Dott. Ignazio Madonia
Obesità oggi
L’obesità è uno degli argomenti di cui si parla di più in materia di sanità.
E' una delle maggiori cause di morte prevenibili delle società occidentali avanzate e per tale motivo rappresenta una sfida ed un impegno per la salute pubblica.
Ed è anche molto interessante capire quale sia stato l’andamento della patologia in termini di percentuali durante gli anni.
Secondo le stime, infatti, l’obesità cresce a vista d’occhio di anno in anno. Una recente ricerca condotta dall’Università di Harvard e dall’Organizzazione Mondiale della Sanità, afferma che dagli anni 80 a oggi il numero degli obesi nel mondo è quasi raddoppiato.
In particolar modo, oggi una persona su dieci è obesa, con una leggera prevalenza nelle donne.
La maggior percentuale di obesi, inoltre, la si ritrova negli Stati Uniti, mentre i più magri sono i giapponesi.
E' una delle maggiori cause di morte prevenibili delle società occidentali avanzate e per tale motivo rappresenta una sfida ed un impegno per la salute pubblica.
Ed è anche molto interessante capire quale sia stato l’andamento della patologia in termini di percentuali durante gli anni.
Secondo le stime, infatti, l’obesità cresce a vista d’occhio di anno in anno. Una recente ricerca condotta dall’Università di Harvard e dall’Organizzazione Mondiale della Sanità, afferma che dagli anni 80 a oggi il numero degli obesi nel mondo è quasi raddoppiato.
In particolar modo, oggi una persona su dieci è obesa, con una leggera prevalenza nelle donne.
La maggior percentuale di obesi, inoltre, la si ritrova negli Stati Uniti, mentre i più magri sono i giapponesi.
LA DIETA DELL’UOMO DALLE ORIGINI AI GIORNI NOSTRI
Vediamo ora come è cambiata la dieta della specie umana durante la sua storia; da questa indagine si possono ricavare , oltre alla modificazioni, anche gli eventu ali errori, possibili cause di gravi malattie che affliggono attualmente l’umanità.
Durante un periodo molto antico detto Miocene (12-14 milioni di anni fa) un gruppo di Primati (un ramo di scimmie antropomorfe, cioè simili all’uomo, come il gorilla, lo scimpanzé e l’orango) si staccò dal tronco delle scimmie del vecchio mondo e diede inizio a quel processo che attraverso varie tappe, doveva portare al genere uomo; dai fossili ritrovati si sono ricostruite alcune specie di passaggi, chiamati Gigantopiteco, Sivapiteco e infine Ramapiteco .
Fino a quel momento, quei Primati vivevano raccogliendo sugli alberi il loro cibo, composto prevalentemente di frutti, oltre che di germogli, bacche, tuberi, foglie, integrati per la quota proteica da qualche insetto e verme.
E’ degno di attenzione il fatto che qualsiasi tipo di frutta fresca fornisce calorie sotto forma di zuccheri idrosolubili, non supera mai circa le 800 calorie per kg., non ha mai meno del 75% di acqua e contiene da 1 a 4 g. per kg. di potassio.
Questo comportava che i nostri progenitori, pur mangiando a volontà qualsiasi tipo di frutta, non potevano mai assumere più calorie di quante ne consumassero e quindi non potevano mai ingrassare.
Ciò risulta evidente oggi osservando i Primati (scimmie), che pur presentando ventri prominenenti per la grande quantità di frutta ingerita , non hanno mai un pannicolo adiposo tale da farli considerare grassi. D’altra parte queste scimmie, vivendo in foreste dove la produzione di frutta era continua e la temperatura non richiedeva uno strato di grasso per l’isolamento dal freddo, non avevano bisogno di accumulare riserve di grasso, che avrebbe solo rappresentato uno svantaggio per l’agilità e mobilità del soggetto.
Circa 2,5-2 milioni di anni fa il clima africano divenne più secco e le foreste si ridussero notevolmente per far posto alle savane, praterie con macchie di boschi.
Per la siccità incombente frutti e foglie diminuirono, per cui gli Ominidi dovettero scendere dagli alberi e cercare i frutti del sottobosco, i semi delle praterie, (graminacee e cereali), bulbi, rizomi e tuberi, questi ultimi specie nei periodi di siccità. Per arricchire la dieta di proteine, raccolsero animaletti, lucertole, uova e uccellini dai nidi.
Gli Australopitechi robusti e iperrobusti, avrebbero procacciato il cibo in zone boscose e si sarebbero avventurati nelle praterie circostanti solo per cercare frutti duri, dotati di semi e poca polpa, noci, semi, tuberi mangiati sporchi di terra.
Chiusi in uno spazio sempre più ristretto e con risorse più ridotte furono destinati a scomparire.
Gli Australopitechi africani, del tipo più gracile, forse ebbero dieta simile ma con frutti più teneri, integrati con rettili, nidiacei, insetti, larve, pesci,molluschi dei laghi salati e dei fiumi, con saltuaria caccia di animali o utilizzazione di resti di animali morti.
Alcuni Ominidi, già 3,5 milioni di anni fa, avevano superato un altro gradino dell’evoluzione con la comparsa di modifiche anatomiche che permisero la posizione eretta, cioè la possibilità di stare in piedi; si liberarono così gli arti anteriori, diventati braccia, e soprattutto le mani per la raccolta di cibo e per l’uso di pietre rudimentali per la difesa, per scavare radici e per separare la carne dalle ossa.
Questo ramo di Primati, sceso dagli alberi e in grado di camminare, si avventurò nelle savane aperte, vivendo la c.d.”rivoluzione delle savane”. Con il moltiplicarsi della specie, fu necessario per essi espandersi dalle foreste tropicali dotate di frutti per tutto l’anno verso terre con climi non più tropicali, quindi a vegetazione meno estesa e caduca, cioè con produzione di cibo solo stagionale; iniziarono così le grandi migrazioni.
Intanto l’alimentazione, prima essenzialmente vegetariana, divenne parzialmente carnivora, comprendendo anche prodotti proteici del terreno come vermi, insetti, lumache, rane e uova di uccelli.
Comparvero così nella alimentazione dell’Ominide nomade primitivo i primi grassi, ma certamente in piccole quantità (pochi grammi al giorno). In seguito, con la caccia e la selvaggina, con la pesca per le popolazioni viventi in riva al mare, la quantità aumentò di poco, per i motivi già descritti a proposito degli uomini primitivi.
La raccolta di uova rimase saltuaria, perché spesso nascoste in luoghi inaccessibili; d’altra parte era abbastanza improbabile potessero procurarsi il latte, succhiandolo dalle femmine di altre specie di mammiferi.
La frutta secca presentava altri inconvenienti legati al piccolo volume e alle difficoltà per estrarne i semi senza strumenti adatti. La comparsa nell’alimentazione della componente proteica, che costituisce la c.d. “rivoluzione proteica”, potrebbe aver determinato, secondo alcuni studiosi, una particolare evoluzione di quel ramo dei Primati, che nell’arco di oltre 6 milioni di anni ha portato allo sviluppo di una intelligenza superiore e di particolari tipi di comportamento.
In questo periodo dell’evoluzione questi primati intelligenti precursori dell’uomo, i c.d. Ominidi, incontrarono casualmente un’altra fonte di proteine, la carne di animali morti prede di altri carnivori,che col tempo e con l’aiuto di strumenti di pietra e di armi primitive imparò in seguito a cacciare di persona, specie bovidi come le antilopi.
Un esempio di questa dieta primitiva è offerto da una colonia sopravvissuta di indios dell’Alto Orinoco, gli Yanohama, che hanno un livello preistorico di alimentazione, consistente nella raccolta di prodotti della foresta, caccia e pesca, che consente loro di nutrirsi con 125 g. di pesce di fiume e 250 g. di carne cacciata.
Contemporaneamente avvennero altre importanti evoluzione della specie, come la nascita dello spirito di collaborazione fra i membri dello stesso branco, con la spartizione del cibo comunque procurato fra essi, la suddivisione delle diverse funzioni fra l’uomo cacciatore e la donna prima raccoglitrice poi casalinga, con funzioni di preparare il cibo, oltre che di assicurare la sopravvivenza della specie.
Il miglioramento della alimentazione, con la dieta più varia e di diversa provenienza, determinò anche un a grande crescita numerica degli ominidi e di conseguenza una rarefazione della selvaggina all’inizio del Pliocene; gli ominidi perciò furono costretti a migrare, come i primi cacciatori glaciali attraverso lo Stretto di Bering, probabilmente ghiacciato durante una grande glaciazione, prima nel Nord- e poi nel Sud-America al seguito delle grandi mandrie di animali,(mammuth, camelidi). In mille anni (periodo calcolato dai ricercatori) essi raggiunsero la Patagonia.
Questa emigrazione di popolazioni asiatiche, attraverso lo stretto di Bering ghiacciato, nell’America del Nord è ora posta in discussione da studi recenti, che attribuiscono alle popolazioni insediate sulle due sponde all’incirca la stessa età .
Intanto gli Ominidi in milioni di anni subirono una evoluzione in specie sempre più umane, finchè si arrivò, attraverso l’Australopiteco (da 3 1/2 milioni a 1 milione di anni fa), all’Homo Habilis ( da 2,7 a 1 milione di anni fa).
