Dott. Ignazio Madonia
Morbo di Parkinson e alimentazione
Il morbo di Parkinson è una malattia degenerativa del sistema nervoso centrale. E’ stata descritta per la prima volta nel 1817 da James Parkinson, un medico britannico che pubblicò un saggio su ciò che lui chiamava la paralisi agitante; in questo saggio espone i principali sintomi della malattia, a cui più darti è stato dato il suo nome.
I ricercatori stimano che almeno 500.000 persone nei soli Stati Uniti hanno il morbo di Parkinson, sebbene alcune stime risultino anche più alte. La società paga un enorme prezzo per il morbo di Parkinson: il costo totale negli USA è stato stimato eccedere i 6 miliardi di dollari all’anno. Il rischio di sviluppare il morbo di Parkinson aumenta con l’età, cosi gli analisti si aspettano che l’impatto finanziario e pubblico sulla salute peggiori con l’invecchiamento della popolazione.
Il morbo di Parkinson appartiene al gruppo di condizioni patologiche che provocano disturbi di movimento. I quattro principali sintomi sono:
Il morbo di Parkinson è
Non è contagioso: sebbene alcuni casi di morbo di Parkinson sembrino essere ereditari, e pochi possono essere attribuiti a specifiche mutazioni genetiche, la maggior parte dei casi sono sporadici e la malattia non sembra trasmettersi in famiglia. Attualmente molti ricercatori credono che il morbo di Parkinson derivi dalla combinazione della predisposizione genetica con l’esposizione a uno o più fattori ambientali concausa della malattia.
Il morbo di Parkinson è la più comune forma di parkinsonismo, il nome di un gruppo di malattie con caratteristiche e sintomi simili; è anche chiamato parkinsonismo primario o morbo di Parkinson idiopatico, il termine idiopatico sta ad indicare una malattia per la quale non è stata trovata ancora nessuna causa. Mentre la maggior parte delle forme di parkinsonismo sono idiopatiche, ci sono dei casi in cui la causa è conosciuta o sospetta o in cui i sintomi sono causati da un’altra malattia: ad esempio il parkinsonismo può essere causato da cambiamenti nei vasi sanguigni del cervello.
I ricercatori stimano che almeno 500.000 persone nei soli Stati Uniti hanno il morbo di Parkinson, sebbene alcune stime risultino anche più alte. La società paga un enorme prezzo per il morbo di Parkinson: il costo totale negli USA è stato stimato eccedere i 6 miliardi di dollari all’anno. Il rischio di sviluppare il morbo di Parkinson aumenta con l’età, cosi gli analisti si aspettano che l’impatto finanziario e pubblico sulla salute peggiori con l’invecchiamento della popolazione.
Il morbo di Parkinson appartiene al gruppo di condizioni patologiche che provocano disturbi di movimento. I quattro principali sintomi sono:
- tremito, o tremore nelle mani, nelle braccia, nelle gambe, alla mascella, o alla testa;
- rigidità degli arti e al tronco;
- bradicinesia, ossia lentezza nei movimenti;
- instabilità di posizione, o equilibrio indebolito.
Il morbo di Parkinson è
- cronico, cioè che persiste per un lungo periodo di tempo,
- progressivo, ossia si aggrava con il tempo.
Non è contagioso: sebbene alcuni casi di morbo di Parkinson sembrino essere ereditari, e pochi possono essere attribuiti a specifiche mutazioni genetiche, la maggior parte dei casi sono sporadici e la malattia non sembra trasmettersi in famiglia. Attualmente molti ricercatori credono che il morbo di Parkinson derivi dalla combinazione della predisposizione genetica con l’esposizione a uno o più fattori ambientali concausa della malattia.
Il morbo di Parkinson è la più comune forma di parkinsonismo, il nome di un gruppo di malattie con caratteristiche e sintomi simili; è anche chiamato parkinsonismo primario o morbo di Parkinson idiopatico, il termine idiopatico sta ad indicare una malattia per la quale non è stata trovata ancora nessuna causa. Mentre la maggior parte delle forme di parkinsonismo sono idiopatiche, ci sono dei casi in cui la causa è conosciuta o sospetta o in cui i sintomi sono causati da un’altra malattia: ad esempio il parkinsonismo può essere causato da cambiamenti nei vasi sanguigni del cervello.
Cause
Il morbo di Parkinson è dovuto dal punto di vista biochimico alla degenerazione cronica e progressiva che interessa soprattutto alcune strutture del sistema nervoso centrale, in particolare dove viene prodotta la dopamina, un neurotrasmettitore essenziale per il controllo dei movimenti corporei: in altre parole diminuisce la quantità disponibile nell’organismo di una sostanza legata al controllo dei movimento, la dopamina.
Il morbo colpisce circa per il 50% in più gli uomini delle donne, ma le ragioni di questa discrepanza non sono chiare; sebbene venga riscontrato in persone di ogni parte nel mondo, numerosi studi hanno riscontrato una più alta incidenza nei paesi sviluppati. Altri studi hanno riscontrato un aumentato rischio nelle persone che vivono nelle zone rurali ed in quelle che svolgono certe professioni, anche se gli studi fino a oggi non sono conclusivi e le cause alla base dei fattori di rischio non sono chiare.
Sicuramente può comparire in seguito a traumi alla testa (è molto diffuso tra ex pugili), esposizione a sostanze tossiche nell’ambiente ed arteriosclerosi cerebrale.
Un causa certa di aumento della frequenza di comparsa del morbo di Parkinson è l’età: l’età media dei sintomi iniziali è di 60 anni e l’incidenza sale significativamente con l’aumentare dell’età. Circa il 5-10% delle persone con il morbo di Parkinson presentano i primi sintomi della malattia prima dei 50 anni e spesso queste forme si rivelano ereditarie e, benché non sempre, ricollegati a specifiche mutazioni geniche.
