Dott. Ignazio Madonia
Disturbi del Comportamento Alimentare
Nella parte del mondo più ricca, dove l’offerta del cibo è più abbondante e il culto del corpo diventa un’ossessione si diffondono a partire dal XX secolo, i Disturbi del Comportamento Alimentare: accade qualcosa nella seconda metà del ‘900 nell’emisfero occidentale che trasforma, per milioni di giovani, il cibo in un nemico. Qualcosa che non è solo connesso all’insorgere di una patologia, al cambiamento di stili di vita e modelli culturali, ma forse più intimamente collegato alla difficile strutturazione dell’identità di un giovane individuo nell’epoca moderna.
I DCA costituiscono al giorno d’oggi un’emergenza sanitaria, che non sembra in questo momento trovare un argine alla sua crescita esponenziale: la loro diffusione ha una rapidità e una rilevanza sconcertanti a tal punto che non sia ha alcun esempio di malattia psichiatria con una simile propagazione e con le caratteristiche di una vera e propria epidemia sociale.
Si tratta del primo fenomeno di malattia globalizzata, legata a ciò che comunemente viene definito come “modernità”, che si espande a macchia d’olio in concomitanza al diffondersi di modelli, stili di vita, cultura del corpo.
Due milioni di ragazzi in Italia soffrono di questi disturbi e decine di milioni di giovani nel mondo si ammalano ogni anno.
Per ogni 100 ragazze in età adolescenziale, 10 soffrono di qualche disturbo collegato all’alimentazione, 1-2 delle forme più gravi come l’anoressia e la bulimia, le altre in manifestazioni cliniche transitorie e incomplete.
Incidenza: uno degli studi più estesi, effettuato in Inghilterra da Turnbull, mette in evidenza che: nell’anno 1993 l’incidenza è del 4,2 per 100.000 per l’anoressia e del 12,2 per 100.000 per la bulimia. Non vi è un concreto aumento dell’incidenza per quanto riguarda l’anoressia mentale: considerando solo il sesso femminile nella fascia d’età 10-39 anni. dal 18,5 per 100.000 ottenuto nel 1988 si passa al 18,1 nel 1993, i casi di bulimia sono invece in aumento: nello stesso tipo di campione si passa dal 14,6 per 100.000 ottenuto nel 1988 al per 51,7 per 100.000 nel 1993. Un simile incremento viene riscontrato da Papsberg e Wang in Danimarca (1994), e da Hoek in Olanda (1991, 1995.)
I DCA costituiscono al giorno d’oggi un’emergenza sanitaria, che non sembra in questo momento trovare un argine alla sua crescita esponenziale: la loro diffusione ha una rapidità e una rilevanza sconcertanti a tal punto che non sia ha alcun esempio di malattia psichiatria con una simile propagazione e con le caratteristiche di una vera e propria epidemia sociale.
Si tratta del primo fenomeno di malattia globalizzata, legata a ciò che comunemente viene definito come “modernità”, che si espande a macchia d’olio in concomitanza al diffondersi di modelli, stili di vita, cultura del corpo.
Due milioni di ragazzi in Italia soffrono di questi disturbi e decine di milioni di giovani nel mondo si ammalano ogni anno.
Per ogni 100 ragazze in età adolescenziale, 10 soffrono di qualche disturbo collegato all’alimentazione, 1-2 delle forme più gravi come l’anoressia e la bulimia, le altre in manifestazioni cliniche transitorie e incomplete.
Incidenza: uno degli studi più estesi, effettuato in Inghilterra da Turnbull, mette in evidenza che: nell’anno 1993 l’incidenza è del 4,2 per 100.000 per l’anoressia e del 12,2 per 100.000 per la bulimia. Non vi è un concreto aumento dell’incidenza per quanto riguarda l’anoressia mentale: considerando solo il sesso femminile nella fascia d’età 10-39 anni. dal 18,5 per 100.000 ottenuto nel 1988 si passa al 18,1 nel 1993, i casi di bulimia sono invece in aumento: nello stesso tipo di campione si passa dal 14,6 per 100.000 ottenuto nel 1988 al per 51,7 per 100.000 nel 1993. Un simile incremento viene riscontrato da Papsberg e Wang in Danimarca (1994), e da Hoek in Olanda (1991, 1995.)
Prevalenza: il DSM-IV TR riporta, per l’AN, tassi di prevalenza pari allo 0,5%-1%. Mancano dati epidemiologici soddisfacenti riguardanti la BN e questo non sorprende, dal momento che il disturbo è stato considerato una distinta categoria diagnostica solo a partire dal 1980. Inoltre i dati sono difficili da stimare, poiché si presume che molti casi che non giungano all’osservazione del medico (APA, 2000); un recente studio di Hoek confermerebbe quanto appena asserito indicando che solo un caso su diciassette dei soggetti con bulimia si cura presso i Servizi psichiatrici (Hoek, 2002). Comunque, il DSM-IV riporta un tasso di prevalenza per la BN tra le adolescenti e le giovani adulte di sesso femminile pari circa all’1-3%, mentre il tasso di presentazione nel sesso maschile risulta dieci volte inferiore
Genere: anoressia e bulimia colpiscono soprattutto le donne. Il rapporto tra maschi e femmine è di 1:10 per l’AN e 1:20 per la BN.