Quando, in questo processo evolutivo, possiamo parlare di Uomo e come ci si è arrivati non lo sappiamo con certezza e ancora si combattono due teorie, quella evoluzionista che risale a Darwin e sostiene la graduale trasformazione della specie provocata dalle stesse forze della natura e quella creazionista di origine religiosa, che afferma l’intervento di una intelligenza superiore, da alcuni chiamata Dio, nell’ultimo passaggio da animale a uomo.
Non abbiamo né l’intenzione, né la competenza per approfondire la discussione e d’altra parte questo ci porterebbe troppo lontano dal nostro argomento; perciò ci limiteremo a proseguire la nostra storia secondo la teoria evoluzionista, oggi prevalente, anche se non esente da critiche.
L’Homo Habilis, con cervello più sviluppato, posizione eretta, mano prensile e capace di movimenti fini, invase la savana e, continuando a nutrirsi di vegetali, integrò con maggior continuità la dieta con carni di prede raccolte e sottratte ai carnivori.
Ciò gli permise di sviluppare il cervello con le sue funzioni e grazie alla sua abilità manuale, una cultura grossolana degli utensili.
La sua dieta divenne così equilibrata, onnivora composta di frutta, vegetali, carne e pesce, con vantaggi per l’adattamento e la sopravvivenza.
Dall’Homo Habilis deriverà l’Homo Erectus ( da 1,8 milioni a 300.000 anni fa), che utilizzò il fuoco e perfezionò la lavorazione di strumenti di pietra, con un comportamento simile a quello degli attuali raccoglitori-cacciatori.
Esso rappresenta l’ultimo gradino prima dell’Homo Sapiens, l’attuale specie dominante, nel bene e nel male, del nostro Pianeta.
Quando i nuovi territori da invadere si esaurirono e con essi la riserva di caccia , sorse per necessità di sopravvivenza l’agricoltura.
Nata per caso dall’osservazione di germogli, cresciuti presso la caverna o altro riparo dai resti (semi) dei pasti consumati, essa fu favorita dalle nuove tecniche strumentali, dalla scoperta del fuoco che offerse la possibilità di cuocere i cereali facilitandone la digestione e permise col sistema del taglia-brucia la creazione di terreni per la coltivazione.
Constatando che la coltivazione del cibo costava meno energia e rischi della caccia, l’agricoltura si affermò definitivamente in Medio Oriente (c.d. fertile mezza luna), 8000-9000 anni a.C., determinando profonde modificazioni del metabolismo umano con possibilità di nuove malattie in caso di mancato adattamento e variazioni di comportamento come il fenomeno dell’urbanesimo, cioè della permanenza in sedi fisse.
Come conseguenza di questo nuovo fenomeno , fu possibile all’uomo agricoltore allevare animali domestici adatti alla nutrizione che, vista la riduzione di importanza della caccia , integrarono la dieta delle proteine animali indispensabili al suo metabolismo.
Come conclusione di questo rapido viaggio nella storia dell’uomo e del suo sistema di nutrizione, considerando che l’uomo è comparso sulla terra circa 2 milioni di anni fa, si calcola che per il 90% di questo periodo egli sia rimasto raccoglitore e poi cacciatore e solo negli ultimi 10.000 anni abbia cominciato ad addomesticare piante ed animali (periodo agricolo-pastorale).
E’ possibile che le ultime modificazioni della dieta introdotte dall’agricoltura e dall’allevamento degli animali, dalla cottura dei cibi e dal loro trattamento, dall’aggiunta del sale e da molte altre variazioni degli ultimi secoli abbiano indotto alterazioni del metabolismo non ancora assimilate dal codice genetico e pertanto possibile fonte di malattie metaboliche (diabete, obesità), degenerative (aterosclerosi) e proliferative (tumori).
Queste considerazioni possono sembrare al lettore frutto di fantasia.
Per trovare una conferma scientifica alcuni ricercatori canadesi della nutrizione (Jenkins) hanno studiato nell’uomo gli effetti sui grassi del sangue e sul peso di 3 diete, quella del periodo Miocene (già descritta), quella del periodo Neolitico e infine di una dieta prescritta attualmente a scopo curativo a contenuto basso di grassi saturi e alto di vegetali.
Dopo due settimane il Colesterolo LDL (cattivo) era diminuito del 33% con la prima dieta, del 23% con la seconda e del 7% con la terza, con una proporzionale aumento del colesterolo buono. In altre parole, la dieta Miocene ha raggiunto un risultato sui grassi del sangue pari ad una attuale terapia a base di statine, oltre ad una riduzione del peso per la facile sazietà provocata dalla grande quantità di cibo ingerito (più di 5 kg.).
E’ presumibile, in base ai dati epidemiologici, che risultati simili si ottengano anche per la mortalità e morbilità cardiovascolare e forse tumorale.
Durante un periodo molto antico detto Miocene (12-14 milioni di anni fa) un gruppo di Primati (un ramo di scimmie antropomorfe, cioè simili all’uomo, come il gorilla, lo scimpanzé e l’orango) si staccò dal tronco delle scimmie del vecchio mondo e diede inizio a quel processo che attraverso varie tappe, doveva portare al genere uomo; dai fossili ritrovati si sono ricostruite alcune specie di passaggi, chiamati Gigantopiteco, Sivapiteco e infine Ramapiteco .
Fino a quel momento, quei Primati vivevano raccogliendo sugli alberi il loro cibo, composto prevalentemente di frutti, oltre che di germogli, bacche, tuberi, foglie, integrati per la quota proteica da qualche insetto e verme.
E’ degno di attenzione il fatto che qualsiasi tipo di frutta fresca fornisce calorie sotto forma di zuccheri idrosolubili, non supera mai circa le 800 calorie per kg., non ha mai meno del 75% di acqua e contiene da 1 a 4 g. per kg. di potassio.
Questo comportava che i nostri progenitori, pur mangiando a volontà qualsiasi tipo di frutta, non potevano mai assumere più calorie di quante ne consumassero e quindi non potevano mai ingrassare.
Ciò risulta evidente oggi osservando i Primati (scimmie), che pur presentando ventri prominenenti per la grande quantità di frutta ingerita , non hanno mai un pannicolo adiposo tale da farli considerare grassi. D’altra parte queste scimmie, vivendo in foreste dove la produzione di frutta era continua e la temperatura non richiedeva uno strato di grasso per l’isolamento dal freddo, non avevano bisogno di accumulare riserve di grasso, che avrebbe solo rappresentato uno svantaggio per l’agilità e mobilità del soggetto.
Circa 2,5-2 milioni di anni fa il clima africano divenne più secco e le foreste si ridussero notevolmente per far posto alle savane, praterie con macchie di boschi.
Per la siccità incombente frutti e foglie diminuirono, per cui gli Ominidi dovettero scendere dagli alberi e cercare i frutti del sottobosco, i semi delle praterie, (graminacee e cereali), bulbi, rizomi e tuberi, questi ultimi specie nei periodi di siccità. Per arricchire la dieta di proteine, raccolsero animaletti, lucertole, uova e uccellini dai nidi.
Gli Australopitechi robusti e iperrobusti, avrebbero procacciato il cibo in zone boscose e si sarebbero avventurati nelle praterie circostanti solo per cercare frutti duri, dotati di semi e poca polpa, noci, semi, tuberi mangiati sporchi di terra.
Chiusi in uno spazio sempre più ristretto e con risorse più ridotte furono destinati a scomparire.
Gli Australopitechi africani, del tipo più gracile, forse ebbero dieta simile ma con frutti più teneri, integrati con rettili, nidiacei, insetti, larve, pesci,molluschi dei laghi salati e dei fiumi, con saltuaria caccia di animali o utilizzazione di resti di animali morti.
Alcuni Ominidi, già 3,5 milioni di anni fa, avevano superato un altro gradino dell’evoluzione con la comparsa di modifiche anatomiche che permisero la posizione eretta, cioè la possibilità di stare in piedi; si liberarono così gli arti anteriori, diventati braccia, e soprattutto le mani per la raccolta di cibo e per l’uso di pietre rudimentali per la difesa, per scavare radici e per separare la carne dalle ossa.
Questo ramo di Primati, sceso dagli alberi e in grado di camminare, si avventurò nelle savane aperte, vivendo la c.d.”rivoluzione delle savane”. Con il moltiplicarsi della specie, fu necessario per essi espandersi dalle foreste tropicali dotate di frutti per tutto l’anno verso terre con climi non più tropicali, quindi a vegetazione meno estesa e caduca, cioè con produzione di cibo solo stagionale; iniziarono così le grandi migrazioni.
Intanto l’alimentazione, prima essenzialmente vegetariana, divenne parzialmente carnivora, comprendendo anche prodotti proteici del terreno come vermi, insetti, lumache, rane e uova di uccelli.
Comparvero così nella alimentazione dell’Ominide nomade primitivo i primi grassi, ma certamente in piccole quantità (pochi grammi al giorno). In seguito, con la caccia e la selvaggina, con la pesca per le popolazioni viventi in riva al mare, la quantità aumentò di poco, per i motivi già descritti a proposito degli uomini primitivi.