Le persone con uno o più parenti stretti che hanno il morbo di Parkinson hanno un aumentato rischio di contrarre anch’essi la malattia, ma il rischio totale è soltanto dal 2 al 5 % esclusi i casi con una nota mutazione genetica per la malattia. Si stima che dal 15 al 25% di malati ha un parente stretto con la stessa malattia.
In casi molto rari i sintomi parkinsoniani potrebbero manifestarsi in persone che hanno meno di 20 anni di età, questa condizione è chiamata parkinsonismo giovanile. Si trova più comunemente in Giappone, ma si conoscono casi anche in altri paesi: di solito inizia con distonia e bradicinesia (entrambi disordini del movimento) e i sintomi spesso migliorano con l’uso del farmaco levodopa. Il Parkinsonismo giovanile spesso si trasmette in famiglia ed a volte è collegato ad un gene mutato.
Sebbene esistano molte teorie sulla causa del morbo di Parkinson, nessuna è stata provata. La teoria prevalente sostiene che uno o più fattori ambientali hanno causato la malattia: sintomi gravi come quelli di Parkinson sono stati descritti in persone che facevano uso di droghe illegali contaminate da MPTP chimico e in persone che hanno contratto una particolare e grave forma di influenza durante un’epidemia agli inizi del 1918. Recenti studi su gemelli e su famiglie con il Parkinson suggeriscono che alcune persone hanno una predisposizione ereditaria alla malattia che può essere influenzata da fattori ambientali. La forte ereditarietà familiare del gene cromosoma 4 è la prima evidenza che un’alterazione genica da sola può portare a sviluppare il morbo di Parkinson.
Il morbo di Parkinson è dovuto dal punto di vista biochimico alla degenerazione cronica e progressiva che interessa soprattutto alcune strutture del sistema nervoso centrale, in particolare dove viene prodotta la dopamina, un neurotrasmettitore essenziale per il controllo dei movimenti corporei: in altre parole diminuisce la quantità disponibile nell’organismo di una sostanza legata al controllo dei movimento, la dopamina.
Il morbo colpisce circa per il 50% in più gli uomini delle donne, ma le ragioni di questa discrepanza non sono chiare; sebbene venga riscontrato in persone di ogni parte nel mondo, numerosi studi hanno riscontrato una più alta incidenza nei paesi sviluppati. Altri studi hanno riscontrato un aumentato rischio nelle persone che vivono nelle zone rurali ed in quelle che svolgono certe professioni, anche se gli studi fino a oggi non sono conclusivi e le cause alla base dei fattori di rischio non sono chiare.
Sicuramente può comparire in seguito a traumi alla testa (è molto diffuso tra ex pugili), esposizione a sostanze tossiche nell’ambiente ed arteriosclerosi cerebrale.
Un causa certa di aumento della frequenza di comparsa del morbo di Parkinson è l’età: l’età media dei sintomi iniziali è di 60 anni e l’incidenza sale significativamente con l’aumentare dell’età. Circa il 5-10% delle persone con il morbo di Parkinson presentano i primi sintomi della malattia prima dei 50 anni e spesso queste forme si rivelano ereditarie e, benché non sempre, ricollegati a specifiche mutazioni geniche.
Le persone con uno o più parenti stretti che hanno il morbo di Parkinson hanno un aumentato rischio di contrarre anch’essi la malattia, ma il rischio totale è soltanto dal 2 al 5 % esclusi i casi con una nota mutazione genetica per la malattia. Si stima che dal 15 al 25% di malati ha un parente stretto con la stessa malattia.
In casi molto rari i sintomi parkinsoniani potrebbero manifestarsi in persone che hanno meno di 20 anni di età, questa condizione è chiamata parkinsonismo giovanile. Si trova più comunemente in Giappone, ma si conoscono casi anche in altri paesi: di solito inizia con distonia e bradicinesia (entrambi disordini del movimento) e i sintomi spesso migliorano con l’uso del farmaco levodopa. Il Parkinsonismo giovanile spesso si trasmette in famiglia ed a volte è collegato ad un gene mutato.
Sebbene esistano molte teorie sulla causa del morbo di Parkinson, nessuna è stata provata. La teoria prevalente sostiene che uno o più fattori ambientali hanno causato la malattia: sintomi gravi come quelli di Parkinson sono stati descritti in persone che facevano uso di droghe illegali contaminate da MPTP chimico e in persone che hanno contratto una particolare e grave forma di influenza durante un’epidemia agli inizi del 1918. Recenti studi su gemelli e su famiglie con il Parkinson suggeriscono che alcune persone hanno una predisposizione ereditaria alla malattia che può essere influenzata da fattori ambientali. La forte ereditarietà familiare del gene cromosoma 4 è la prima evidenza che un’alterazione genica da sola può portare a sviluppare il morbo di Parkinson.
Sintomi
I primi sintomi del morbo di Parkinson sono lievi e si presentano gradualmente.
Le persone affette potrebbero :
Col progredire della malattia il tremore che colpisce la maggior parte dei pazienti con il morbo di Parkinson potrebbe iniziare a interferire con le attività quotidiane: i malati potrebbero non essere più in grado di tenere utensili fermi o potrebbero rendersi conto che il tremolio rende difficile la lettura di un giornale.
Le persone con morbo di Parkinson spesso sviluppano la cosiddetta andatura parkinsoniana che comprende:
Il morbo di Parkinson non colpisce tutti allo stesso modo e il ritmo di progressione differisce tra i pazienti: il tremore è il principale sintomo per alcuni pazienti, mentre per altri il tremore è inesistente o molto lieve.
I sintomi del morbo di Parkinson spesso si manifestano inizialmente in una sola metà del corpo (sinistra o destra), ma con il tempo colpirà entrambi i lati (anche se spesso i sintomi sono meno gravi in una parte rispetto all’altra).
I quattro principali sintomi comunque sono:
Ricordiamo fra gli altri:
I primi sintomi del morbo di Parkinson sono lievi e si presentano gradualmente.