Età di insorgenza: l’età d’esordio generalmente cade tra i 10 e i 30 anni, essendo la fascia adolescenziale quella maggiormente colpita con un’età media di insorgenza di 17 anni. La bulimia ha un’età di insorgenza mediamente più alta rispetto a quella dell’AN. Sono descritte forme di disturbi alimentari ad insorgenza prepuberale, mai prima degli 8 anni, e forme ad insorgenza tardiva.
Etnia: i DCA sono una caratteristica dei paesi occidentali o occidentalizzati dove la magrezza corrisponde all’ideale di bellezza.
Classe sociale: in passato l’AN colpiva le classi sociali medio-alte (Bruch, 1977), in seguito si è diffusa anche tra quelle più basse.
Per ciò che concerne specificatamente la situazione epidemiologica italiana, secondo dati aggiornati a Novembre del 2006, forniti dal Centro Nazionale di Epidemiologia, Sorveglianza e Promozione della Salute, la prevalenza dell’ Anoressia Nervosa e della Bulimia Nervosa in Italia sarebbe rispettivamente dello 0.2%-0.8% e dell’1%-5%, in linea con quanto riscontrato in molti altri paesi.
Età di insorgenza: l’età d’esordio generalmente cade tra i 10 e i 30 anni, essendo la fascia adolescenziale quella maggiormente colpita con un’età media di insorgenza di 17 anni. La bulimia ha un’età di insorgenza mediamente più alta rispetto a quella dell’AN. Sono descritte forme di disturbi alimentari ad insorgenza prepuberale, mai prima degli 8 anni, e forme ad insorgenza tardiva.
Etnia: i DCA sono una caratteristica dei paesi occidentali o occidentalizzati dove la magrezza corrisponde all’ideale di bellezza.
Classe sociale: in passato l’AN colpiva le classi sociali medio-alte (Bruch, 1977), in seguito si è diffusa anche tra quelle più basse.
Per ciò che concerne specificatamente la situazione epidemiologica italiana, secondo dati aggiornati a Novembre del 2006, forniti dal Centro Nazionale di Epidemiologia, Sorveglianza e Promozione della Salute, la prevalenza dell’ Anoressia Nervosa e della Bulimia Nervosa in Italia sarebbe rispettivamente dello 0.2%-0.8% e dell’1%-5%, in linea con quanto riscontrato in molti altri paesi.
Sebbene alcuni studi riportino un incremento dell’ incidenza dell’Anoressia (Eagles, 1995; Moller-Madsen, 1992; Milos G.,2004) molti autori, basandosi su dati raccolti in diversi paesi (Willi, 1990; Hall, 1991; Jorgensen, 1992; Hoek 1995; Turbull, 1996) affermano che il tasso di diffusione dell’Anoressia Nervosa si stia mantenendo piuttosto costante; lo stesso non si può dire per la Bulimia, in continuo incremento. Nonostante un recente aumento dell’incidenza in età prepuberale l’età di maggiore insorgenza dell’Anoressia Nervosa si colloca tra i 15 e i 19 anni (Lucas, 1991) qualche anno prima della Bulimia per la quale stiamo assistendo ad un progressivo interessamento anche delle fascie d’età meno giovani.
Trattamento Disturbi dell'alimentazione
Il trattamento psicoterapeutico: Anoressia Nervosa
La terapia cognitivo comportamentale ha come obiettivi iniziali la normalizzazione del peso e l'abbandono delle condotte di restrizione del'assunzione del cibo, delle abbuffate e delle condotte di eliminazione. In seconda battuta occorre aumentare i livelli di autostima, ampliare la definizione di sé al di là dell'apparenza fisica, ridurre il perfezionismo e il pensiero tutto-nulla, migliorare i rapporti interpersonali e, nel caso di adolescenti, aiutare i familiari a gestire il problema dei figli, mettendo anche in evidenza quali atteggiamenti siano controproducenti e da evitare.