La raccolta di uova rimase saltuaria, perché spesso nascoste in luoghi inaccessibili; d’altra parte era abbastanza improbabile potessero procurarsi il latte, succhiandolo dalle femmine di altre specie di mammiferi.
La frutta secca presentava altri inconvenienti legati al piccolo volume e alle difficoltà per estrarne i semi senza strumenti adatti. La comparsa nell’alimentazione della componente proteica, che costituisce la c.d. “rivoluzione proteica”, potrebbe aver determinato, secondo alcuni studiosi, una particolare evoluzione di quel ramo dei Primati, che nell’arco di oltre 6 milioni di anni ha portato allo sviluppo di una intelligenza superiore e di particolari tipi di comportamento.
In questo periodo dell’evoluzione questi primati intelligenti precursori dell’uomo, i c.d. Ominidi, incontrarono casualmente un’altra fonte di proteine, la carne di animali morti prede di altri carnivori,che col tempo e con l’aiuto di strumenti di pietra e di armi primitive imparò in seguito a cacciare di persona, specie bovidi come le antilopi.
Un esempio di questa dieta primitiva è offerto da una colonia sopravvissuta di indios dell’Alto Orinoco, gli Yanohama, che hanno un livello preistorico di alimentazione, consistente nella raccolta di prodotti della foresta, caccia e pesca, che consente loro di nutrirsi con 125 g. di pesce di fiume e 250 g. di carne cacciata.
Contemporaneamente avvennero altre importanti evoluzione della specie, come la nascita dello spirito di collaborazione fra i membri dello stesso branco, con la spartizione del cibo comunque procurato fra essi, la suddivisione delle diverse funzioni fra l’uomo cacciatore e la donna prima raccoglitrice poi casalinga, con funzioni di preparare il cibo, oltre che di assicurare la sopravvivenza della specie.
Il miglioramento della alimentazione, con la dieta più varia e di diversa provenienza, determinò anche un a grande crescita numerica degli ominidi e di conseguenza una rarefazione della selvaggina all’inizio del Pliocene; gli ominidi perciò furono costretti a migrare, come i primi cacciatori glaciali attraverso lo Stretto di Bering, probabilmente ghiacciato durante una grande glaciazione, prima nel Nord- e poi nel Sud-America al seguito delle grandi mandrie di animali,(mammuth, camelidi). In mille anni (periodo calcolato dai ricercatori) essi raggiunsero la Patagonia.
Questa emigrazione di popolazioni asiatiche, attraverso lo stretto di Bering ghiacciato, nell’America del Nord è ora posta in discussione da studi recenti, che attribuiscono alle popolazioni insediate sulle due sponde all’incirca la stessa età .
Intanto gli Ominidi in milioni di anni subirono una evoluzione in specie sempre più umane, finchè si arrivò, attraverso l’Australopiteco (da 3 1/2 milioni a 1 milione di anni fa), all’Homo Habilis ( da 2,7 a 1 milione di anni fa).
Quando, in questo processo evolutivo, possiamo parlare di Uomo e come ci si è arrivati non lo sappiamo con certezza e ancora si combattono due teorie, quella evoluzionista che risale a Darwin e sostiene la graduale trasformazione della specie provocata dalle stesse forze della natura e quella creazionista di origine religiosa, che afferma l’intervento di una intelligenza superiore, da alcuni chiamata Dio, nell’ultimo passaggio da animale a uomo.
Non abbiamo né l’intenzione, né la competenza per approfondire la discussione e d’altra parte questo ci porterebbe troppo lontano dal nostro argomento; perciò ci limiteremo a proseguire la nostra storia secondo la teoria evoluzionista, oggi prevalente, anche se non esente da critiche.
L’Homo Habilis, con cervello più sviluppato, posizione eretta, mano prensile e capace di movimenti fini, invase la savana e, continuando a nutrirsi di vegetali, integrò con maggior continuità la dieta con carni di prede raccolte e sottratte ai carnivori.
Ciò gli permise di sviluppare il cervello con le sue funzioni e grazie alla sua abilità manuale, una cultura grossolana degli utensili.
La sua dieta divenne così equilibrata, onnivora composta di frutta, vegetali, carne e pesce, con vantaggi per l’adattamento e la sopravvivenza.
Dall’Homo Habilis deriverà l’Homo Erectus ( da 1,8 milioni a 300.000 anni fa), che utilizzò il fuoco e perfezionò la lavorazione di strumenti di pietra, con un comportamento simile a quello degli attuali raccoglitori-cacciatori.
Esso rappresenta l’ultimo gradino prima dell’Homo Sapiens, l’attuale specie dominante, nel bene e nel male, del nostro Pianeta.
Quando i nuovi territori da invadere si esaurirono e con essi la riserva di caccia , sorse per necessità di sopravvivenza l’agricoltura.
Nata per caso dall’osservazione di germogli, cresciuti presso la caverna o altro riparo dai resti (semi) dei pasti consumati, essa fu favorita dalle nuove tecniche strumentali, dalla scoperta del fuoco che offerse la possibilità di cuocere i cereali facilitandone la digestione e permise col sistema del taglia-brucia la creazione di terreni per la coltivazione.
Constatando che la coltivazione del cibo costava meno energia e rischi della caccia, l’agricoltura si affermò definitivamente in Medio Oriente (c.d. fertile mezza luna), 8000-9000 anni a.C., determinando profonde modificazioni del metabolismo umano con possibilità di nuove malattie in caso di mancato adattamento e variazioni di comportamento come il fenomeno dell’urbanesimo, cioè della permanenza in sedi fisse.
Come conseguenza di questo nuovo fenomeno , fu possibile all’uomo agricoltore allevare animali domestici adatti alla nutrizione che, vista la riduzione di importanza della caccia , integrarono la dieta delle proteine animali indispensabili al suo metabolismo.
Come conclusione di questo rapido viaggio nella storia dell’uomo e del suo sistema di nutrizione, considerando che l’uomo è comparso sulla terra circa 2 milioni di anni fa, si calcola che per il 90% di questo periodo egli sia rimasto raccoglitore e poi cacciatore e solo negli ultimi 10.000 anni abbia cominciato ad addomesticare piante ed animali (periodo agricolo-pastorale).
E’ possibile che le ultime modificazioni della dieta introdotte dall’agricoltura e dall’allevamento degli animali, dalla cottura dei cibi e dal loro trattamento, dall’aggiunta del sale e da molte altre variazioni degli ultimi secoli abbiano indotto alterazioni del metabolismo non ancora assimilate dal codice genetico e pertanto possibile fonte di malattie metaboliche (diabete, obesità), degenerative (aterosclerosi) e proliferative (tumori).
Queste considerazioni possono sembrare al lettore frutto di fantasia.
Per trovare una conferma scientifica alcuni ricercatori canadesi della nutrizione (Jenkins) hanno studiato nell’uomo gli effetti sui grassi del sangue e sul peso di 3 diete, quella del periodo Miocene (già descritta), quella del periodo Neolitico e infine di una dieta prescritta attualmente a scopo curativo a contenuto basso di grassi saturi e alto di vegetali.
Dopo due settimane il Colesterolo LDL (cattivo) era diminuito del 33% con la prima dieta, del 23% con la seconda e del 7% con la terza, con una proporzionale aumento del colesterolo buono. In altre parole, la dieta Miocene ha raggiunto un risultato sui grassi del sangue pari ad una attuale terapia a base di statine, oltre ad una riduzione del peso per la facile sazietà provocata dalla grande quantità di cibo ingerito (più di 5 kg.).
E’ presumibile, in base ai dati epidemiologici, che risultati simili si ottengano anche per la mortalità e morbilità cardiovascolare e forse tumorale.
Linee guida dell'obesità
L'obesità può essere considerata una delle più importanti malattie del nostro paese e dei paesi occidentali.
Il costo socio economico dell'obesità incide in maniera cospicua sulla spesa sanitaria: tra costi diretti ed indiretti è stato stimato che il peso economico si aggira tra il 2% ed l'8%, valori confrontabili con i costi di gestione per le malattie neoplastiche.
Il riconoscimento dell' obesità come una delle più importanti patologie ha portato il National Institute of Healt (NIH), nel giugno 1998 ad elaborare linee guida per la diagnosi e la cura dell'obesità “NIH Clinical Guidelines on the Identification, Evaluation and Treatment of Overweight and Obesity in Adults”. Queste linee guida sono state formulate sulla base di una revisione critica della letteratura scientifica apparsa dal 1980 al 1997 secondo i criteri della “Evidence Based Medicine”cioè sui dati di studi randomizzati e controllati
Quali sono i soggetti a rischio ?
Tutti gli adulti di età maggiore di 18 anni di peso oltre la norma con Indice di Massa Corporeo o Body Mass Index (BMI = peso in kg/ altezza in m2) >= 25 sono considerati a rischio. I soggetti con BMI da 25 a 29,9 sono considerati sovrappeso, mentre gli individui con BMI >= 30 sono considerati obesi. Il trattamento del sovrappeso è raccomandato solo nei pazienti con due o più fattori di rischio o elevati valori di circonferenza addominale (tab.1 e 2). In tal caso, il trattamento dovrebbe essere focalizzato sulla correzione degli errori dietetici e sull'impostazione di una attività fisica regolare al fine di prevenire l'obesità e di promuovere una moderata perdita di peso. Il trattamento dell'obesità, invece, deve promuovere una perdita di peso che dovrebbe essere poi mantenuta nel tempo. Inoltre la presenza di altre patologie nei pazienti sovrappeso ed obesi dovrebbe essere tenuta in considerazione.