Le persone affette potrebbero :
- avvertire lievi tremolii,
- avere difficoltà a rialzarsi da una sedia,
- accorgersi che parlano troppo piano,
- avere una scrittura lenta e che sembra illeggibile o piccola,
- perdere il filo del discorso o del pensiero,
- sentirsi stanchi, irritabili, depressi senza un apparente motivo
Col progredire della malattia il tremore che colpisce la maggior parte dei pazienti con il morbo di Parkinson potrebbe iniziare a interferire con le attività quotidiane: i malati potrebbero non essere più in grado di tenere utensili fermi o potrebbero rendersi conto che il tremolio rende difficile la lettura di un giornale.
Le persone con morbo di Parkinson spesso sviluppano la cosiddetta andatura parkinsoniana che comprende:
- una tendenza a sporgersi in avanti,
- piccoli passi veloci come se si affrettasse in avanti,
- ridotta oscillazione delle braccia.
Il morbo di Parkinson non colpisce tutti allo stesso modo e il ritmo di progressione differisce tra i pazienti: il tremore è il principale sintomo per alcuni pazienti, mentre per altri il tremore è inesistente o molto lieve.
I sintomi del morbo di Parkinson spesso si manifestano inizialmente in una sola metà del corpo (sinistra o destra), ma con il tempo colpirà entrambi i lati (anche se spesso i sintomi sono meno gravi in una parte rispetto all’altra).
I quattro principali sintomi comunque sono:
- Tremore. Il tremore associato al morbo di Parkinson ha una manifesta caratteristica: prende la forma di un movimento ritmico in cui è possibile individuare 4-6 battiti al secondo. Potrebbe colpire il pollice e l’indice, spesso inizialmente solo in una mano, sebbene a volte un piede o la bocca siano le prime parti colpite. E’ molto evidente quando la mano è ferma o la persona si trova sotto stress. Ad esempio il tremore potrebbe diventare più pronunciato pochi secondi dopo che le mani si sono appoggiate sul tavolo. Il tremore di solito scompare durante il sonno o migliora con movimenti intenzionali.
- Rigidità. La rigidità, o resistenza al movimento, colpisce la maggior parte delle persone con il morbo di Parkinson. Il principio più importante del movimento del corpo è che tutti i muscoli hanno un muscolo opposto: il movimento è possibile non solo perchè un muscolo diventa più attivo, ma perchè l’opposto si rilassa. Nel morbo di Parkinson la rigidità si avverte quando , in risposta ai segnali dal cervello, il delicato equilibrio muscolare è disturbato. I muscoli rimangono costantemente tesi e contratti, cosicché la persone avverte dolore o si sente irrigidita e debole. La rigidità diventa evidente quando un’altra persona cerca di muovere il braccio del paziente,che si muoverà solo con movimenti a scatti o brevi.
- Bradicinesia . La bradicinesia, o lentezza dei movimenti, è particolarmente frustrante perchè può rendere delle semplici azioni alquanto difficili. La persona non riesce ad eseguire rapidamente movimenti quotidiani, le attività che prima eseguiva rapidamente e facilmente, come lavare o vestirsi, potrebbero richiedere tempi molto più lunghi.
- Instabilità di posizione. L’instabilità di posizione,o equilibrio indebolito, causa ai pazienti un alto rischio di caduta. Le persone affette potrebbero anche sviluppare una posizione curva nella quale la testa è chinata e le spalle sono calate.
Ricordiamo fra gli altri:
- Depressione. Questo è un problema comune e può manifestarsi presto nel corso nel corso della malattia, persino prima che vengano notati gli altri sintomi. Per fortuna la depressione di solito può essere curata con successo con antidepressivi.
- Sbalzi di umore. Alcune persone con il morbo di Parkinson diventano paurosi e insicuri. Forse hanno paura di non riuscire a far fronte alla nuova situazione. Non vogliono viaggiare , andare alle feste, o socializzare con gli amici. Alcuni perdono motivazione e diventano dipendenti dai loro familiari, altri possono diventare irritabili o pessimisti.
- Difficoltà nell’inghiottire e nel masticare. I muscoli usati per masticare potrebbero funzionare in maniera meno efficiente negli ultimi stadi della malattia. In questi casi cibo e saliva potrebbero accumularsi nella bocca e tornare indietro nella gola, causando soffocamento o bave. Questi problemi potrebbero anche rendere difficile un’adeguata alimentazione. I logopedisti, gli ergoterapeuti e i dietisti spesso possono essere d’aiuto per questi problemi.
- Cambiamenti nel linguaggio. Circa la metà di tutti i pazienti hanno problemi di linguaggio. Potrebbero parlare troppo piano o in tono monotono, esitare prima di parlare, pronunciare in modo confuso o ripetere le parole, parlare troppo velocemente. Un logopedista potrebbe riuscire ad aiutare i pazienti a ridurre alcuni di questi problemi.
- Problemi urinari o di stitichezza. In alcuni pazienti i problemi alla vescica e all’intestino possono manifestarsi a causa dell’irregolare funzionamento del sistema nervoso, che è responsabile della regolazione dell’attività dei muscoli interessati. Alcune persone potrebbero diventare incontinenti, mentre altre potrebbero avere dei disturbi urinando. Altri potrebbero avere problemi di stitichezza perchè l’apparato intestinale funziona più lentamente. La stitichezza può anche essere causata dall’inattività, scarsa alimentazione o bevendo pochi liquidi. I farmaci usati per curare il morbo di Parkinson possono anche essere d’aiuto per la stitichezza. Può anche essere un problema persistente e, in rari casi, può essere abbastanza grave da richiedere il ricovero in ospedale.
- Problemi alla pelle. Con il morbo di Parkinson è comune per la pelle del viso diventare grassa, specialmente sulla fronte e sul naso. Anche il cuoio capelluto potrebbe diventare grasso, facendo quindi comparire forfora. In altri casi la pelle potrebbe diventare molto secca. Questi problemi sono anche causati da un irregolare funzionamento del sistema nervoso autonomo. Le cure standard per i problemi della pelle possono essere d’aiuto. L’eccessiva sudorazione, un altro comune sintomo, è di solito controllabile con i farmaci usati per il morbo di Parkinson.