Il trattamento psicoterapeutico: Bulimia
La terapia cognitivo-comportamentale è un trattamento di provata efficacia per la bulimia nervosa. Obiettivo principale del trattamento è, innanzitutto, quello di normalizzare il comportamento alimentare; i pazienti devono riacquistare accettabili attitudini nei riguardi del cibo e modificare la convinzione che il peso costituisca l’unico o il principale fattore in base al quale valutare il proprio valore personale. Il primo passo consistete in interventi cognitivi tesi a interrompere il circolo vizioso restrizione-abbuffata-vomito, attraverso procedure come colloqui informativi e motivazionali, concettualizzazione del disturbo e condivisione con il paziente; vengono usate anche tecniche di automonitoraggio come i diari alimentari o la registrazione delle emozioni e pensieri che accompagnano i sintomi. L’obiettivo è riabituare il paziente a un’alimentazione corretta, regolarizzando la frequenza dei pasti e utilizzando attività alternative alle abbuffate o alle condotte eliminatorie. In una seconda fase il trattamento mira a rendere stabile il nuovo comportamento alimentare e, soprattutto, a ridurre l’eccessiva preoccupazione per il peso e le forme corporee. Vengono poi usate procedure cognitive per identificare e modificare le idee disfunzionali alla base del disturbo e tecniche comportamentali; tra queste in particolare si usano la procedura di esposizione e prevenzione della risposta, che consiste nell’assunzione di cibo alla presenza di un operatore e in condizioni in cui le condotte di compenso vengono bloccate. La terza fase prevede l’applicazione di procedure finalizzate a mantenere i risultati raggiunti durante il trattamento: vengono usate strategie di prevenzione delle ricadute e tecniche che mirano ad aumentare la capacità di fronteggiare le situazioni critiche per il paziente.
Il trattamento psicoterapico è frequentemente associato a una terapia farmacologica. I farmaci elettivi nel trattamento di tale disturbo sono gli antidepressivi appartenenti alla categoria degli inibitori selettivi del ricaptazione della serotonina (SSRI).
Il trattamento farmacologico si è dimostrato efficace nella riduzione della frequenza delle abbuffate, del vomito, delle ruminazioni sul cibo e sul peso; produce inoltre un miglioramento dell’umore e aumenta la collaborazione alla psicoterapia. Il limite della terapia farmacologica è nella stabilità degli esiti: se non accompagnata da psicoterapia, sono frequenti le ricadute. Nella gran parte dei casi la terapia della bulimia è ambulatoriale. Nei casi più gravi e resistenti si può optare per trattamenti di tipo residenziale (ospedale, day hospital, comunità terapeutica).
La terapia dell’Anoressia Nervosa in ambiente ospedaliero
La terapia dell’Anoressia Nervosa andrebbe idealmente condotta a livello ambulatoriale. Questa condizione ideale però, non è sempre realizzabile in quanto di fatto è indicata soltanto per pazienti che rispondono a determinati requisiti: perdita di peso corporeo non allarmante (cioè inferiore al 25% del peso di partenza), durata del disturbo inferiore all’anno, assenza di serie complicazioni mediche, buona motivazione al cambiamento, presenza di un ambiente familiare ben funzionante.
Anche se non sussistono queste situazioni favorevoli si può comunque tentare un periodo di trattamento ambulatoriale; se però, entro 12-16 settimane non si osservano cambiamenti significativi, se cioè non si verifica nessun miglioramento, né deterioramento delle condizioni cliniche, si raccomanda in ogni caso l’ospedalizzazione, perché prolungare troppo la terapia ambulatoriale non fa che peggiorare la situazione e favorire la cronicizzazione del disturbo e l’invalidità del paziente.
L’intervento ospedaliero parziale o totale dell’Anoressia Nervosa si pone due obiettivi generali che necessitano di protocolli terapeutici differenti.
1) Stabilizzare le condizioni mediche-psichiatriche per gestire le complicanze acute del disturbo, in pazienti non necessariamente motivate ad intraprendere una cura finalizzata alla guarigione
2) Iniziare o continuare un percorso di cura finalizzato all’interruzione dei fattori di sviluppo e di mantenimento del disturbo, che in molti casi può sfociare con la guarigione della paziente.
Il primo obiettivo va perseguito, a seconda dei casi, in reparti internistici o psichiatrici, come ricovero ospedaliero ordinario, e non prevede necessariamente il coinvolgimento e l’impegno del paziente in un percorso terapeutico di cura.
Il secondo obiettivo prevede invece il diretto coinvolgimento del paziente nel processo di cura e va effettuato in strutture ospedaliere di riabilitazione intensiva, o in strutture di Day-Hospital.
Quando si parla di ricovero ospedaliero per riabilitazione nutrizionale intensiva, a differenza del ricovero ospedaliero ordinario, si intende un tipo di ospedalizzazione finalizzato ad affrontare in maniera integrata, sia gli aspetti fisici che gli aspetti psicologici del disturbo nelle sue forme più gravi.
Sebbene non esistano delle linee guida universalmente riconosciute per il ricovero in strutture ospedaliere di riabilitazione intensiva, vi sono però dei criteri che si basano, essenzialmente, sull’esperienza clinica di vari autori, e che sono ampiamente accettati dalla comunità scientifica internazionale. E’ stato dimostrato infatti, che il fatto di ritardare un trattamento ospedaliero riabilitativo intensivo, in questi casi, può essere molto pericoloso e che la mortalità dei pazienti con AN curati con protocolli di riabilitazione nutrizionale intensiva è significativamente inferiore a quella di pazienti curati in cliniche mediche o in ospedali psichiatrici non specializzati in DCA.