Perchè trattare il sovrappeso e l'obesità ?
L'obesità è chiaramente associata ad aumentata morbidità e mortalità. Vi sono chiare evidenze che la perdita di peso, negli individui sovrappeso ed obesi, riduce i fattori di rischio per il diabete e le malattie cardiovascolari (CVD); riduce i valori di pressione arteriosa, i livelli di trigliceridi, aumenta quelli del colesterolo HDL ed una lieve riduzione del colesterolo totale e del colesterolo LDL. Inoltre, la perdita di peso riduce i livelli glicemici e di HbA1c nei pazienti con diabete tipo 2.
Quali trattamenti sono attualmente effettivi ?
Teoricamente esiste una varietà di opzioni per il management dei pazienti obesi e sovrappeso: la terapia dietetica basata su diete a basso contenuto di calorie o le diete a basso tenore di lipidi, l'aumento dell'attività fisica, le tecniche di terapia comportamentale, la farmacoterapia, la chirurgia e la combinazione di queste tecniche. In realtà il trattamento dell'obesità si caratterizza spesso per i risultati insoddisfacenti. La capacità di individuare obiettivi realistici e la definizione di successo terapeutico sembrano le vie uniche ed obbligate per tracciare un percorso che porti a migliorare la qualità della vita del paziente. Pertanto in questo scenario è importante sottolineare i punti che attualmente sono di maggiore forza.
Attualmente, per il trattamento di una patologia così complessa e multifattoriale si ritiene necessario un lavoro di collaborazione un team composto dall' internista, lo psicologo – psichiatra, il dietista, il chirurgo, il chirurgo plastico ed altre competenze da valutare di volta in volta.
Valutazione dell'obesità e sovrappeso
Il trattamento del Sovrappeso e dell' Obesità si compone di due parti: la valutazione del paziente ed il programma terapeutico.
La valutazione include la determinazione del grado di sovrappeso, l'indice di rischio e la motivaziove da parte del paziente:
La determinazione del grado di sovrappeso ed obesità si ottiene con le seguenti misure:
Indice di massa corporea IMC o BMI - Body Mass Index
Il costo socio economico dell'obesità incide in maniera cospicua sulla spesa sanitaria: tra costi diretti ed indiretti è stato stimato che il peso economico si aggira tra il 2% ed l'8%, valori confrontabili con i costi di gestione per le malattie neoplastiche.
Il riconoscimento dell' obesità come una delle più importanti patologie ha portato il National Institute of Healt (NIH), nel giugno 1998 ad elaborare linee guida per la diagnosi e la cura dell'obesità “NIH Clinical Guidelines on the Identification, Evaluation and Treatment of Overweight and Obesity in Adults”. Queste linee guida sono state formulate sulla base di una revisione critica della letteratura scientifica apparsa dal 1980 al 1997 secondo i criteri della “Evidence Based Medicine”cioè sui dati di studi randomizzati e controllati
Quali sono i soggetti a rischio ?
Tutti gli adulti di età maggiore di 18 anni di peso oltre la norma con Indice di Massa Corporeo o Body Mass Index (BMI = peso in kg/ altezza in m2) >= 25 sono considerati a rischio. I soggetti con BMI da 25 a 29,9 sono considerati sovrappeso, mentre gli individui con BMI >= 30 sono considerati obesi. Il trattamento del sovrappeso è raccomandato solo nei pazienti con due o più fattori di rischio o elevati valori di circonferenza addominale (tab.1 e 2). In tal caso, il trattamento dovrebbe essere focalizzato sulla correzione degli errori dietetici e sull'impostazione di una attività fisica regolare al fine di prevenire l'obesità e di promuovere una moderata perdita di peso. Il trattamento dell'obesità, invece, deve promuovere una perdita di peso che dovrebbe essere poi mantenuta nel tempo. Inoltre la presenza di altre patologie nei pazienti sovrappeso ed obesi dovrebbe essere tenuta in considerazione.
Perchè trattare il sovrappeso e l'obesità ?
L'obesità è chiaramente associata ad aumentata morbidità e mortalità. Vi sono chiare evidenze che la perdita di peso, negli individui sovrappeso ed obesi, riduce i fattori di rischio per il diabete e le malattie cardiovascolari (CVD); riduce i valori di pressione arteriosa, i livelli di trigliceridi, aumenta quelli del colesterolo HDL ed una lieve riduzione del colesterolo totale e del colesterolo LDL. Inoltre, la perdita di peso riduce i livelli glicemici e di HbA1c nei pazienti con diabete tipo 2.
Quali trattamenti sono attualmente effettivi ?
Teoricamente esiste una varietà di opzioni per il management dei pazienti obesi e sovrappeso: la terapia dietetica basata su diete a basso contenuto di calorie o le diete a basso tenore di lipidi, l'aumento dell'attività fisica, le tecniche di terapia comportamentale, la farmacoterapia, la chirurgia e la combinazione di queste tecniche. In realtà il trattamento dell'obesità si caratterizza spesso per i risultati insoddisfacenti. La capacità di individuare obiettivi realistici e la definizione di successo terapeutico sembrano le vie uniche ed obbligate per tracciare un percorso che porti a migliorare la qualità della vita del paziente. Pertanto in questo scenario è importante sottolineare i punti che attualmente sono di maggiore forza.
- L'attività fisica costituisce un elemento terapeutico importante, per le positive ricadute fisiche e psicologiche.
- La dieta “è stata demonizzata sino a farne il maggiore responsabile dell'insuccesso terapeutico: esiste un forte razionale in questo senso, ma la restrizione calorica rimane il cardine della terapia, perché solo in tal modo è possibile portare in negativo il bilancio energetico”*.
- Riguardo ai farmaci, attualmente l'offerta del mercato è piuttosto limitata. In attesa di una più ampia scelta terapeutica, e su questo la ricerca sta lavorando, è necessario utilizzare in maniera adeguata i prodotti oggi disponibili.
- La terapia cognitivo-comportamentale: si basa sull'abilità di utilizzare i principi cognitivi per la correzione degli errori comportamentali.
Attualmente, per il trattamento di una patologia così complessa e multifattoriale si ritiene necessario un lavoro di collaborazione un team composto dall' internista, lo psicologo – psichiatra, il dietista, il chirurgo, il chirurgo plastico ed altre competenze da valutare di volta in volta.
Valutazione dell'obesità e sovrappeso
Il trattamento del Sovrappeso e dell' Obesità si compone di due parti: la valutazione del paziente ed il programma terapeutico.
La valutazione include la determinazione del grado di sovrappeso, l'indice di rischio e la motivaziove da parte del paziente:
La determinazione del grado di sovrappeso ed obesità si ottiene con le seguenti misure:
Indice di massa corporea IMC o BMI - Body Mass Index
Tab. 1 e 2
Valutazione dei fattori di rischio
Le seguenti condizioni denotano la presenza di rischio di mortalità molto alto e richiedono un intervento approfondito sul profilo del rischio, nonché la gestione della malattia. Pazienti con queste condizioni sono classificati come ad alto rischio per complicanze e mortalità e devono essere trattati anche solo in presenza di sovrappeso.
Malattia Coronarica Storia di infarto miocardico
Storia di procedure chirurgiche sulle coronarie
Presenza di complicanze
aterosclerotiche Arteriopatia periferica
Aneurisma dell'aorta addominale
Malattia sintomatica nel distretto carotideo
Diabete mellito tipo 2
Sindrome della apnea notturna
Identificazione di altre patologie legate/associate all'obesità
Alterazioni ginecologiche
Osteoartrite
Litiasi biliare
Stress
Identificazione di fattori di rischio cardio-vascolare che determinano un elevato rischio assoluto
I soggetti possono essere definiti ad elevato rischio assoluto per i disordini correlati all'obesità se presentano almeno 3 dei fattori di rischio sotto elencati:
Altri fattori di rischio
Motivazioni da parte del paziente
Valutare la motivazione di un soggetto a intraprendere un trattamento per perdere peso richiede l'esame dei seguenti fattori: ragioni e motivazioni per una perdita di peso, storia precedente di successi ed insuccessi nel tentativo di perdere peso; supporto da parte della famiglia, amici ed ambiente; la sottostima da parte del paziente dei rischi associati alla obesità; attitudine verso l'attività fisica, tempo disponibile; disponibilità economica.
Obesità e Diabete Mellito
Il Diabete Mellito di tipo 2 (non insulino dipendente) è fortemente associato all'obesità. Il rischio di sviluppare la malattia aumenta progressivamente quando aumentano l'indice di massa ed il contenuto corporeo di grassi. I soggetti con BMI> 35 Kg/m2 possono avere un rischio 40 volte più alto di quelli con un BMI< 23 Kg m2. Una disposizione centrale (al tronco) del tessuto adiposo aumenta il rischio di Diabete Mellito tipo 2.