- Problemi del sonno. I problemi del sonno, comuni con il morbo di Parkinson, includono difficoltà a mantenere il sonno di notte, sonno agitato, incubi e sogni emotivi, sonnolenza o improvviso sonno durante il giorno.
- Demenza o altri problemi cognitivi. Alcune persone, ma non tutte, con il morbo di Parkinson potrebbero sviluppare problemi di memoria e pensiero lento. In alcuni di questi casi i problemi cognitivi si aggravano portando ad una condizione chiamata demenza di Parkinson nel tardo corso della malattia. Questa demenza potrebbe colpire la memoria, la capacità si giudizio sociale, linguaggio, ragionamento o altre abilità mentali. Attualmente non esiste un metodo per fermare la demenza di Parkinson, ma si ipotizza che un farmaco chiamato rivastigmina potrebbe ridurre leggermente i sintomi comportamentali in alcune persone con demenza di Parkinson.
- Ipotensione ortostatica. L’ipotensione ortostatica è un improvviso calo della pressione sanguigna quando una persona si alza in piedi da una posizione distesa causando vertigini e, in casi estremi, perdita di equilibrio o svenimento. Alcuni studi hanno suggerito che, nel morbo di Parkinson, questo problema deriva da una perdita delle terminazioni nervose nel sistema nervoso simpatico che controlla la frequenza cardiaca, la pressione sanguigna e altre funzioni automatiche del corpo. I farmaci usati per curare il morbo di Parkinson potrebbero essere d’aiuto per questi sintomi.
- Crampi ai muscoli e distonia. La rigidità e la mancanza del normale movimento associate al morbo di Parkinson spesso causano crampi ai muscoli, soprattutto alle gambe e alle dita dei piedi. Massaggi, stretching, calore potrebbero essere d’aiuto per questi crampi. Il morbo di Parkinson può anche essere associato a distonia, ossia prolungate contrazioni dei muscoli che causano posizioni forzate o distorte. La distonia nel morbo di Parkinson è spesso causata da oscillazioni del livello di dopamina nel corpo. Di solito può essere alleviata o ridotta regolando le dosi di farmaci della persona.
- Dolore. Molte persone con il morbo di Parkinson sviluppano dolore ai muscoli e alle articolazioni a causa della rigidità e posizioni anormali spesso associate alla malattia. La cura con levodopa ed altri farmaci dopaminergici (che mimano l’azione della dopamina) spesso allevia questi dolori per un periodo. Nelle persone con il morbo di Parkinson potrebbe anche manifestarsi dolore dovuto alla compressione delle radici nervose o spasmi dei muscoli relativi a distonia. In rari casi possono sviluppare inspiegabile bruciore e sensazioni di dolore acuto. Questo tipo di dolore, chiamato dolore neuropatico, ha origine nel cervello. I farmaci dopaminergici, gli oppiacei, gli antidepressivi e altri tipi di farmaci possono essere tutti usati per questo tipo di dolore.
- Stanchezza e perdita di energia. Le insolite esigenze di vita con il morbo di Parkinson spesso portano a problemi di stanchezza, soprattutto verso la fine della giornata. La stanchezza potrebbe essere associata a depressione o a disordini del sonno, ma potrebbe essere anche causata da stress dei muscoli o da un’eccessiva attività quando la persona si sente bene. La stanchezza potrebbe anche essere causata da acinesia, ossia disturbi nelle fasi iniziali o avanzate di un movimento. Esercizio, buone abitudini di sonno, restare attivi mentalmente e non sforzarsi nel fare troppe attività in poco tempo potrebbero aiutare ad alleviare la stanchezza.
- Disfunzione sessuale. Il morbo di Parkinson spesso causa disfunzioni erettili a causa dei suoi effetti sui segnali dei nervi dal cervello o a causa di una scarsa circolazione del sangue. La depressione relativa al morbo di Parkinson o l’uso di antidepressivi potrebbe anche causare un ridotto impulso sessuale e altri problemi, peraltro spesso curabili.
Diagnosi
Il morbo di Parkinson viene di solito diagnosticato da un neurologo che valuta i sintomi e la loro gravità. Non c’è un test che può chiaramente identificare la malattia, a volte alle persone con sospetto morbo di Parkinson vengono dati farmaci anti-Parkinson per verificare la risposta. Altri strumenti diangnostici possono aiutare il medico nella diagnosi: le microscopiche strutture del cervello chiamate corpi si Lewy che possono essere viste solo nel corso di un’autopsia , sono considerate come un segno caratteristico classico del Parkinson. Le autopsie hanno scoperto i corpi di Lewy in un sorprendente numero di persone più vecchie senza che gli sia stato diagnosticato il morbo di Parkinson. Di conseguenza alcuni esperti credono che il morbo di Parkinson sia molto più comune di quanto si pensi e, addirittura, c’è chi sostiene che quasi tutti svilupperebbero il morbo di Parkinson se vivessero abbastanza a lungo.
Il morbo di Parkinson viene di solito diagnosticato da un neurologo che valuta i sintomi e la loro gravità. Non c’è un test che può chiaramente identificare la malattia, a volte alle persone con sospetto morbo di Parkinson vengono dati farmaci anti-Parkinson per verificare la risposta. Altri strumenti diangnostici possono aiutare il medico nella diagnosi: le microscopiche strutture del cervello chiamate corpi si Lewy che possono essere viste solo nel corso di un’autopsia , sono considerate come un segno caratteristico classico del Parkinson. Le autopsie hanno scoperto i corpi di Lewy in un sorprendente numero di persone più vecchie senza che gli sia stato diagnosticato il morbo di Parkinson. Di conseguenza alcuni esperti credono che il morbo di Parkinson sia molto più comune di quanto si pensi e, addirittura, c’è chi sostiene che quasi tutti svilupperebbero il morbo di Parkinson se vivessero abbastanza a lungo.
