuni test come il VEGA vogliono verificare l'intolleranza su alimenti complessi, per esempio il cioccolato. Il problema è come fare a capire se uno è intollerante a latte, cacao, nichel, zucchero, lecitina di soia, o grassi idrogenati vegetali. Altri (come il DRIA) raffinano gli alimenti. Però anche se si semplificano gli alimenti, si tratta sempre di cibi costituiti da decine di sostanze. E se si scoprisse che l'intolleranza è per una certa vitamina (per esempio chi è intollerante al lievito potrebbe essere intollerante a vitamine del gruppo B contenute nel lievito) o per un certo aminoacido, che senso ha testare alimenti anche semplici che contengono decine di vitamine o decine di aminoacidi?
La quantità degli alimenti - Generalmente si arriva a 30-40, nei test più costosi a 100-150. Non è credibile scientificamente che ne bastino così pochi. A volte si ragiona per classi (i formaggi), ma ciò nasce dal non sapere esattamente ancora qual è la vera sostanza che produce l'intolleranza. Analizzare il grana e supporlo rappresentante di tutti i formaggi (ricotta, pecorino, groviera) dal punto di vista scientifico è l'equivalente per un biologo analizzare un topo anziché un elefante (tanto sono tutt'e due mammiferi). Basta pensare che gli additivi sono centinaia per capire come è rozzo definire una persona intollerante ai salumi: e se fosse intollerante ai conservanti contenuti in essi, piuttosto che all'alimento in sé (la maggior parte dei salumi contiene nitriti e nitrati). È molto più ragionevole pensare che un soggetto sia intollerante a un additivo (e, ripetiamo, sono centinaia) che a un alimento.
Le estensioni - Molti terapeuti hanno visto che eliminando gli alimenti positivi la situazione del paziente non migliorava (già questo è un limite al test); allora hanno esteso gli alimenti proibiti a partire dall'alimento trovato positivo. A prescindere dal fatto che se le estensioni sono troppo vaste l'alimentazione diventa un incubo, che senso ha escludere alimenti che sono risultati negativi? Per esempio l'intolleranza al solo lievito chimico genera l'esclusione di tutto ciò che è fermentato; genera anche l'esclusione del lievito di birra, del formaggio grana, del dado da brodo ecc. In genere ciò viene spiegato con il fatto che nel meccanismo di somma infiammatoria che si determina mangiando cibi verso cui esiste intolleranza, ogni cibo che determina fermentazione ha un minimo effetto o grande effetto nel determinare la sommatoria finale. Spiegazione a livello di stregoneria, piuttosto che di scienza, poco convincente perché a questo punto il cibo incomincia a diventare un GRANDE NEMICO.
L'incompatibilità - I vari test sono fra di loro incompatibili nel senso che non danno gli stessi risultati. Questa non è una prova di condanna generale (potrebbe essercene uno valido e gli altri no), ma deve far riflettere. Inoltre molti test non scientifici risalgono a 40-50 anni fa: nonostante ciò non sono riusciti ad affermarsi con credibilità.
Riporto un riassunto dall'inserto Salute di Repubblica.
Vega -In due recenti studi (2001-2002) la metodica non si è dimostrata in grado di distinguere i sani dai malati allergici ad acari o gatto.
Citotest - Nulla dimostra che l'allergia alimentare sia sostenuta da meccanismi di citotossicità; il test non individua reazioni immunologiche.
Test del capello - In uno studio del 1987 (pubblicato su Lancet) si è valutata l'incapacità di discriminare soggetti affetti da allergie alimentari al pesce da soggetti sani. In 5 diversi laboratori stesso negativo risultato.
DRIA - Uno studio pubblicato dal British Medical Journal (1988) ha dimostrato che la capacità di discriminare pazienti con patologie è "puramente casuale".
Dosaggio IgG specifiche - Almeno 4 studi controllati evidenziano che anticorpi IgG specifici per i comuni allergeni alimentari possono essere riscontrati in soggetti sani e in altre patologie. Il loro dosaggio non fa parte della diagnostica dell'allergia alimentare.
Iridologia - Una rassegna di studi controllati disponibili (4) ne esclude la validità diagnostica.
Perché hanno successo? "Offrono una risposta ai malesseri" risponde Carolina Ciacci, gastroenterologa al Federico II di Napoli "sono facilmente accessibili, si decide da soli quando farli, basta pagare. Io, però, li vieterei".