I criteri per la scelta di un trattamento riabilitativo intensivo nella Anoressia Nervosa sono i seguenti:
1) Severa o rapida perdita di peso corporeo associata a complicanze mediche, psicologiche e sociali che richiedono un trattamento ospedaliero
2) Mancata risposta al trattamento ambulatoriale o in day-hospital, con assenza di miglioramenti nel peso o in altri sintomi del disturbo (abbuffate, vomito autoindotto, ecc.)
3) Presenza di una significativa patologia psichiatrica associata che ostacola l’intervento ambulatoriale (disturbo depressivo maggiore, severo disturbo ossessivo-compulsivo, disturbo border-line di personalità con comportamenti impulsivi, abuso o dipendenza di sostanze, comportamenti auto-lesionistici gravi), ma non elevato rischio suicidario
4) Presenza di complicazioni mediche severe (ipopotassiemia marcata, anomalie cardiache, presenza di diabete mellito, ecc.)
5) Necessità di separare il paziente dalla famiglia
Quando sia presente uno o più di questi fattori è consigliabile il ricovero in una struttura specialistica. Condizione essenziale per questo tipo di trattamento, è ovviamente un adeguato livello di motivazione da parte del paziente nonché la sua disponibilità ad impegnarsi in ogni fase del processo terapeutico. Per questo motivo, il ricovero deve essere sempre preceduto da una fase motivazionale (più o meno lunga), effettuata in prima istanza dall’inviante alla struttura ma soprattutto dall’equipe che seguirà il/la paziente nel trattamento ospedaliero riabilitativo.
Gli obiettivi specifici dell’intervento di riabilitazione intensiva ospedaliera sono quelli di erodere ed interrompere i principali fattori fisici e psico-sociali implicati nello sviluppo e nel mantenimento del disturbo. Il trattamento dovrebbe essere effettuato da una équipe multidisciplinare, composta da medici (con competenze internistiche e psichiatriche), psicologi-psicoterapeuti, dietisti e personale infermieristico specificamente addestrato.
L’intervento terapeutico applicato nel corso di questo tipo di interventi è generalmente di tipo multidisciplinare e generalmente include:
- Valutazione diagnostica multidimensionale (internistica, psichiatrica e nutrizionale)
- Assistenza ai pasti (riabilitazione nutrizionale, con la tecnica della pianificazione dei pasti e dell’alimentazione meccanica)
- Intervento psicoeducativo
- Psicoterapia (individuale e/o di gruppo)
- Intervento sul disturbo dell’immagine corporea
- Intervento sulla famiglia
- Terapia farmacologica (in alcuni casi)
Il ricovero in strutture ospedaliere di riabilitazione intensiva ha una lunga durata (solitamente compreso tra 60 e 120 giorni) perché è necessario far raggiungere al paziente almeno il 90% del peso corporeo atteso (o comunque un Indice di Massa Corporea superiore a 18,5), considerando un aumento di peso medio di 1-1,5 kg la settimana.
In molti casi può essere utile far seguire alla fase di ricovero una fase di Day-Hospital.
In questa fase il paziente ritorna al proprio domicilio (se vive vicino alla struttura), oppure sceglie da solo una stanza o un piccolo appartamento nelle vicinanze della clinica dove dovrà risiedere per l’intera durata del Day-Hospital. In questa fase il paziente assume il completo controllo sulla dieta e sul peso corporeo: inizialmente consuma fuori dalla clinica soltanto la colazione, poi, anche il pranzo e la cena, mentre continua a prendere parte alle attività terapeutiche avviate durante il ricovero e prepara il programma di cura ambulatoriale.
Il trattamento ospedaliero riabilitativo intensivo, se ben organizzato, ha un alto tasso di successo.
La peculiarità del ricovero riabilitativo intensivo dell’anoressia nervosa sta nel fatto che con questo tipo di trattamento, in molti casi, si riesce a coinvolgere in un processo di cura finalizzato alla guarigione, anche i pazienti affetti dalle forme di anoressia nervosa più gravi, che per le loro condizioni cliniche, senza questo intervento, sarebbero esclusivamente trattati in regime di ricovero ordinario e destinati in un elevato numero di casi ad una prognosi generalmente molto negativa (cronicità o morte).
La terapia cognitivo comportamentale ha come obiettivi iniziali la normalizzazione del peso e l'abbandono delle condotte di restrizione del'assunzione del cibo, delle abbuffate e delle condotte di eliminazione. In seconda battuta occorre aumentare i livelli di autostima, ampliare la definizione di sé al di là dell'apparenza fisica, ridurre il perfezionismo e il pensiero tutto-nulla, migliorare i rapporti interpersonali e, nel caso di adolescenti, aiutare i familiari a gestire il problema dei figli, mettendo anche in evidenza quali atteggiamenti siano controproducenti e da evitare.