Cura e terapia
Non esiste speranza di guarigione per il morbo di Parkinson. Molti pazienti affetti da forme lievi non hanno bisogno di cure per diversi anni dopo la diagnosi iniziale; quando i sintomi si aggravano i medici di solito prescrivono inzialmente la levodopa (L-dopa), che aiuta a ristabilire gli equilibri di dopamina nel cervello.
A volte vengono prescritti anche altri farmaci che hanno effetto sui livelli di dopamina nel cervello: nei pazienti gravi un intervento chirurgico al cervello conosciuto come pallidotomia è risultato essere indirettamente efficace nel ridurre i sintomi.
Non esiste speranza di guarigione per il morbo di Parkinson. Molti pazienti affetti da forme lievi non hanno bisogno di cure per diversi anni dopo la diagnosi iniziale; quando i sintomi si aggravano i medici di solito prescrivono inzialmente la levodopa (L-dopa), che aiuta a ristabilire gli equilibri di dopamina nel cervello.
A volte vengono prescritti anche altri farmaci che hanno effetto sui livelli di dopamina nel cervello: nei pazienti gravi un intervento chirurgico al cervello conosciuto come pallidotomia è risultato essere indirettamente efficace nel ridurre i sintomi.
Prognosi
Il morbo di Parkinson non è una malattia mortale di per sé, ma peggiora con il tempo. L’aspettativa di vita media di un paziente con il morbo di Parkinson è generalmente la stessa di una persona che non ha la malattia, tuttavia negli ultimi stadi il morbo di Parkinson potrebbe causare complicazioni come asfissia, polmonite e cadute che possono portare alla morte.
Il progredire dei sintomi nel morbo di Parkinson potrebbe impiegare 20 anni o più, ma in alcune persone la malattia progredisce più rapidamente. Non esiste un metodo per predire quale corso avrà la malattia per ogni singola persona.
Fonte: Parkinson’s Disease
Il morbo di Parkinson non è una malattia mortale di per sé, ma peggiora con il tempo. L’aspettativa di vita media di un paziente con il morbo di Parkinson è generalmente la stessa di una persona che non ha la malattia, tuttavia negli ultimi stadi il morbo di Parkinson potrebbe causare complicazioni come asfissia, polmonite e cadute che possono portare alla morte.
Il progredire dei sintomi nel morbo di Parkinson potrebbe impiegare 20 anni o più, ma in alcune persone la malattia progredisce più rapidamente. Non esiste un metodo per predire quale corso avrà la malattia per ogni singola persona.
Fonte: Parkinson’s Disease
L’ alimentazione
La terapia nutrizionale nella Malattia Di Parkinson è di fondamentale importanza, necessaria per l’adeguamento delle abitudini alimentari, volta a mantenere un adeguato stato di salute, migliorare l’assorbimento della terapia farmacologia, aiutare l’effetto di un’adeguata terapia riabilitativa del Paziente.
La dieta nei Pazienti affetti da M. di Parkinson in terapia con levodopa è indispensabile, in quanto i pasti possono interferire con l’azione del farmaco: la levodopa è un aminoacido neutro che per essere assorbito, cioè passare dall’intestino al sangue e da questo al cervello, utilizza un trasporto attivo con dispendio di energia. Di conseguenza qualunque processo che ritardi o inibisca questo assorbimento, può portare ad una riduzione della quantità di farmaco disponibile, rendendo non costante la concentrazione intracerebrale dello stesso e riducendo di conseguenza l’efficacia della terapia farmacologia.
Naturalmente una corretta dieta non può evitare né le medicine, né ridurre i rischi della malattia, ma può certo essere di aiuto nel ridurre le variabili non controllate che sono dovute all’assorbimento dei cibi e della terapia.
Lo stomaco non è la sede dell’assorbimento della levodopa rivestendo, in questo caso, la sola funzione di transito verso l’intestino tenue dove avviene l’assorbimento. Tuttavia il tempo di permanenza nello stomaco ha importanza in quanto la levodopa viene degradata dagli enzimi gastrici, più a lungo rimarrà nello stomaco e più verrà degradata, perdendo così la sua efficacia.
Ci sono diversi fattori dietetici che influenzano la velocità di svuotamento gastrico (grassi, proteine, acidità gastrica, alcuni farmaci anticolinergici, stipsi). Alcune ricerche hanno confrontato l’assorbimento di levodopa dopo una singola somministrazione a stomaco vuoto, rispetto a quella assorbita durante il pasto.
È stato dimostrato che in alcuni casi, l’assunzione del farmaco, durante il pasto, ne ha significativamente ritardato l’efficacia. Una volta passata dallo stomaco all’intestino tenue, la levodopa è assorbita nel sangue.
È stato dimostrato un meccanismo competitivo di trasporto attraverso la barriera cerebrale, tra aminoacidi neutri (fenilalanina, leucina, isoleucina) e levodopa. I livelli plasmatici di tali aminoacidi correlano con le fluttuazioni motorie nei Pazienti in terapia con levodopa, poiché il sistema di trasporto è saturabile e con elevati livelli di aminoacidi neutri la levodopa passa con maggiore difficoltà la barriera ematoencefalica.
Negli stadi avanzati di malattia, quando le riserve endogene di dopamina sono più ridotte, il Paziente diventa del tutto dipendente dal farmaco e risente totalmente delle fluttuazioni terapeutiche della levodopa assunta, con fluttuazioni improvvise delle capacità motorie nell’arco della giornata (Fenomeni ON /OFF).
La terapia nutrizionale nella Malattia Di Parkinson è di fondamentale importanza, necessaria per l’adeguamento delle abitudini alimentari, volta a mantenere un adeguato stato di salute, migliorare l’assorbimento della terapia farmacologia, aiutare l’effetto di un’adeguata terapia riabilitativa del Paziente.