Visto che i test non sono affidabili, facciamo quindi il punto:
Le intolleranze sono molto di moda e purtroppo una parte della medicina convenzionale le sopravvaluta. I fatti a oggi certi sono:
- Nessuno sa cosa sono.
- Sono note scientificamente l'intolleranza al glutine (celiachia) e quella al lattosio; alcune allergie vengono scambiate per intolleranze (come quella per il nichel).
- I test antintolleranza non funzionano.
- Il 90% delle presunte intolleranze sono intolleranze di secondo livello o false intolleranze.
Le spiegazioni che danno i fautori delle intolleranze sono di una genericità assoluta, senza termini scientifici precisi (i pochi presenti sono negativi, del tipo "le intolleranze NON sono ecc."), a metà strada fra la spiegazione di uno stregone e la spiegazione di un "filosofo" alimentare. Leggiamone alcune prese dalla rete e pubblicate su siti di un certo spessore.
L'intolleranza alimentare invece agisce in relazione alla quantità di alimenti non tollerati ingeriti e con un fenomeno di accumulo di cosiddette "tossine" nell'organismo… Le cosiddette tossine nessuno le specifica mai, né chimicamente né biologicamente.
L'intolleranza alimentare non è esattamente un'allergia, ma può mantenere in piedi un'allergia vera e propria. Vi sembra preciso???
L'intolleranza alimentare è sempre dose-dipendente ed è determinata da molecole particolari farmacologicamente attive presenti negli alimenti, oppure conseguente ad un disturbo della digestione o dell'assorbimento dei principali costituenti alimentari. Quali molecole? Nessuno lo dice mai...
L'ultima definizione, forse la più precisa, spiega chiaramente perché le intolleranze sono una bufala. Infatti dire che si è intolleranti a un cibo è un'approssimazione scientifica inaccettabile. Un medico che dice a un paziente che è intollerante per esempio al pomodoro è equivalente a un medico che si esprime su una forma tumorale dicendo che è "un brutto male". Infatti non è mai l'alimento che può causare intolleranza, ma una molecola contenuta nel cibo. Non si è intolleranti al frumento, ma al glutine, un gruppo di proteine contenute in alcuni cereali. Questa banale constatazione fa crollare il tentativo di mettere in piedi test per le intolleranze basati su cibi (tutti quelli che ci sono in giro!). Infatti non ha senso provare il paziente con un cibo, si deve provarlo con una molecola fisiologicamente attiva. Solo che le molecole possibili sono milioni. Non tutti i broccoli sono uguali, alcune varietà contengono sostanze che altri non contengono: che senso ha parlare di intolleranza al broccolo? Pensiamo alle decine di pani diversi con ingredienti diversi. Che senso ha parlare di intolleranza al pane?
Quindi:
diffidate di chi vi dice che siete intolleranti a un cibo: scientificità nulla!
Le intolleranze note
Sono quella al glutine e al lattosio. Si può ipotizzare che se ne scopriranno altre, ma è importante notare che queste intolleranze si rivelano con esami molto precisi. Per esempio per l'intolleranza al glutine, la diagnosi di celiachia si effettua mediante dosaggi sierologici: gli AGA (anticorpi antigliadina di classe IgA e IgG), gli EMA (anticorpi antiendomisio di classe IgA). Recentemente è stato messo a punto un nuovo test per il dosaggio di anticorpi di classe IgA, gli Anti-transglutaminasi.
Insomma la diagnosi avviene non certo con l'analisi di un capello o con test ottimistici e sbrigativi. Notiamo comunque ancora una volta che il test ricerca entità ben più fini del generico concetto di cibo.
Un consiglio ai fautori delle intolleranze:
invece di colpire i cibi, cercate di studiare le eventuali molecole (sostanze) che possono causare il problema.
I test non funzionano
A prescindere dal tipo di test e dalla stupenda spiegazione che vi danno, dovrebbe essere ormai chiaro che un test non dovrebbe indagare il cibo, ma le centinaia di sostanze contenute in esso.
LE FALSE INTOLLERANZE
Ma allora perché il concetto di intolleranza ha così successo?
Per i seguenti motivi:
Spieghiamolo con un'analogia.