L'obesità è caratterizzata da insulino-resistenza che spesso precede lo sviluppo del diabete tipo 2. L'insulino resistenza si associa a iperinsulinemia compensatoria per essere in grado di mantenere l'euglicemia, ma negli individui che hanno una funzionalità delle beta cellule deficitaria (quindi una predisposizione genetica al diabete) col tempo si sviluppera iperglicemia, ridotta tolleranza al glucosio ed infine Diabete tipo 2.
Il fattore dietetico che predispone all'obesità e più favorisce lo sviluppo di diabete è un eccessivo introito calorico specialmente se associato a livelli inadeguati di attività fisica.
L'attività fisica regolare e l'allenamento possono proteggere dallo sviluppo del Diabete, specialmente se praticati regolarmente sin dall'età giovanile. L'effetto protettivo dell'esercizio fisico sarebbe legato ad un'aumentata insulino-sensibilità.
L'insulino-resistenza cioé l'incapacità dell'insulina a produrre i suoi effetti biologici a concentrazioni che sono efficaci nei soggetti normali, è spesso associata oltre che all'obesità e alla ridotta tolleranza al glucosio (compreso il diabete non insulino dipente), all'ipertensione, alle dislipidemie, ai disordini della coagulazione ematica ed all'accelerata aterorogenesi. L'associazione di tali condizioni è nota come sindrome plurimetabolica.
Le seguenti condizioni denotano la presenza di rischio di mortalità molto alto e richiedono un intervento approfondito sul profilo del rischio, nonché la gestione della malattia. Pazienti con queste condizioni sono classificati come ad alto rischio per complicanze e mortalità e devono essere trattati anche solo in presenza di sovrappeso.
Malattia Coronarica Storia di infarto miocardico
Storia di procedure chirurgiche sulle coronarie
Presenza di complicanze
aterosclerotiche Arteriopatia periferica
Aneurisma dell'aorta addominale
Malattia sintomatica nel distretto carotideo
Diabete mellito tipo 2
Sindrome della apnea notturna
Identificazione di altre patologie legate/associate all'obesità
Alterazioni ginecologiche
Osteoartrite
Litiasi biliare
Stress
Identificazione di fattori di rischio cardio-vascolare che determinano un elevato rischio assoluto
I soggetti possono essere definiti ad elevato rischio assoluto per i disordini correlati all'obesità se presentano almeno 3 dei fattori di rischio sotto elencati:
- Fumo di sigaretta
- Ipertensione arteriosa ( >= 140 mmHg la sistolica o >= 90 mmHg la diastolica o assunzione di farmaci antipertensivi)
- Elevati livelli di colesterolo LDL ( >= 160 mg/dl)
- Bassi livelli di colesterolo HDL (<=35 mg/dl)
- Elevata glicemia a digiuno ( tra 110 e 125 mg/dl)
- Storia familiare di morte prematura per cardiopatia ischemica (infarto miocardico o morte improvvisa prima dei 55 nel padre o altri parenti di sesso maschile di primo grado, o prima dei 65 anni nella madre o altri parenti di sesso femminile di primo grado)
- Età: maschi >= 45 anni; femmine >= 55 anni o in post menopausa
Altri fattori di rischio
- Sedentarietà
- Elevati livelli di trigliceridi (>200mg/dl)
Motivazioni da parte del paziente
Valutare la motivazione di un soggetto a intraprendere un trattamento per perdere peso richiede l'esame dei seguenti fattori: ragioni e motivazioni per una perdita di peso, storia precedente di successi ed insuccessi nel tentativo di perdere peso; supporto da parte della famiglia, amici ed ambiente; la sottostima da parte del paziente dei rischi associati alla obesità; attitudine verso l'attività fisica, tempo disponibile; disponibilità economica.
Obesità e Diabete Mellito
Il Diabete Mellito di tipo 2 (non insulino dipendente) è fortemente associato all'obesità. Il rischio di sviluppare la malattia aumenta progressivamente quando aumentano l'indice di massa ed il contenuto corporeo di grassi. I soggetti con BMI> 35 Kg/m2 possono avere un rischio 40 volte più alto di quelli con un BMI< 23 Kg m2. Una disposizione centrale (al tronco) del tessuto adiposo aumenta il rischio di Diabete Mellito tipo 2.
L'obesità è caratterizzata da insulino-resistenza che spesso precede lo sviluppo del diabete tipo 2. L'insulino resistenza si associa a iperinsulinemia compensatoria per essere in grado di mantenere l'euglicemia, ma negli individui che hanno una funzionalità delle beta cellule deficitaria (quindi una predisposizione genetica al diabete) col tempo si sviluppera iperglicemia, ridotta tolleranza al glucosio ed infine Diabete tipo 2.
Il fattore dietetico che predispone all'obesità e più favorisce lo sviluppo di diabete è un eccessivo introito calorico specialmente se associato a livelli inadeguati di attività fisica.
L'attività fisica regolare e l'allenamento possono proteggere dallo sviluppo del Diabete, specialmente se praticati regolarmente sin dall'età giovanile. L'effetto protettivo dell'esercizio fisico sarebbe legato ad un'aumentata insulino-sensibilità.
L'insulino-resistenza cioé l'incapacità dell'insulina a produrre i suoi effetti biologici a concentrazioni che sono efficaci nei soggetti normali, è spesso associata oltre che all'obesità e alla ridotta tolleranza al glucosio (compreso il diabete non insulino dipente), all'ipertensione, alle dislipidemie, ai disordini della coagulazione ematica ed all'accelerata aterorogenesi. L'associazione di tali condizioni è nota come sindrome plurimetabolica.
Chirurgia dell'obesità
Indicazioni alla chirurgia e studio pre e post-operatorio
Le linee guida consigliate e adottate dalla S.I.C.O.B. sono sovrapponibili a quelle internazionalmente codificate ed accettate. Per i pazienti di età compresa tra i 18 e i 60 anni (il 97,5% dei pazienti del Registro SICOB) le indicazioni, sono, quindi, le seguenti:
1. BMI ≥ 40 Kg/m2
2. BMI tra 35 e 40 Kg/m2 in presenza di comorbilità che, presumibilmente, possono migliorare o guarire a seguito della notevole e persistente perdite di peso ottenuta con l’intervento (malattie del metabolismo, patologie cardiorespiratorie, gravi malattie articolari, gravi problemi patologici, ecc.).
per essere candidati all’intervento i pazienti devono avere nella loro storia clinica un fallimento di un corretto trattamento medico (mancato o insufficiente calo ponderale; scarso o mancato mantenimento a lungo termine del calo di peso).
Il merito sostanziale ed incontrovertibile delle linee guida è stato ed è l’introduzione di un criterio di BMI minimo (superiore a 40 Kg/m2 o tra 35 e 40 Kg/m2 in presenza di almeno una comorbilità), al di sotto del quale la terapia chirurgica non dovrebbe, in linea di massima e salvo casi eccezionali, essere presa in considerazione.
La S.I.C.O.B. ha accettato, però, il concetto avanzato dalla Commissione congiunta I.F.S.O.-E.A.S.O. in base al quale il BMI di riferimento è quello iniziale, nel senso che un calo ponderale ottenuto con un trattamento preoperatorio non rappresenta una controindicazione alla chirurgia bariatrica prevista, anche se il BMI raggiunto è inferiore a quelli canonici, e che la chirurgia bariatrica è altrettanto indicata nei pazienti che hanno avuto un sostanziale calo ponderale in seguito al trattamento conservativo ma che abbiano iniziato a riprendere peso. In buona sostanza, il BMI minimo per essere candidabile alla chirurgia bariatrica non è tanto quello riferito all’atto dell’intervento quanto il massimo raggiunto dal paziente nella sua storia clinica.
In sintonia con quanto già proposto dall'A.S.B.S., nel 2004, e dall’E.A.E.S., nel 2005, anche in Italia si va facendo strada la possibilità, solo, però, per i casi selezionati e solo nell’ambito di trial controllati randomizzati, di prendere in considerazione la terapia chirurgica in pazienti con un BMI compreso tra 30 e 35 Kg/m2 ma che abbiano comorbilità o alterate condizioni psico-fisiche che possano migliorare o guarire in virtù del calo ponderale indotto dalla terapia chirurgica.
La S.I.C.O.B. è, infine, particolarmente attenta alla necessità che il paziente sia ben informato e motivato non solo sull’intervento ma anche sulla necessità di doversi sottoporre a periodici follow-up e di dover seguire scrupolosamente eventuali prescrizioni mediche, integrative o sostitutive, e dietetiche (a seconda dell’intervento effettuato).
La valutazione preoperatoria dovrebbe essere affidata ad un team interdisciplinare composto da esperti dedicati (chirurgo bariatrico, medico internista, anestetista, psicologo o psichiatra, nutrizionista e/o dietista). Tale valutazione, ovviamente, non deve essere necessariamente collegiale nel senso contestuale del termine, purchè, però, siano tenuti presenti tutti i pareri espressi dai vari componenti il team interdisciplinare.
I pazienti candidati alla chirurgia bariatrica dovrebbero essere sottoposti ad uno studio preoperatorio di routine come per ogni altro intervento di chirurgia addominale maggiore e ad una serie di eventuali altre specifiche valutazioni (cardiologia, pneumologica, nutrizionale e chirurgica) per la valutazione dello stato di salute generale e nutrizionale nonché delle comorbilità, al fine di ridurre al minimo i rischi correlati all’intervento e di evidenziare eventuali controindicazioni generali alla chirurgia o specificare per un determinato tipo di intervento.