Il trattamento psicoterapeutico: Bulimia
La terapia cognitivo-comportamentale è un trattamento di provata efficacia per la bulimia nervosa. Obiettivo principale del trattamento è, innanzitutto, quello di normalizzare il comportamento alimentare; i pazienti devono riacquistare accettabili attitudini nei riguardi del cibo e modificare la convinzione che il peso costituisca l’unico o il principale fattore in base al quale valutare il proprio valore personale. Il primo passo consistete in interventi cognitivi tesi a interrompere il circolo vizioso restrizione-abbuffata-vomito, attraverso procedure come colloqui informativi e motivazionali, concettualizzazione del disturbo e condivisione con il paziente; vengono usate anche tecniche di automonitoraggio come i diari alimentari o la registrazione delle emozioni e pensieri che accompagnano i sintomi. L’obiettivo è riabituare il paziente a un’alimentazione corretta, regolarizzando la frequenza dei pasti e utilizzando attività alternative alle abbuffate o alle condotte eliminatorie. In una seconda fase il trattamento mira a rendere stabile il nuovo comportamento alimentare e, soprattutto, a ridurre l’eccessiva preoccupazione per il peso e le forme corporee. Vengono poi usate procedure cognitive per identificare e modificare le idee disfunzionali alla base del disturbo e tecniche comportamentali; tra queste in particolare si usano la procedura di esposizione e prevenzione della risposta, che consiste nell’assunzione di cibo alla presenza di un operatore e in condizioni in cui le condotte di compenso vengono bloccate. La terza fase prevede l’applicazione di procedure finalizzate a mantenere i risultati raggiunti durante il trattamento: vengono usate strategie di prevenzione delle ricadute e tecniche che mirano ad aumentare la capacità di fronteggiare le situazioni critiche per il paziente.
Il trattamento psicoterapico è frequentemente associato a una terapia farmacologica. I farmaci elettivi nel trattamento di tale disturbo sono gli antidepressivi appartenenti alla categoria degli inibitori selettivi del ricaptazione della serotonina (SSRI).
Il trattamento farmacologico si è dimostrato efficace nella riduzione della frequenza delle abbuffate, del vomito, delle ruminazioni sul cibo e sul peso; produce inoltre un miglioramento dell’umore e aumenta la collaborazione alla psicoterapia. Il limite della terapia farmacologica è nella stabilità degli esiti: se non accompagnata da psicoterapia, sono frequenti le ricadute. Nella gran parte dei casi la terapia della bulimia è ambulatoriale. Nei casi più gravi e resistenti si può optare per trattamenti di tipo residenziale (ospedale, day hospital, comunità terapeutica).
La terapia dell’Anoressia Nervosa in ambiente ospedaliero
La terapia dell’Anoressia Nervosa andrebbe idealmente condotta a livello ambulatoriale. Questa condizione ideale però, non è sempre realizzabile in quanto di fatto è indicata soltanto per pazienti che rispondono a determinati requisiti: perdita di peso corporeo non allarmante (cioè inferiore al 25% del peso di partenza), durata del disturbo inferiore all’anno, assenza di serie complicazioni mediche, buona motivazione al cambiamento, presenza di un ambiente familiare ben funzionante.
Anche se non sussistono queste situazioni favorevoli si può comunque tentare un periodo di trattamento ambulatoriale; se però, entro 12-16 settimane non si osservano cambiamenti significativi, se cioè non si verifica nessun miglioramento, né deterioramento delle condizioni cliniche, si raccomanda in ogni caso l’ospedalizzazione, perché prolungare troppo la terapia ambulatoriale non fa che peggiorare la situazione e favorire la cronicizzazione del disturbo e l’invalidità del paziente.
L’intervento ospedaliero parziale o totale dell’Anoressia Nervosa si pone due obiettivi generali che necessitano di protocolli terapeutici differenti.
1) Stabilizzare le condizioni mediche-psichiatriche per gestire le complicanze acute del disturbo, in pazienti non necessariamente motivate ad intraprendere una cura finalizzata alla guarigione
2) Iniziare o continuare un percorso di cura finalizzato all’interruzione dei fattori di sviluppo e di mantenimento del disturbo, che in molti casi può sfociare con la guarigione della paziente.
Il primo obiettivo va perseguito, a seconda dei casi, in reparti internistici o psichiatrici, come ricovero ospedaliero ordinario, e non prevede necessariamente il coinvolgimento e l’impegno del paziente in un percorso terapeutico di cura.
Il secondo obiettivo prevede invece il diretto coinvolgimento del paziente nel processo di cura e va effettuato in strutture ospedaliere di riabilitazione intensiva, o in strutture di Day-Hospital.