La dieta nei Pazienti affetti da M. di Parkinson in terapia con levodopa è indispensabile, in quanto i pasti possono interferire con l’azione del farmaco: la levodopa è un aminoacido neutro che per essere assorbito, cioè passare dall’intestino al sangue e da questo al cervello, utilizza un trasporto attivo con dispendio di energia. Di conseguenza qualunque processo che ritardi o inibisca questo assorbimento, può portare ad una riduzione della quantità di farmaco disponibile, rendendo non costante la concentrazione intracerebrale dello stesso e riducendo di conseguenza l’efficacia della terapia farmacologia.
Naturalmente una corretta dieta non può evitare né le medicine, né ridurre i rischi della malattia, ma può certo essere di aiuto nel ridurre le variabili non controllate che sono dovute all’assorbimento dei cibi e della terapia.
Lo stomaco non è la sede dell’assorbimento della levodopa rivestendo, in questo caso, la sola funzione di transito verso l’intestino tenue dove avviene l’assorbimento. Tuttavia il tempo di permanenza nello stomaco ha importanza in quanto la levodopa viene degradata dagli enzimi gastrici, più a lungo rimarrà nello stomaco e più verrà degradata, perdendo così la sua efficacia.
Ci sono diversi fattori dietetici che influenzano la velocità di svuotamento gastrico (grassi, proteine, acidità gastrica, alcuni farmaci anticolinergici, stipsi). Alcune ricerche hanno confrontato l’assorbimento di levodopa dopo una singola somministrazione a stomaco vuoto, rispetto a quella assorbita durante il pasto.
È stato dimostrato che in alcuni casi, l’assunzione del farmaco, durante il pasto, ne ha significativamente ritardato l’efficacia. Una volta passata dallo stomaco all’intestino tenue, la levodopa è assorbita nel sangue.
È stato dimostrato un meccanismo competitivo di trasporto attraverso la barriera cerebrale, tra aminoacidi neutri (fenilalanina, leucina, isoleucina) e levodopa. I livelli plasmatici di tali aminoacidi correlano con le fluttuazioni motorie nei Pazienti in terapia con levodopa, poiché il sistema di trasporto è saturabile e con elevati livelli di aminoacidi neutri la levodopa passa con maggiore difficoltà la barriera ematoencefalica.
Negli stadi avanzati di malattia, quando le riserve endogene di dopamina sono più ridotte, il Paziente diventa del tutto dipendente dal farmaco e risente totalmente delle fluttuazioni terapeutiche della levodopa assunta, con fluttuazioni improvvise delle capacità motorie nell’arco della giornata (Fenomeni ON /OFF).
INTERVENTO NUTRIZIONALE NELLA MALATTIA DI PARKINSON
Nell’impostare la dietoterapia è necessario tenere presente alcuni concetti fondamentali:
Per questi motivi la levodopa dovrebbe essere assunta circa 30 minuti prima di pasti leggeri e frequenti.
Si dovrebbero programmare tre pasti principali e due spuntini ad orari prestabiliti, secondo la terapia farmacologica, aumentando il consumo di carboidrati e riducendo le proteine in tutti i pasti salvo che in quello serale.
Ad esempio:
Inoltre è opportuno moderare l’apporto dei grassi e garantire un adeguato introito di carboidrati, proteine e fibre.
In alcuni casi, i semplici consigli dietetici non sono sufficienti, bisogna ricorrere a diete personalizzate, diete programmate per ogni singolo Paziente, che tengano conto della abitudini alimentari e dei gusti del Paziente, ma che nello stesso tempo permettano un controllo dell’assunzione proteica giornaliera: la quota proteica raccomandata non dovrebbe superare i 0,8 g per ogni Kg di peso corporeo, concentrata soprattutto nel pasto serale. Quando questo non fosse sufficiente si possono utilizzare alimenti “speciali”.
Esistono in commercio alimenti aproteici che possono semplificare al Paziente il compito della preparazione del pasto e permettono il mantenimento delle abitudini alimentari. Infatti è disponibile una vasta gamma di alimenti e nello stesso tempo migliorano l’efficacia della terapia farmacologica grazie al basso contenuto di proteine vegetali.
Va segnalato che i Pazienti parkinsoniani tendono a presentare carenza di alcuni minerali come il calcio, il ferro o di alcune vitamine (D, C, E) il cui apporto supplementare può talvolta rendersi necessario; è comunque consigliata l’assunzione di queste sostanze lontano dalla somministrazione dei farmaci e su indicazione medica.
Attualmente non è più strettamente necessario evitare l’assunzione di vitamina B6 presente in numerosi alimenti quali frattaglie, legumi, cereali, ortaggi, patate, banane e soya, che ostacola l’assorbimento della L-dopa , in quanto la somministrazione di carbidopa, quasi sempre associata alla L-dopa, previene questo inconveniente: si raccomanda tuttavia di non superare i 2 mg di vitamina B6 assunta in un giorno, dose che soddisfa il fabbisogno giornaliero.
Nell’impostare la dietoterapia è necessario tenere presente alcuni concetti fondamentali:
- Nella Malattia di Parknson ci sono diversi fattori che interferiscono con lo stato nutrizionale del Paziente (ad esempio il grado di compromissione motoria, la disfagia per incoordinamento motorio di tutte le fasi della deglutizione).
- fabbisogni energetici sono nella norma e comunque adeguati , previa valutazione dello stato nutrizionale del Paziente. L’andamento del peso corporeo è comunque legato allo stadio della malattia: alcuni studi testimoniano un alta prevalenza di obesità a 10 anni dalla diagnosi , mentre a 14 anni dalla diagnosi sembra prevalere il sottopeso .
- La levodopa non viene assorbita a livello gastrico, ma un incremento del tempo di permanenza nello stomaco determina un rallentamento dell’azione del farmaco, riducendone l’effetto clinico, allo stesso modo un ritardo dell’assorbimento intestinale porta ad una modifica nel timing terapeutico.
- Gli aminoacidi neutri (isoleucina, leucina, valina, fenilalaniana, triptofano, tiroxina), introdotti con le proteine ingerite nei pasti, utilizzando lo stesso sistema di trasporto della levodopa, si mettono in competizione con essa .