Sono, infine, necessari dei colloqui tesi a spiegare i cambiamenti delle abitudini alimentari che saranno indispensabili dopo l’intervento, a valutare le motivazioni del paziente e la sua disponibilità ad aderire al programma di follow-up, a garantirsi che il paziente sia stato informati correttamente sui benefici, le conseguenze ed i rischi della scelta chirurgica e della necessità di un follow-up a lungo termine, che sia al corrente dei risultati potenziali della chirurgia e che possa, quindi, fornire un consenso realmente consapevole ed informato.
Le linee guida consigliate e adottate dalla S.I.C.O.B. sono sovrapponibili a quelle internazionalmente codificate ed accettate. Per i pazienti di età compresa tra i 18 e i 60 anni (il 97,5% dei pazienti del Registro SICOB) le indicazioni, sono, quindi, le seguenti:
1. BMI ≥ 40 Kg/m2
2. BMI tra 35 e 40 Kg/m2 in presenza di comorbilità che, presumibilmente, possono migliorare o guarire a seguito della notevole e persistente perdite di peso ottenuta con l’intervento (malattie del metabolismo, patologie cardiorespiratorie, gravi malattie articolari, gravi problemi patologici, ecc.).
per essere candidati all’intervento i pazienti devono avere nella loro storia clinica un fallimento di un corretto trattamento medico (mancato o insufficiente calo ponderale; scarso o mancato mantenimento a lungo termine del calo di peso).
Il merito sostanziale ed incontrovertibile delle linee guida è stato ed è l’introduzione di un criterio di BMI minimo (superiore a 40 Kg/m2 o tra 35 e 40 Kg/m2 in presenza di almeno una comorbilità), al di sotto del quale la terapia chirurgica non dovrebbe, in linea di massima e salvo casi eccezionali, essere presa in considerazione.
La S.I.C.O.B. ha accettato, però, il concetto avanzato dalla Commissione congiunta I.F.S.O.-E.A.S.O. in base al quale il BMI di riferimento è quello iniziale, nel senso che un calo ponderale ottenuto con un trattamento preoperatorio non rappresenta una controindicazione alla chirurgia bariatrica prevista, anche se il BMI raggiunto è inferiore a quelli canonici, e che la chirurgia bariatrica è altrettanto indicata nei pazienti che hanno avuto un sostanziale calo ponderale in seguito al trattamento conservativo ma che abbiano iniziato a riprendere peso. In buona sostanza, il BMI minimo per essere candidabile alla chirurgia bariatrica non è tanto quello riferito all’atto dell’intervento quanto il massimo raggiunto dal paziente nella sua storia clinica.
In sintonia con quanto già proposto dall'A.S.B.S., nel 2004, e dall’E.A.E.S., nel 2005, anche in Italia si va facendo strada la possibilità, solo, però, per i casi selezionati e solo nell’ambito di trial controllati randomizzati, di prendere in considerazione la terapia chirurgica in pazienti con un BMI compreso tra 30 e 35 Kg/m2 ma che abbiano comorbilità o alterate condizioni psico-fisiche che possano migliorare o guarire in virtù del calo ponderale indotto dalla terapia chirurgica.
La S.I.C.O.B. è, infine, particolarmente attenta alla necessità che il paziente sia ben informato e motivato non solo sull’intervento ma anche sulla necessità di doversi sottoporre a periodici follow-up e di dover seguire scrupolosamente eventuali prescrizioni mediche, integrative o sostitutive, e dietetiche (a seconda dell’intervento effettuato).
La valutazione preoperatoria dovrebbe essere affidata ad un team interdisciplinare composto da esperti dedicati (chirurgo bariatrico, medico internista, anestetista, psicologo o psichiatra, nutrizionista e/o dietista). Tale valutazione, ovviamente, non deve essere necessariamente collegiale nel senso contestuale del termine, purchè, però, siano tenuti presenti tutti i pareri espressi dai vari componenti il team interdisciplinare.
I pazienti candidati alla chirurgia bariatrica dovrebbero essere sottoposti ad uno studio preoperatorio di routine come per ogni altro intervento di chirurgia addominale maggiore e ad una serie di eventuali altre specifiche valutazioni (cardiologia, pneumologica, nutrizionale e chirurgica) per la valutazione dello stato di salute generale e nutrizionale nonché delle comorbilità, al fine di ridurre al minimo i rischi correlati all’intervento e di evidenziare eventuali controindicazioni generali alla chirurgia o specificare per un determinato tipo di intervento.
Sono, infine, necessari dei colloqui tesi a spiegare i cambiamenti delle abitudini alimentari che saranno indispensabili dopo l’intervento, a valutare le motivazioni del paziente e la sua disponibilità ad aderire al programma di follow-up, a garantirsi che il paziente sia stato informati correttamente sui benefici, le conseguenze ed i rischi della scelta chirurgica e della necessità di un follow-up a lungo termine, che sia al corrente dei risultati potenziali della chirurgia e che possa, quindi, fornire un consenso realmente consapevole ed informato.
Palloncino intragastrico
Il palloncino intragastrico ha specifici meccanismi di azione nell'indurre il dimagrimento
I meccanismi principali e provati sono un significativo rallentamento dello svuotamento gastrico ed una stimolazione dei barocettori localizzati a livello delle pareti gastriche che agiscono, per via riflessa, sul centro della sazietà.
I risultati registrati dimostrano che si tratta di una procedura molto sicura con notevoli potenziali vantaggi: scomparsa o miglioramento delle comorbilità in oltre l'80% dei casi; sostituzione a sei mesi superiore, in media, al 20%; buon decremento percentuale del BMI medio.
Il pallone intragastrico è una procedura che ha risultati temporanei ed in questa ottica le indicazioni al suo impiego devono ritenersi ben codificate.
L'indicazione principale può consistere, ove ve ne sia la necessità, nel ridurre il rischio operatorio in pazienti candidati ad un intervento bariatrico.
Le controindicazioni al posizionamento del pallone intragastrico sono costituite da: pregressa chirurgia addominale, soprattutto gastrica; patologia peptica in atto; instabilità psicologica e tossicodipendenza; ernie jatali > 4-5 cm; malattia da reflusso gastro-esofageo; epatopatie gravi; cardiopatie e pneumopatie non adeguatamente compensate; malattie infiammatorie intestinali croniche.
Dopo il posizionamento, è consigliabile che il paziente sia ricoverato e sottoposta ad idratazione parenterale standard (2500 ml) ed ai trattamenti terapeutici di base ed al bisogno.
In genere, il secondo giorno viene ridotto il trattamento parenterale si inizia una dieta idrica; il terzo giorno viene sospesa l'idratazione parenterale, la terapia è prescritta per os, gli antiemetici e gli antispastici vengono somministrati solo al bisogno ed il paziente inizia una dieta leggera.
Il paziente viene, quindi, dimesso con le opportune prescrizioni farmacologiche e dietetico-comportamentali appena l'alimentazione viene bel tollerata e gli episodi emetici sono contenuti o scomparsi.
I meccanismi principali e provati sono un significativo rallentamento dello svuotamento gastrico ed una stimolazione dei barocettori localizzati a livello delle pareti gastriche che agiscono, per via riflessa, sul centro della sazietà.
I risultati registrati dimostrano che si tratta di una procedura molto sicura con notevoli potenziali vantaggi: scomparsa o miglioramento delle comorbilità in oltre l'80% dei casi; sostituzione a sei mesi superiore, in media, al 20%; buon decremento percentuale del BMI medio.
Il pallone intragastrico è una procedura che ha risultati temporanei ed in questa ottica le indicazioni al suo impiego devono ritenersi ben codificate.
L'indicazione principale può consistere, ove ve ne sia la necessità, nel ridurre il rischio operatorio in pazienti candidati ad un intervento bariatrico.
Le controindicazioni al posizionamento del pallone intragastrico sono costituite da: pregressa chirurgia addominale, soprattutto gastrica; patologia peptica in atto; instabilità psicologica e tossicodipendenza; ernie jatali > 4-5 cm; malattia da reflusso gastro-esofageo; epatopatie gravi; cardiopatie e pneumopatie non adeguatamente compensate; malattie infiammatorie intestinali croniche.
Dopo il posizionamento, è consigliabile che il paziente sia ricoverato e sottoposta ad idratazione parenterale standard (2500 ml) ed ai trattamenti terapeutici di base ed al bisogno.
In genere, il secondo giorno viene ridotto il trattamento parenterale si inizia una dieta idrica; il terzo giorno viene sospesa l'idratazione parenterale, la terapia è prescritta per os, gli antiemetici e gli antispastici vengono somministrati solo al bisogno ed il paziente inizia una dieta leggera.
Il paziente viene, quindi, dimesso con le opportune prescrizioni farmacologiche e dietetico-comportamentali appena l'alimentazione viene bel tollerata e gli episodi emetici sono contenuti o scomparsi.
Bendaggio gastrico
Il bendaggio gastrico è una delle tecniche più eseguite per la cura dell'obesità patologica.