Consideriamo Tizio, quarantenne in sovrappeso; gli facciamo fare uno sprint di 100 m. Al termine Tizio è paonazzo, respira affannosamente e ha sensazioni spiacevolissime. Soluzione sbrigativa e disastrosa: Tizio è intollerante alla corsa, "non correre più!" è il consiglio che ci sentiamo di dargli. Con questa soluzione Tizio non corre più, ma dopo una ventina di anni ha un infarto e muore mentre sale una semplice rampa di scale. Cos'è successo? Tizio non era intollerante alla corsa, era semplicemente un sedentario non allenato; il consiglio (non correre più!) ha addirittura facilitato l'infarto, perché Tizio ha continuato a vivere nella sedentarietà e con un'alimentazione scorretta.
Ora dovrebbe essere chiaro il concetto di intolleranza di secondo livello: non è una patologia, ma è un sintomo di una patologia. E c'è una bella differenza fra malattia e sintomo!
Non a caso, l'ultima definizione che abbiamo dato all'inizio della pagina parla di disturbi dell'assorbimento o della digestione. Se per esempio il soggetto ha problemi gastro-intestinali è ovvio che la sua digestione non avviene correttamente; in particolare alcuni cibi possono essere mal digeriti e provocare tutta una serie di sintomi spiacevoli. Eliminandoli, la qualità della vita del soggetto migliora, ma resta sempre un soggetto debole con una situazione dell'apparato digerente non ottimale. L'intolleranza all'alimento non è cioè la causa del problema, ma è uno delle conseguenze (ed è perciò detta di secondo livello). Si pone pertanto una domanda fondamentale: è più opportuno eliminare l'alimento o la causa che è alla radice del problema digestivo? Con un'analogia spieghiamo perché è preferibile rimuovere la causa e costruirsi un corpo forte e sano piuttosto che fuggire ed eliminare tutta una serie di alimenti che il nostro corpo non sa gestire. Si consideri un depresso e la sua "intolleranza alla vita". Qual è quello psichiatra che consiglierebbe al depresso, visto che è intollerante alla vita, di suicidarsi?
Analogamente è una situazione semplicistica e penalizzante eliminare una serie di alimenti senza capire perché il nostro fisico li rifiuta e senza cercare di educarlo ad accettarli (quando ciò è possibile, per esempio quando trattasi solo di disabitudine nel trattare l'alimento).
Quali sono le cause delle intolleranze di secondo livello?
Riassumiamole.
Concludendo: il consiglio di fortificare il fisico e di avere un ottimo stile di vita (anziché evitare questo o quello) appare scontato.
E le vere intolleranze?
Come detto, non si può escludere che in futuro si troveranno altre sostanze (non cibi!) che possono causare intolleranze, anche se la percentuale della popolazione con vere intolleranze risulterà sempre piccola. Chi pensa di essere un vero intollerante (non valgono cioè le tre cause possibili delle false intolleranze), può cercare di scoprire qualcosa con test empirici, ma razionali; lasciando perdere quelli basati su pseudoscienza. La situazione delle intolleranze è come quella della medicina del XVII sec. nei confronti della peste. Tante belle teorie che non risolvevano nulla.
Per i seguenti motivi:
- promette di risolvere tante fastidiose patologie in modo semplicistico (elimino un cibo!).
- È comunque supportato da terapeuti che, grazie alla loro preparazione, possono facilmente dare spiegazioni a chi è dotato di scarso spirito critico. In effetti, i test antintolleranze a una prima passata sembrano "credibili".
- Eliminando una serie di cibi, molti soggetti stanno effettivamente meglio.
Spieghiamolo con un'analogia.
Consideriamo Tizio, quarantenne in sovrappeso; gli facciamo fare uno sprint di 100 m. Al termine Tizio è paonazzo, respira affannosamente e ha sensazioni spiacevolissime. Soluzione sbrigativa e disastrosa: Tizio è intollerante alla corsa, "non correre più!" è il consiglio che ci sentiamo di dargli. Con questa soluzione Tizio non corre più, ma dopo una ventina di anni ha un infarto e muore mentre sale una semplice rampa di scale. Cos'è successo? Tizio non era intollerante alla corsa, era semplicemente un sedentario non allenato; il consiglio (non correre più!) ha addirittura facilitato l'infarto, perché Tizio ha continuato a vivere nella sedentarietà e con un'alimentazione scorretta.