Quando si parla di ricovero ospedaliero per riabilitazione nutrizionale intensiva, a differenza del ricovero ospedaliero ordinario, si intende un tipo di ospedalizzazione finalizzato ad affrontare in maniera integrata, sia gli aspetti fisici che gli aspetti psicologici del disturbo nelle sue forme più gravi.
Sebbene non esistano delle linee guida universalmente riconosciute per il ricovero in strutture ospedaliere di riabilitazione intensiva, vi sono però dei criteri che si basano, essenzialmente, sull’esperienza clinica di vari autori, e che sono ampiamente accettati dalla comunità scientifica internazionale. E’ stato dimostrato infatti, che il fatto di ritardare un trattamento ospedaliero riabilitativo intensivo, in questi casi, può essere molto pericoloso e che la mortalità dei pazienti con AN curati con protocolli di riabilitazione nutrizionale intensiva è significativamente inferiore a quella di pazienti curati in cliniche mediche o in ospedali psichiatrici non specializzati in DCA.
I criteri per la scelta di un trattamento riabilitativo intensivo nella Anoressia Nervosa sono i seguenti:
1) Severa o rapida perdita di peso corporeo associata a complicanze mediche, psicologiche e sociali che richiedono un trattamento ospedaliero
2) Mancata risposta al trattamento ambulatoriale o in day-hospital, con assenza di miglioramenti nel peso o in altri sintomi del disturbo (abbuffate, vomito autoindotto, ecc.)
3) Presenza di una significativa patologia psichiatrica associata che ostacola l’intervento ambulatoriale (disturbo depressivo maggiore, severo disturbo ossessivo-compulsivo, disturbo border-line di personalità con comportamenti impulsivi, abuso o dipendenza di sostanze, comportamenti auto-lesionistici gravi), ma non elevato rischio suicidario
4) Presenza di complicazioni mediche severe (ipopotassiemia marcata, anomalie cardiache, presenza di diabete mellito, ecc.)
5) Necessità di separare il paziente dalla famiglia
Quando sia presente uno o più di questi fattori è consigliabile il ricovero in una struttura specialistica. Condizione essenziale per questo tipo di trattamento, è ovviamente un adeguato livello di motivazione da parte del paziente nonché la sua disponibilità ad impegnarsi in ogni fase del processo terapeutico. Per questo motivo, il ricovero deve essere sempre preceduto da una fase motivazionale (più o meno lunga), effettuata in prima istanza dall’inviante alla struttura ma soprattutto dall’equipe che seguirà il/la paziente nel trattamento ospedaliero riabilitativo.
Gli obiettivi specifici dell’intervento di riabilitazione intensiva ospedaliera sono quelli di erodere ed interrompere i principali fattori fisici e psico-sociali implicati nello sviluppo e nel mantenimento del disturbo. Il trattamento dovrebbe essere effettuato da una équipe multidisciplinare, composta da medici (con competenze internistiche e psichiatriche), psicologi-psicoterapeuti, dietisti e personale infermieristico specificamente addestrato.
L’intervento terapeutico applicato nel corso di questo tipo di interventi è generalmente di tipo multidisciplinare e generalmente include:
- Valutazione diagnostica multidimensionale (internistica, psichiatrica e nutrizionale)
- Assistenza ai pasti (riabilitazione nutrizionale, con la tecnica della pianificazione dei pasti e dell’alimentazione meccanica)
- Intervento psicoeducativo
- Psicoterapia (individuale e/o di gruppo)
- Intervento sul disturbo dell’immagine corporea
- Intervento sulla famiglia
- Terapia farmacologica (in alcuni casi)
Il ricovero in strutture ospedaliere di riabilitazione intensiva ha una lunga durata (solitamente compreso tra 60 e 120 giorni) perché è necessario far raggiungere al paziente almeno il 90% del peso corporeo atteso (o comunque un Indice di Massa Corporea superiore a 18,5), considerando un aumento di peso medio di 1-1,5 kg la settimana.
In molti casi può essere utile far seguire alla fase di ricovero una fase di Day-Hospital.
In questa fase il paziente ritorna al proprio domicilio (se vive vicino alla struttura), oppure sceglie da solo una stanza o un piccolo appartamento nelle vicinanze della clinica dove dovrà risiedere per l’intera durata del Day-Hospital. In questa fase il paziente assume il completo controllo sulla dieta e sul peso corporeo: inizialmente consuma fuori dalla clinica soltanto la colazione, poi, anche il pranzo e la cena, mentre continua a prendere parte alle attività terapeutiche avviate durante il ricovero e prepara il programma di cura ambulatoriale.
Il trattamento ospedaliero riabilitativo intensivo, se ben organizzato, ha un alto tasso di successo.