L'intervento consiste nel posizionare intorno allo stomaco, al disotto del cardias, un anello regolabile in grado di creare una tasca gastrica che contiene circa 30 ml.
Il bendaggio è collegato mediante un tubicino di silicone ad un piccolo serbatoio posto sotto cute e fissato alla fascia muscolare nel fianco sinistro del Paziente.
Con l'introduzione in esso di soluzione fisiologica si può variare il calibro del bendaggio.
La tasca neoformata comunica pertanto con lo stomaco attraverso un orifizio che può variare da pochi mm a 1,2 cm. Il cibo ingerito si ferma al di sopra dell'anello e vi rimane finché non viene digerito. La persona in questo modo si sente “piena” con pochissimo cibo.
L'intervento viene eseguito in anestesia generale con tecnica laparoscopica e richiede all'incirca 1 ora.
Con questo intervento si ottiene di solito una riduzione dell'eccesso di peso del 40-60% con un mantenimento stabile a lungo termine in Pazienti che si sottopongono a costante follow-up.
L'intervento consiste nel posizionare intorno allo stomaco, al disotto del cardias, un anello regolabile in grado di creare una tasca gastrica che contiene circa 30 ml.
Il bendaggio è collegato mediante un tubicino di silicone ad un piccolo serbatoio posto sotto cute e fissato alla fascia muscolare nel fianco sinistro del Paziente.
Con l'introduzione in esso di soluzione fisiologica si può variare il calibro del bendaggio.
La tasca neoformata comunica pertanto con lo stomaco attraverso un orifizio che può variare da pochi mm a 1,2 cm. Il cibo ingerito si ferma al di sopra dell'anello e vi rimane finché non viene digerito. La persona in questo modo si sente “piena” con pochissimo cibo.
L'intervento viene eseguito in anestesia generale con tecnica laparoscopica e richiede all'incirca 1 ora.
Con questo intervento si ottiene di solito una riduzione dell'eccesso di peso del 40-60% con un mantenimento stabile a lungo termine in Pazienti che si sottopongono a costante follow-up.
By-pass gastrico
Il by-pass gastrico è stato realizzato per la prima volta da E. Mason nel 1966 ed ha subito negli anni delle modifiche di tecnica.
Attualmente l'intervento consiste nel creare una tasca gastrica verticale che contiene circa 30 ml anastomizzata (collegata direttamente) ad un'ansa intestinale (digiuno) attraverso una fessura che può variare da 2 a 4 cm.
I succhi digestivi prodotti dallo stomaco, dal pancreas e la bile raggiungono e si miscelano al cibo dopo 100-150 cm dalla piccola tasca gastrica.
Tale intervento prevede che il cibo non passi attraverso lo stomaco, il duodeno e 50 cm di digiuno; in questo caso però né lo stomaco, né il duodeno e neppure la via biliare sono più esplorabili attraverso endoscopia o esame radiografico con pasto baritato.
Queste considerazioni hanno suggerito la messa a punto di un intervento che mantenesse la stessa efficacia nel consentire il calo ponderale, ma permettesse anche l'espolarazione endoscopica dello stomaco, del duodeno e della via viliare.
Nel marzo del 2001 è stato eseguito il primo by-pass gastrico funzionale con fundectomia. Tale tecnica è stata presentata dal Prof. Lesti a San Paolo del Brasile al congresso della società internazionale di chirurgia dell'obesità (IFSO) nel 2002.
Nel 2008 al congresso IFSO di Capri sono stati presentati i risultati a 6 anni di oltre 100 casi.
La tecnica è stata ritenuta idonea ed inserita anche nel Registro Italiano della Società Italiana di chirurgia dell'obesità e delle malattie metaboliche (www.Sicob.org).
Attualmente l'intervento consiste nel creare una tasca gastrica verticale che contiene circa 30 ml anastomizzata (collegata direttamente) ad un'ansa intestinale (digiuno) attraverso una fessura che può variare da 2 a 4 cm.
I succhi digestivi prodotti dallo stomaco, dal pancreas e la bile raggiungono e si miscelano al cibo dopo 100-150 cm dalla piccola tasca gastrica.
Tale intervento prevede che il cibo non passi attraverso lo stomaco, il duodeno e 50 cm di digiuno; in questo caso però né lo stomaco, né il duodeno e neppure la via biliare sono più esplorabili attraverso endoscopia o esame radiografico con pasto baritato.
Queste considerazioni hanno suggerito la messa a punto di un intervento che mantenesse la stessa efficacia nel consentire il calo ponderale, ma permettesse anche l'espolarazione endoscopica dello stomaco, del duodeno e della via viliare.
Nel marzo del 2001 è stato eseguito il primo by-pass gastrico funzionale con fundectomia. Tale tecnica è stata presentata dal Prof. Lesti a San Paolo del Brasile al congresso della società internazionale di chirurgia dell'obesità (IFSO) nel 2002.
Nel 2008 al congresso IFSO di Capri sono stati presentati i risultati a 6 anni di oltre 100 casi.
La tecnica è stata ritenuta idonea ed inserita anche nel Registro Italiano della Società Italiana di chirurgia dell'obesità e delle malattie metaboliche (www.Sicob.org).
Gastrectomia verticale (sleeve gastrectomy)
Questa tecnica consiste nell'asportazione verticale di gran parte dello stomaco, ottenendo un tubulo gastrico simile ad una grossa banana.
Questo tubulo contiene circa 100-150 ml ed è in continuità fra l'esofago ed il duodeno.
Tale tecnica è nata negli USA come primo tempo di un intervento malassorbitivo che è il duodenal switch.
Tale accorgimento è stato ottenuto per ridurre i rischi in Pazienti super-obesi che possono giovarsi di un intervento relativamente semplice e rapido rispetto al duodenal switch.
In realtà, la sleeve gastrectomy ha dimostrato di poter raggiungere una rapida perdita di peso che spesso viene mantenuta ritenendo l'intervento risolutivo.
Questa evenienza si può spiegare sia con la diminuità capacità di riempimento dello stomaco sia con il calo di grelina che controlla il senso di fame.
Alla sleeve gastrectomy si ricorre tuttavia raramente in quanto si cerca di ridurre i rischi del super-obeso sottoponendolo al trattamento sequenziale: rieducazione alimentare-palloncino intragastrico-dieta ipocalorica-iperproteica (20 giorni)-intervento chirurgico definitivo.
Questo tubulo contiene circa 100-150 ml ed è in continuità fra l'esofago ed il duodeno.
Tale tecnica è nata negli USA come primo tempo di un intervento malassorbitivo che è il duodenal switch.
Tale accorgimento è stato ottenuto per ridurre i rischi in Pazienti super-obesi che possono giovarsi di un intervento relativamente semplice e rapido rispetto al duodenal switch.
In realtà, la sleeve gastrectomy ha dimostrato di poter raggiungere una rapida perdita di peso che spesso viene mantenuta ritenendo l'intervento risolutivo.
Questa evenienza si può spiegare sia con la diminuità capacità di riempimento dello stomaco sia con il calo di grelina che controlla il senso di fame.
Alla sleeve gastrectomy si ricorre tuttavia raramente in quanto si cerca di ridurre i rischi del super-obeso sottoponendolo al trattamento sequenziale: rieducazione alimentare-palloncino intragastrico-dieta ipocalorica-iperproteica (20 giorni)-intervento chirurgico definitivo.
Obesità infantile
Una buona dieta garantisce al giovane organismo dei bambini una crescita equilibrata ed in salute. Curare l’ alimentazione nell’ infanzia e nell’ adolescenza è fondamentale per evitare che il sovrappeso porti con sé problemi alla salute fisica e psicologica del bambino. Si stima infatti che circa il 40% dei bambini ed il 60% degli adolescenti obesi rimarranno tali anche in età adulta, con tutte le conseguenze negative del caso.
Secondo indagini epidemiologiche ufficiali in Italia i bambini obesi sono circa il 4% mentre il 20% è in sovrappeso. Tali percentuali aumentano anno dopo anno e dati più recenti indicano che il fenomeno obesità interessa oggi più del 15% dei bambini.
Per un bambino avere la madre o il padre obesi è un fattore di rischio importante che aumenta del 40% le probabilità che lui stesso diventi un adulto obeso. Se entrambi i genitori sono in evidente sovrappeso tale rischio aumenta sino all’80%. Senza dubbio all’ origine del fenomeno esiste una predisposizione genetica ma ancor più importante è l’ influenza delle cattive abitudini alimentari trasmesse dai genitori e dalla società.
Secondo indagini epidemiologiche ufficiali in Italia i bambini obesi sono circa il 4% mentre il 20% è in sovrappeso. Tali percentuali aumentano anno dopo anno e dati più recenti indicano che il fenomeno obesità interessa oggi più del 15% dei bambini.
Per un bambino avere la madre o il padre obesi è un fattore di rischio importante che aumenta del 40% le probabilità che lui stesso diventi un adulto obeso. Se entrambi i genitori sono in evidente sovrappeso tale rischio aumenta sino all’80%. Senza dubbio all’ origine del fenomeno esiste una predisposizione genetica ma ancor più importante è l’ influenza delle cattive abitudini alimentari trasmesse dai genitori e dalla società.