Ora dovrebbe essere chiaro il concetto di intolleranza di secondo livello: non è una patologia, ma è un sintomo di una patologia. E c'è una bella differenza fra malattia e sintomo!
Non a caso, l'ultima definizione che abbiamo dato all'inizio della pagina parla di disturbi dell'assorbimento o della digestione. Se per esempio il soggetto ha problemi gastro-intestinali è ovvio che la sua digestione non avviene correttamente; in particolare alcuni cibi possono essere mal digeriti e provocare tutta una serie di sintomi spiacevoli. Eliminandoli, la qualità della vita del soggetto migliora, ma resta sempre un soggetto debole con una situazione dell'apparato digerente non ottimale. L'intolleranza all'alimento non è cioè la causa del problema, ma è uno delle conseguenze (ed è perciò detta di secondo livello). Si pone pertanto una domanda fondamentale: è più opportuno eliminare l'alimento o la causa che è alla radice del problema digestivo? Con un'analogia spieghiamo perché è preferibile rimuovere la causa e costruirsi un corpo forte e sano piuttosto che fuggire ed eliminare tutta una serie di alimenti che il nostro corpo non sa gestire. Si consideri un depresso e la sua "intolleranza alla vita". Qual è quello psichiatra che consiglierebbe al depresso, visto che è intollerante alla vita, di suicidarsi?
Analogamente è una situazione semplicistica e penalizzante eliminare una serie di alimenti senza capire perché il nostro fisico li rifiuta e senza cercare di educarlo ad accettarli (quando ciò è possibile, per esempio quando trattasi solo di disabitudine nel trattare l'alimento).
Quali sono le cause delle intolleranze di secondo livello?
Riassumiamole.
- Disturbi dell'apparato digerente (in genere lievi, ma non sempre; si pensi a una diverticolosi, così comune nella popolazione senza che possano esserci sintomi particolarmente appariscenti nei casi agli esordi o comunque non gravi). Soluzione: indagare con un gastroenterologo.
- Disturbi emotivi. Ansia, depressione, stress o una situazione psicologica non ottimale si ripercuotono immancabilmente nella gestione dei cibi. Non a caso molti "intolleranti" riferiscono che alcune volte riescono a "digerire" un certo alimento e altre volte no. Se, travolta da un ritmo di vita sbagliato, una persona non ha tempo per la cura del proprio corpo come può sperare che questo funzioni bene? Soluzione: cercare un maggiore equilibrio di vita.
- Scorretto stile di vita. Chi ha una cattiva alimentazione, è sedentario e in genere ha una visione troppo soft dell'esistenza è sicuramente predisposto a una cattiva gestione dei cibi. Se una persona non supera il test del moribondo come può sperare che il suo apparato digerente funzioni alla perfezione. Prima di parlare di intolleranze, provate veramente a cambiare vita, a diventare più forti. Chiedetevi: intolleranza ai cibi o intolleranza alla vita?
Concludendo: il consiglio di fortificare il fisico e di avere un ottimo stile di vita (anziché evitare questo o quello) appare scontato.
E le vere intolleranze?
Come detto, non si può escludere che in futuro si troveranno altre sostanze (non cibi!) che possono causare intolleranze, anche se la percentuale della popolazione con vere intolleranze risulterà sempre piccola. Chi pensa di essere un vero intollerante (non valgono cioè le tre cause possibili delle false intolleranze), può cercare di scoprire qualcosa con test empirici, ma razionali; lasciando perdere quelli basati su pseudoscienza. La situazione delle intolleranze è come quella della medicina del XVII sec. nei confronti della peste. Tante belle teorie che non risolvevano nulla.
TERAPIA DELLE INTOLLERANZE ALIMENTARI
Nel valutare gli effetti clinici delle diete ipoallergiche è necessario considerare che ogni alimento è costituito da varie componenti sia proprie sia estranee, cioè derivanti dai processi di produzione, preparazione e conservazione a cui viene sottoposto e a volte anche derivanti da contaminazioni accidentali. Tutte queste componenti sono possibili cause di reazioni avverse al cibo e non sempre la loro presenza è dichiarata o riconosciuta nell'alimento in esame.
Tra i componenti naturali dei cibi particolare importanza clinica ha l'istamina .