La peculiarità del ricovero riabilitativo intensivo dell’anoressia nervosa sta nel fatto che con questo tipo di trattamento, in molti casi, si riesce a coinvolgere in un processo di cura finalizzato alla guarigione, anche i pazienti affetti dalle forme di anoressia nervosa più gravi, che per le loro condizioni cliniche, senza questo intervento, sarebbero esclusivamente trattati in regime di ricovero ordinario e destinati in un elevato numero di casi ad una prognosi generalmente molto negativa (cronicità o morte).
Riflessioni epidemiologiche
La difficoltà a conoscere esattamente la diffusione dei disturbi del comportamento alimentare rispetto ad altre malattie, mentali e non, sta oltre che nella difficoltà di uniformare gli studi, sia nella particolarità di un disturbo la cui prevalenza nella popolazione generale è molto bassa ma che può raggiungere tassi molto alti in sottopopolazioni specifiche sia nella tendenza delle persone affette ad occultare il proprio disturbo e disagio e ad evitare, almeno per un lungo periodo iniziale, l’aiuto di professionisti e la possibilità di un progetto di cura tempestivo.
In una review del 2003 molto accurata, seppur limitata alla popolazione dei Paesi Bassi, Hoek H.W. e Van Hoeken D. stimavano che solo un terzo delle pazienti affette da Anoressia Nervosa e il 6% delle persone bulimiche giungevano all’attenzione dei servizi di Salute Mentale.
Secondo gli studi condotti da Hoek H.W. e Van Hoeken D. l’ Anoressia Nervosa avrebbe un tasso di prevalenza nella popolazione femminile giovane pari allo 0.3% ed un tasso di incidenza, da ritenersi in aumento nelle donne tra i 15 e i 24 anni rispetto al secolo precedente, di almeno l’8 per 100.000 persone per anno. Secondo il rapporto sulle malattie mentali di Health Canada, in Canada dal 1987 c’è stato un incremento del 34 per cento delle ospedalizzazioni di ragazze sotto i 15 anni e del 29 per cento tra i 15 e i 29 anni.
La prevalenza della Bulimia Nervosa nella popolazione femminile giovane avrebbe invece un tasso dell’1% mentre l’incidenza sarebbe pari a 12 per 100.000 persone per anno. I tassi epidemiologici forniti da Hoek e Van Hoeken (ibidem, 2006) concordano abbastanza con quelli forniti dall’ APA in merito alla situazione negli Stati Uniti con una prevalenza dell’anoressia tra 0,5 e 3,7 per cento nella popolazione femminile, a seconda della definizione di caso utilizzata, e tra l’1,1 e il 4,2 per cento per la bulimia Nervosa.
Secondo gli stessi Hoek e Van Hoeken, in accordo con una review molto accurata sull’Epidemiologia del Disturbo da Alimentazione Incontrollata condotta da Striegel-Moore R.H. e Franko D.L., la prevalenza di questo disturbo, meglio conosciuto anche in Italia come Binge Eating Disorder o BED raggiunge l’1% circa nella popolazione generale, sia maschile che femminile.
Secondo i dati raccolti negli USA dall’American Psichyatric Association, il rapporto tra prevalenza nelle donne e negli uomini si attesta tra 1 a 6 e 1 a 10. Questo rapporto cambierebbe nella popolazione adolescente dove i maschi sono tra il 19 e il 30 per cento degli anoressici.
Riguardo alla severità dei disturbi alimentari, secondo una meta-analisi condotta da Harris e Barraclough nel 1998, l’Anoressia Nervosa costituiva il disturbo mentale con il più alto tasso di mortalità; dati provenienti dal Centro Nazionale di Epidemiologia, Sorveglianza e Promozione della Salute e diversi studi scientifici (Birmingham e coll, 2006) confermano come negli USA i disordini alimentari costituiscano ancora oggi la prima causa di morte per malattia mentale. Per citare un dato recente, nello studio di Birmingham e colleghi la SMR (standardized mortality ratio o rapporto di mortalità standardizzato) calcolata nel loro campione di 954 pazienti è pari a 10.5 laddove l’SMR della popolazione normale è pari a 0.71.
Gli studi condotti in Italia sono relativamente pochi e per la maggior parte limitati a realtà regionali. Uno studio di Favaro A. e coll. fornisce uno spaccato della diffusione dei disturbi alimentari nel Nord-Est Italiano con dati epidemiologici concordanti con la letteratura internazionale e probabilmente estendibili alla realtà della maggior parte del nostro paese. Lo studio, condotto su un campione di 934 ragazze di età compresa tra i 18 e i 25 anni residenti in due aree contigue della provincia di Padova stimava per l’Anoressia Nervosa una prevalenza puntuale dello 0.3% ed una prevalenza nell’arco di vita del 2.0%. La prevalenza puntuale della Bulimia era dell’ 1.8% mentre quella nell’arco di vita del 4.6%. Le forme di Anoressia sottosoglia registravano una prevalenza puntuale dello 0.7% e una prevalenza life-time del 2.6% mentre le forme atipiche di Bulimia raggiungevano una prevalenza puntuale del 2.4% e una prevalenza nell’arco di vita del 3.1%. La prevalenza di tutti i disturbi del comportamento alimentare nel campione era infine pari al 5.3%.