- Un apporto elevato di carboidrati aumenta la secrezione di insulina che a sua volta riduce la quantità di aminoacidi circolanti, favorendo il trasporto della levodopa a livello cerebrale.
Per questi motivi la levodopa dovrebbe essere assunta circa 30 minuti prima di pasti leggeri e frequenti.
Si dovrebbero programmare tre pasti principali e due spuntini ad orari prestabiliti, secondo la terapia farmacologica, aumentando il consumo di carboidrati e riducendo le proteine in tutti i pasti salvo che in quello serale.
Ad esempio:
- Il pranzo è costituito da un primo piatto semplice senza aggiunta di proteine, un contorno di verdure crude e/o cotte, pane e frutta.
- La cena in cui si inserisce la quota proteica: sono consentiti i primi piatti con legumi (piatto unico), carni, pesce, uova, seguono sempre un contorno di verdure crude e/o cotte una porzione di frutta.
Inoltre è opportuno moderare l’apporto dei grassi e garantire un adeguato introito di carboidrati, proteine e fibre.
In alcuni casi, i semplici consigli dietetici non sono sufficienti, bisogna ricorrere a diete personalizzate, diete programmate per ogni singolo Paziente, che tengano conto della abitudini alimentari e dei gusti del Paziente, ma che nello stesso tempo permettano un controllo dell’assunzione proteica giornaliera: la quota proteica raccomandata non dovrebbe superare i 0,8 g per ogni Kg di peso corporeo, concentrata soprattutto nel pasto serale. Quando questo non fosse sufficiente si possono utilizzare alimenti “speciali”.
Esistono in commercio alimenti aproteici che possono semplificare al Paziente il compito della preparazione del pasto e permettono il mantenimento delle abitudini alimentari. Infatti è disponibile una vasta gamma di alimenti e nello stesso tempo migliorano l’efficacia della terapia farmacologica grazie al basso contenuto di proteine vegetali.
Va segnalato che i Pazienti parkinsoniani tendono a presentare carenza di alcuni minerali come il calcio, il ferro o di alcune vitamine (D, C, E) il cui apporto supplementare può talvolta rendersi necessario; è comunque consigliata l’assunzione di queste sostanze lontano dalla somministrazione dei farmaci e su indicazione medica.
Attualmente non è più strettamente necessario evitare l’assunzione di vitamina B6 presente in numerosi alimenti quali frattaglie, legumi, cereali, ortaggi, patate, banane e soya, che ostacola l’assorbimento della L-dopa , in quanto la somministrazione di carbidopa, quasi sempre associata alla L-dopa, previene questo inconveniente: si raccomanda tuttavia di non superare i 2 mg di vitamina B6 assunta in un giorno, dose che soddisfa il fabbisogno giornaliero.
LIPIDI
I grassi dovrebbero essere assunti con moderazione dai Pazienti parkinsoniani. Sebbene l’apporto di lipidi sia essenziale per garantire un corretto apporto calorico, è bene non eccedere, in quanto essi rallentano lo svuotamento gastrico interferendo con l’assorbimento dei farmaci.
E’necessario pertanto limitare l’apporto di acidi grassi saturi e privilegiare l’assunzione di grassi insaturi (oli vegetali e pesce).
I grassi dovrebbero essere assunti con moderazione dai Pazienti parkinsoniani. Sebbene l’apporto di lipidi sia essenziale per garantire un corretto apporto calorico, è bene non eccedere, in quanto essi rallentano lo svuotamento gastrico interferendo con l’assorbimento dei farmaci.
E’necessario pertanto limitare l’apporto di acidi grassi saturi e privilegiare l’assunzione di grassi insaturi (oli vegetali e pesce).
CARBOIDRATI
Il consumo di carboidrati è raccomandato nei Pazienti parkinsoniani; i carboidrati dovrebbero costituire la quota alimentare maggiormente rappresentata in quanto forniscono un adeguato apporto calorico, transitano rapidamente dallo stomaco all’intestino e stimolano la produzione di insulina determinando una riduzione della concentrazione ematica di aminoacidi (che potrebbero competere con l’assorbimento della L-dopa al livello cerebrale).
Il consumo di carboidrati è raccomandato nei Pazienti parkinsoniani; i carboidrati dovrebbero costituire la quota alimentare maggiormente rappresentata in quanto forniscono un adeguato apporto calorico, transitano rapidamente dallo stomaco all’intestino e stimolano la produzione di insulina determinando una riduzione della concentrazione ematica di aminoacidi (che potrebbero competere con l’assorbimento della L-dopa al livello cerebrale).
FIBRE
La stitichezza si presenta frequentemente nei Pazienti con patologie neurologiche degenerative per un rallentamento della funzionalità intestinale.
Una modificazione delle abitudini alimentari, può contribuire ad una corretta gestione della stipsi, l’apporto di fibre preferibilmente sotto forma di frutta e verdura consentono, oltre ad un effetto sul tempo di transito anche un apporto adeguato di vitamine.
Anche nei soggetti parkinsoniani è descritto che l’uso di integratori di fibre alimentari (psillium, mucillagine, crusca, glucomannani etc.) incrementi la frequenza dell’alvo ed è utile nel trattamento della stipsi. La somministrazione di fibre dietetiche va però attentamente valutata perché un eccesso può interferire e ridurre l’assorbimento dei farmaci anti-parkinsoniani sia per diluizione intraluminale, sia per rallentamento dello svuotamento gastrico. Si consiglia inoltre l’assunzione di un litro e mezzo di acqua al giorno e di non superare i 25-30 g di fibra/die.
La stitichezza si presenta frequentemente nei Pazienti con patologie neurologiche degenerative per un rallentamento della funzionalità intestinale.
Una modificazione delle abitudini alimentari, può contribuire ad una corretta gestione della stipsi, l’apporto di fibre preferibilmente sotto forma di frutta e verdura consentono, oltre ad un effetto sul tempo di transito anche un apporto adeguato di vitamine.