Infatti gli alimenti ricchi o liberatori di istamina, riportati ad es. in tabella 5, sono in grado di provocare le stesse manifestazioni cliniche dell'allergia ma con un patogenesi non immunologica.
Tabella 5 – ESEMPI DI ALIMENTI AD ALTO CONTENUTO DI ISTAMINA O LIBERATORI DI ISTAMINA
CIBI RICCHI DI ISTAMINA
Cibi conservati (insaccati, pesci, carni, vegetali)
Cibi fermentati (formaggi)
Crostacei
Pomodori, spinaci, crauti
Vino e birra
CIBI ISTAMINO-LIBERATORI
Albume d’uovo
Carne di maiale
Cioccolata
Fragole
Molluschi
Tra i componenti naturali dei cibi particolare importanza clinica ha l'istamina .
Infatti gli alimenti ricchi o liberatori di istamina, riportati ad es. in tabella 5, sono in grado di provocare le stesse manifestazioni cliniche dell'allergia ma con un patogenesi non immunologica.
Tabella 5 – ESEMPI DI ALIMENTI AD ALTO CONTENUTO DI ISTAMINA O LIBERATORI DI ISTAMINA
CIBI RICCHI DI ISTAMINA
Cibi conservati (insaccati, pesci, carni, vegetali)
Cibi fermentati (formaggi)
Crostacei
Pomodori, spinaci, crauti
Vino e birra
CIBI ISTAMINO-LIBERATORI
Albume d’uovo
Carne di maiale
Cioccolata
Fragole
Molluschi
è necessario dunque considerare anche la loro potenziale responsabilità con la prova di eliminazione e di provocazione se all'anamnesi risulta il consumo di tali alimenti e se la gravità delle reazioni evocate non controindica l'esecuzione della prova.
Altri componenti naturali dei cibi potenzialmente capaci di provocare reazioni avverse con meccanismo farmacologico sono xantine e metilxantine (contenute ad es. in caffè, tè, cioccolato, cola e numerose altre bibite analcoliche) e amine biogene quali dopamina, tiratina e serotonina (contenute ad es. in formaggi, vino, banane, ananas).
Anche gli additivi alimentari, riportati nell'elenco parziale in tabella 6, possono causare reazioni di intolleranza alimentare. Tra questi si segnala la tartrazina, i solfiti, i benzoati, i salicilati, il glutammato sodico, i sorbati, i nitriti e i nitrati.
Tabella 6 – ESEMPIO DI ADDITIVI E CIBI CHE LI POSSONO CONTENERE
ADDITIVI
Ascorbati (E300-3) – ALIMENTI: Vino, birra, liquori, bibite analcoliche, succhi di frutta, insaccati, pesce conservato, marmellate e dolci
Benzoati (E 210-19) – ALIMENTI: Bibite analcoliche, maionese, semiconserve ittiche, caviale
Lecitine (E 322) – ALIMENTI: Cioccolato, latte in polvere, dolci, gelati
Nitriti (E249-50) e Nitrati (E251-2) – ALIMENTI: Carni conservate e insaccati
Sorbati (E 200-3) – ALIMENTI: Marmellate, frutta secca e candita, succhi di frutta, maionese, formaggi, semiconserve, farinacei (polenta, pasta, dolci)
Tartrati (E 334-7) – ALIMENTI: Vino, bibite gassate, dolci
Solfiti (E221-6) – ALIMENTI: Vino, birra, liquori, aceto, bibite analcoliche, succhi di frutta, frutta candita, sottaceti, farina e patate
Altri componenti naturali dei cibi potenzialmente capaci di provocare reazioni avverse con meccanismo farmacologico sono xantine e metilxantine (contenute ad es. in caffè, tè, cioccolato, cola e numerose altre bibite analcoliche) e amine biogene quali dopamina, tiratina e serotonina (contenute ad es. in formaggi, vino, banane, ananas).
Anche gli additivi alimentari, riportati nell'elenco parziale in tabella 6, possono causare reazioni di intolleranza alimentare. Tra questi si segnala la tartrazina, i solfiti, i benzoati, i salicilati, il glutammato sodico, i sorbati, i nitriti e i nitrati.