AVVERTENZA: Questo sito ha carattere di divulgazione culturale e informativa, necessariamente generale. Le informazioni contenute, pur basate sugli studi scientifici citati, non sostituiscono il consulto personalizzato del professionista pratico, dietologo o medico. Il lettore non è autorizzato a considerare gli articoli qui contenuti come consulti medici, né a prenderli a pretesto per curarsi da sé.
In una review del 2003 molto accurata, seppur limitata alla popolazione dei Paesi Bassi, Hoek H.W. e Van Hoeken D. stimavano che solo un terzo delle pazienti affette da Anoressia Nervosa e il 6% delle persone bulimiche giungevano all’attenzione dei servizi di Salute Mentale.
Secondo gli studi condotti da Hoek H.W. e Van Hoeken D. l’ Anoressia Nervosa avrebbe un tasso di prevalenza nella popolazione femminile giovane pari allo 0.3% ed un tasso di incidenza, da ritenersi in aumento nelle donne tra i 15 e i 24 anni rispetto al secolo precedente, di almeno l’8 per 100.000 persone per anno. Secondo il rapporto sulle malattie mentali di Health Canada, in Canada dal 1987 c’è stato un incremento del 34 per cento delle ospedalizzazioni di ragazze sotto i 15 anni e del 29 per cento tra i 15 e i 29 anni.
La prevalenza della Bulimia Nervosa nella popolazione femminile giovane avrebbe invece un tasso dell’1% mentre l’incidenza sarebbe pari a 12 per 100.000 persone per anno. I tassi epidemiologici forniti da Hoek e Van Hoeken (ibidem, 2006) concordano abbastanza con quelli forniti dall’ APA in merito alla situazione negli Stati Uniti con una prevalenza dell’anoressia tra 0,5 e 3,7 per cento nella popolazione femminile, a seconda della definizione di caso utilizzata, e tra l’1,1 e il 4,2 per cento per la bulimia Nervosa.
Secondo gli stessi Hoek e Van Hoeken, in accordo con una review molto accurata sull’Epidemiologia del Disturbo da Alimentazione Incontrollata condotta da Striegel-Moore R.H. e Franko D.L., la prevalenza di questo disturbo, meglio conosciuto anche in Italia come Binge Eating Disorder o BED raggiunge l’1% circa nella popolazione generale, sia maschile che femminile.
Secondo i dati raccolti negli USA dall’American Psichyatric Association, il rapporto tra prevalenza nelle donne e negli uomini si attesta tra 1 a 6 e 1 a 10. Questo rapporto cambierebbe nella popolazione adolescente dove i maschi sono tra il 19 e il 30 per cento degli anoressici.
Riguardo alla severità dei disturbi alimentari, secondo una meta-analisi condotta da Harris e Barraclough nel 1998, l’Anoressia Nervosa costituiva il disturbo mentale con il più alto tasso di mortalità; dati provenienti dal Centro Nazionale di Epidemiologia, Sorveglianza e Promozione della Salute e diversi studi scientifici (Birmingham e coll, 2006) confermano come negli USA i disordini alimentari costituiscano ancora oggi la prima causa di morte per malattia mentale. Per citare un dato recente, nello studio di Birmingham e colleghi la SMR (standardized mortality ratio o rapporto di mortalità standardizzato) calcolata nel loro campione di 954 pazienti è pari a 10.5 laddove l’SMR della popolazione normale è pari a 0.71.
Gli studi condotti in Italia sono relativamente pochi e per la maggior parte limitati a realtà regionali. Uno studio di Favaro A. e coll. fornisce uno spaccato della diffusione dei disturbi alimentari nel Nord-Est Italiano con dati epidemiologici concordanti con la letteratura internazionale e probabilmente estendibili alla realtà della maggior parte del nostro paese. Lo studio, condotto su un campione di 934 ragazze di età compresa tra i 18 e i 25 anni residenti in due aree contigue della provincia di Padova stimava per l’Anoressia Nervosa una prevalenza puntuale dello 0.3% ed una prevalenza nell’arco di vita del 2.0%. La prevalenza puntuale della Bulimia era dell’ 1.8% mentre quella nell’arco di vita del 4.6%. Le forme di Anoressia sottosoglia registravano una prevalenza puntuale dello 0.7% e una prevalenza life-time del 2.6% mentre le forme atipiche di Bulimia raggiungevano una prevalenza puntuale del 2.4% e una prevalenza nell’arco di vita del 3.1%. La prevalenza di tutti i disturbi del comportamento alimentare nel campione era infine pari al 5.3%.
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