Anche nei soggetti parkinsoniani è descritto che l’uso di integratori di fibre alimentari (psillium, mucillagine, crusca, glucomannani etc.) incrementi la frequenza dell’alvo ed è utile nel trattamento della stipsi. La somministrazione di fibre dietetiche va però attentamente valutata perché un eccesso può interferire e ridurre l’assorbimento dei farmaci anti-parkinsoniani sia per diluizione intraluminale, sia per rallentamento dello svuotamento gastrico. Si consiglia inoltre l’assunzione di un litro e mezzo di acqua al giorno e di non superare i 25-30 g di fibra/die.
DIETOTERAPIA NELLA MALATTIA DI PARKINSON
Lo schema dietetico nella Malattia di Parkinson corrisponde alla dieta dissociata in quanto prevede l’assunzione di carboidrati a pranzo e l’assunzione della proteine a cena.
Nella Malattia di Parkinson una dieta ricca di vitamina C presente maggiormente negli agrumi, kiwi, fragole, melone, prezzemolo e di vitamina E presente negli oli vegetali spremuti a freddo (mais, girasole, oliva), nell’olio di pesce, pesce, che tra l’altro sono anche le fonti più ricche di acidi grassi polinsaturi (omega 3), con marcato effetto antiossidante importante nel prevenire l’ossidazione cellulare che è alla base della morte neuronale, può essere utile soprattutto nelle fasi iniziali.
Inoltre essendo una conseguenza reale la difficoltà della masticazione e deglutizione degli alimenti soprattutto nello stadio intermedio – avanzato della Malattia di Parkinson diventa necessario effettuare un adeguamento della consistenza degli alimenti al fine di evitare episodi di aspirazione silente e conseguente polmonite ab ingestis.
Lo schema dietetico nella Malattia di Parkinson corrisponde alla dieta dissociata in quanto prevede l’assunzione di carboidrati a pranzo e l’assunzione della proteine a cena.
Nella Malattia di Parkinson una dieta ricca di vitamina C presente maggiormente negli agrumi, kiwi, fragole, melone, prezzemolo e di vitamina E presente negli oli vegetali spremuti a freddo (mais, girasole, oliva), nell’olio di pesce, pesce, che tra l’altro sono anche le fonti più ricche di acidi grassi polinsaturi (omega 3), con marcato effetto antiossidante importante nel prevenire l’ossidazione cellulare che è alla base della morte neuronale, può essere utile soprattutto nelle fasi iniziali.
Inoltre essendo una conseguenza reale la difficoltà della masticazione e deglutizione degli alimenti soprattutto nello stadio intermedio – avanzato della Malattia di Parkinson diventa necessario effettuare un adeguamento della consistenza degli alimenti al fine di evitare episodi di aspirazione silente e conseguente polmonite ab ingestis.
ALIMENTI VIETATI
Grassi saturi (burro- strutto- lardo) – Selvaggina – Frattaglie – Insaccati – Alimenti conservati – Alimenti inscatolati – Latte e derivati – Fritti – Sughi pesanti – Dessert al cucchiaio – Alcolici
ALIMENTI PERMESSI
Cereali (pane – pasta possibilmente integrali) – Legumi – Verdure – Ortaggi – Frutta fresca (soprattutto agrumi e Kiwi) – Carni bianche (pollo – tacchino – coniglio – vitella) – Pesce – Uova – Oli vegetali (sopratutto nell’olio di oliva e di semi girasole la vitamina E è presente nella forma che ha maggiore attività biologica)
In conclusione
Da quanto detto risulta fondamentale che i Pazienti affetti da Malattia di Parkinson abbiano un peso normale per la propria altezza. Essere in sottopeso o soprappeso mette a rischio la sopravvivenza del Paziente stesso e favorisce inevitabilmente la comparsa di altre malattie metaboliche che possono compromettere negativamente l’andamento della malattia di base.
Eseguire regolarmente esami ematochimici ed avere una valutazione dietologica specialistica, dove venga adottato un adeguato protocollo dietoterapico a seconda delle esigenze nutrizionali di ogni singolo Paziente, può migliorare lo stato di salute e facilitare il Neurologo nel trattamento sintomatico della malattia neurologica.
Un’alimentazione corretta non solo quantitativamente, ma soprattutto qualitativamente, permette certo non di guarire o di ridurre la progressione della malattia, ma aiuta il Paziente non solo a non appesantirsi producendo ulteriori scompensi sull’apparato osteo – articolare, ma soprattutto aiuta a rendere costante l’effetto del farmaco durante la giornata.
Da quanto detto risulta fondamentale che i Pazienti affetti da Malattia di Parkinson abbiano un peso normale per la propria altezza. Essere in sottopeso o soprappeso mette a rischio la sopravvivenza del Paziente stesso e favorisce inevitabilmente la comparsa di altre malattie metaboliche che possono compromettere negativamente l’andamento della malattia di base.
Eseguire regolarmente esami ematochimici ed avere una valutazione dietologica specialistica, dove venga adottato un adeguato protocollo dietoterapico a seconda delle esigenze nutrizionali di ogni singolo Paziente, può migliorare lo stato di salute e facilitare il Neurologo nel trattamento sintomatico della malattia neurologica.
Un’alimentazione corretta non solo quantitativamente, ma soprattutto qualitativamente, permette certo non di guarire o di ridurre la progressione della malattia, ma aiuta il Paziente non solo a non appesantirsi producendo ulteriori scompensi sull’apparato osteo – articolare, ma soprattutto aiuta a rendere costante l’effetto del farmaco durante la giornata.
AVVERTENZA: Questo sito ha carattere di divulgazione culturale e informativa, necessariamente generale. Le informazioni contenute, pur basate sugli studi scientifici citati, non sostituiscono il consulto personalizzato del professionista pratico, dietologo o medico. Il lettore non è autorizzato a considerare gli articoli qui contenuti come consulti medici, né a prenderli a pretesto per curarsi da sé.