Tabella 6 – ESEMPIO DI ADDITIVI E CIBI CHE LI POSSONO CONTENERE
ADDITIVI
Ascorbati (E300-3) – ALIMENTI: Vino, birra, liquori, bibite analcoliche, succhi di frutta, insaccati, pesce conservato, marmellate e dolci
Benzoati (E 210-19) – ALIMENTI: Bibite analcoliche, maionese, semiconserve ittiche, caviale
Lecitine (E 322) – ALIMENTI: Cioccolato, latte in polvere, dolci, gelati
Nitriti (E249-50) e Nitrati (E251-2) – ALIMENTI: Carni conservate e insaccati
Sorbati (E 200-3) – ALIMENTI: Marmellate, frutta secca e candita, succhi di frutta, maionese, formaggi, semiconserve, farinacei (polenta, pasta, dolci)
Tartrati (E 334-7) – ALIMENTI: Vino, bibite gassate, dolci
Solfiti (E221-6) – ALIMENTI: Vino, birra, liquori, aceto, bibite analcoliche, succhi di frutta, frutta candita, sottaceti, farina e patate
La superficie di alcuni alimenti spesso è maggiormente esposta a contaminazioni, in particolare da additivi alimentari, per cui, ad esempio, è raccomandabile lavare bene la verdura e frutta, consumarla sbucciata e togliere la crosta ai formaggi.
Va ricordata anche la possibilità di reazioni avverse al nichel contenuto, ad esempio, in conserve in scatola, burro, margherita, pomodori, fagioli, piselli, farina di grano integrale, aringhe, ostriche, pere, cacao, cioccolata, birra, vino e tè.
Inoltre, additivi di usuale impiego industriale come il balsamo del Perù (contenente anche benzoati, cinnamati e vanillina) si riscontrano, spesso senza essere dichiarati, in bibite analcoliche come la coca e nelle cioccolate.
Tra le reazioni avverse al cibo va infine considerata anche l'intolleranza al lattosio, dovuta ad un deficit dell'enzima lattasi, diagnosticabile col breath test e curabile eliminando dalla dieta latte e derivati.
Va ricordata anche la possibilità di reazioni avverse al nichel contenuto, ad esempio, in conserve in scatola, burro, margherita, pomodori, fagioli, piselli, farina di grano integrale, aringhe, ostriche, pere, cacao, cioccolata, birra, vino e tè.
Inoltre, additivi di usuale impiego industriale come il balsamo del Perù (contenente anche benzoati, cinnamati e vanillina) si riscontrano, spesso senza essere dichiarati, in bibite analcoliche come la coca e nelle cioccolate.
Tra le reazioni avverse al cibo va infine considerata anche l'intolleranza al lattosio, dovuta ad un deficit dell'enzima lattasi, diagnosticabile col breath test e curabile eliminando dalla dieta latte e derivati.
CONCLUSIONI
Le allergie e intolleranze alimentari si diagnosticano essenzialmente con una dieta di restrizione e di provocazione, fondata su una buona conoscenza degli alimenti.
Il riconoscimento dell'alimento in causa può dare una prospettiva di vita qualitativamente migliore ai pazienti.
Tuttavia quando gli alimenti in causa sono molti la dieta può risultare molto limitante e quindi difficile da seguire con costanza a lungo termine. Allora può risultare utile un trattamento preventivo con antistaminici.
AVVERTENZA: Questo sito ha carattere di divulgazione culturale e informativa, necessariamente generale. Le informazioni contenute, pur basate sugli studi scientifici citati, non sostituiscono il consulto personalizzato del professionista pratico, dietologo o medico. Il lettore non è autorizzato a considerare gli articoli qui contenuti come consulti medici, né a prenderli a pretesto per curarsi da sé.
Il riconoscimento dell'alimento in causa può dare una prospettiva di vita qualitativamente migliore ai pazienti.
Tuttavia quando gli alimenti in causa sono molti la dieta può risultare molto limitante e quindi difficile da seguire con costanza a lungo termine. Allora può risultare utile un trattamento preventivo con antistaminici.
AVVERTENZA: Questo sito ha carattere di divulgazione culturale e informativa, necessariamente generale. Le informazioni contenute, pur basate sugli studi scientifici citati, non sostituiscono il consulto personalizzato del professionista pratico, dietologo o medico. Il lettore non è autorizzato a considerare gli articoli qui contenuti come consulti medici, né a prenderli a pretesto per curarsi da sé.