ERRORI NELL’ ALIMENTAZIONE E DIETA
La dieta gioca un ruolo importante nello sviluppo dell’ obesità: oggi più che mai molti bambini mangiano male, consumano troppi grassi e preferiscono cibi con elevata densità calorica.
Per i genitori diventa quindi estremamente importante monitorare, ed eventualmente correggere, le abitudini alimentari dei propri figli.
Il sovrappeso e l’obesità in età pediatrica sono correlati alla contemporanea presenza di due fattori: da un lato una dieta scorretta caratterizzata da un elevato consumo di cibi ipercalorici, ricchi di grassi e di zuccheri semplici, dall’ altro la sedentarietà e la riduzione del tempo dedicato all’ attività fisica. I primi provvedimenti da adottare saranno quindi rivolti alla riduzione dell’ eccesso ponderale, ponendo particolare attenzione al consumo di zuccheri (dolciumi, bibite e succhi di frutta) e incentivando la pratica di un regolare esercizio fisico.
Per i genitori diventa quindi estremamente importante monitorare, ed eventualmente correggere, le abitudini alimentari dei propri figli.
Il sovrappeso e l’obesità in età pediatrica sono correlati alla contemporanea presenza di due fattori: da un lato una dieta scorretta caratterizzata da un elevato consumo di cibi ipercalorici, ricchi di grassi e di zuccheri semplici, dall’ altro la sedentarietà e la riduzione del tempo dedicato all’ attività fisica. I primi provvedimenti da adottare saranno quindi rivolti alla riduzione dell’ eccesso ponderale, ponendo particolare attenzione al consumo di zuccheri (dolciumi, bibite e succhi di frutta) e incentivando la pratica di un regolare esercizio fisico.
LINEE GUIDA CONTRO L’ OBESITA’ INFANTILE
La dieta di molti bambini non è solo ricca di calorie ma anche sbilanciata e piena di alimenti scadenti che incidono pesantemente sulla qualità di vita e sulla morbilità futura.
La correzione di queste cattive abitudini alimentari è uno degli interventi migliori per diminuire la crescita dell’ obesità nei nostri bambini ed adolescenti. Quando ci rivolgiamo a loro dovremmo evitare il termine dieta che viene spesso intesa dal bambino come una specie di azione punitiva.
I consigli dietetici utili in età pediatrica riflettono grossomodo quelli proposti alla popolazione generale.
Se il bambino mangia molto ed è normopeso è importante non ostacolare
l’ assunzione di cibo, poiché un organismo in crescita ha effettivamente bisogno di elevate quantità di principi nutritivi.
In particolare:
- L’ aumentato fabbisogno di alcuni nutrienti (calcio, ferro, vitamina D e proteine) dev’ essere soddisfatto consumando un’ampia gamma di alimenti; nessuna integrazione è normalmente necessaria. Molti di questi nutrienti sono contenuti soprattutto negli alimenti di origine animale e privare il bambino di questi cibi (dieta vegana) significa creare un deficit nutrizionale che potrebbe interferire con il normale sviluppo. D’ altra parte, però, non occorre dimenticare i pregi di frutta e verdura, spesso consumata malvolentieri dal bambino. Per rendere più appetibili questi alimenti è possibile ricorrere a centrifugati e frullati preparati in casa (solo se i vegetali crudi o cotti vengono sistematicamente rifiutati). Si consiglia invece di limitare il consumo di spremute e succhi di frutta industriali in quanto troppo ricchi di zuccheri e spesso poveri di vitamine, fibre e sali minerali.
- Se il bambino si dimostra intollerante a latte e latticini è importante assicurare un adeguato apporto di calcio attraverso il consumo di acqua ricca di questo minerale e di alimenti che lo contengono in buone quantità, come per esempio verdure verdi (broccoli, cavolo), legumi (soia, ceci, fagioli rossi), noci e semi (semi di sesamo, semi di lino). Le bibite a base di cola possono influenzare negativamente il bilancio del calcio.
- Se il bambino manifesta scarso appetito, una volta escluse cause patologiche, si consiglia di non obbligarlo a mangiare più del dovuto. In questo modo si andrebbe infatti ad alterare il senso di sazietà del bambino che una volta cresciuto potrebbe mantenere l’ attitudine a mangiare più del necessario.
CONSIGLI UTILI CONTRO L’ OBESITA’ INFANTILE
- Bonificare la casa da cibi “spazzatura” (soprattutto merendine, bibite zuccherate e dolci).
- Educare il bambino a mangiare lentamente, poiché la prima digestione avviene in bocca.
- Imporre al bambino il consumo di un’ abbondante colazione secondo le regole della dieta mediterranea (cereali, latte o yogurt, frutta), ne gioverà la sua salute, il suo umore ed il suo profitto scolastico.
- Quando si prepara lo zainetto inserire anche una bottiglietta d’ acqua, sia per abituare il bambino a bere frequentemente, sia per evitare il rischio disidratazione che nei bambini è superiore rispetto agli adulti.
- Non utilizzare il cibo come mezzo di pressione (mangiare tutto ciò che c’è nel piatto), di ricompensa o consolazione (se fai il bravo ti compro il gelato) o di trasformarlo in castigo o minaccia (andare a letto senza cena).
- Spegnere la tv durante i pasti e consumarli ad orari e luoghi prestabiliti (non dove e quando capita).
- Dedicare maggior tempo alla preparazione dei pasti e degli spuntini del proprio figlio utilizzando prodotti il più possibile naturali, non confezionati; presentare i cibi con fantasia per soddisfare tutti i sensi del bambino.
- Incoraggiare il bambino ad apprezzare i pasti forniti dalla mensa scolastica; se il proprio figlio non accetta il piatto che gli viene fornito, al termine del pasto avrà ancora fame e si sazierà con snack, brioches e merendine varie.
LA DIETA EQUILIBRATA
Carne
Preferibilmente 3 volte alla settimana, di cui 2 volte bianca (es. coniglio, pollo, tacchino) ed 1 volta rossa (es. manzo, cavallo, vitello)
Pesce
2 – 3 volte alla settimana, fresco o surgelato
Uova
Non più di 3-4 volte alla settimana, di gallina – qualità A extra
Legumi
Almeno 3 volte alla settimana secchi o surgelati: fave, ceci, lenticchie, piselli, fagioli, soia
Cereali
Pasta, polenta, riso, farro, orzo, fiocchi d’avena ecc., raffinati o integrali
Verdura
Non meno di 14 volte alla settimana (tutti i giorni) fresca di stagione o surgelata, da utilizzarsi cruda o cotta, scegliendo colori sempre diversi
Frutta
Preferibilmente 14 volte alla settimana (tutti i giorni) di stagione, variando nella scelta qualità e colori
Formaggi
Non più di 2 volte alla settimana, come secondo piatto
Salumi
Non più di 1 volta alla settimana preferire prosciutto crudo magro, bresaola, prosciutto cotto senza polifosfati
AVVERTENZA: Questo sito ha carattere di divulgazione culturale e informativa, necessariamente generale. Le informazioni contenute, pur basate sugli studi scientifici citati, non sostituiscono il consulto personalizzato del professionista pratico, dietologo o medico. Il lettore non è autorizzato a considerare gli articoli qui contenuti come consulti medici, né a prenderli a pretesto per curarsi da sé.
La correzione di queste cattive abitudini alimentari è uno degli interventi migliori per diminuire la crescita dell’ obesità nei nostri bambini ed adolescenti. Quando ci rivolgiamo a loro dovremmo evitare il termine dieta che viene spesso intesa dal bambino come una specie di azione punitiva.
I consigli dietetici utili in età pediatrica riflettono grossomodo quelli proposti alla popolazione generale.
Se il bambino mangia molto ed è normopeso è importante non ostacolare
l’ assunzione di cibo, poiché un organismo in crescita ha effettivamente bisogno di elevate quantità di principi nutritivi.
In particolare:
- L’ aumentato fabbisogno di alcuni nutrienti (calcio, ferro, vitamina D e proteine) dev’ essere soddisfatto consumando un’ampia gamma di alimenti; nessuna integrazione è normalmente necessaria. Molti di questi nutrienti sono contenuti soprattutto negli alimenti di origine animale e privare il bambino di questi cibi (dieta vegana) significa creare un deficit nutrizionale che potrebbe interferire con il normale sviluppo. D’ altra parte, però, non occorre dimenticare i pregi di frutta e verdura, spesso consumata malvolentieri dal bambino. Per rendere più appetibili questi alimenti è possibile ricorrere a centrifugati e frullati preparati in casa (solo se i vegetali crudi o cotti vengono sistematicamente rifiutati). Si consiglia invece di limitare il consumo di spremute e succhi di frutta industriali in quanto troppo ricchi di zuccheri e spesso poveri di vitamine, fibre e sali minerali.
- Se il bambino si dimostra intollerante a latte e latticini è importante assicurare un adeguato apporto di calcio attraverso il consumo di acqua ricca di questo minerale e di alimenti che lo contengono in buone quantità, come per esempio verdure verdi (broccoli, cavolo), legumi (soia, ceci, fagioli rossi), noci e semi (semi di sesamo, semi di lino). Le bibite a base di cola possono influenzare negativamente il bilancio del calcio.
- Se il bambino manifesta scarso appetito, una volta escluse cause patologiche, si consiglia di non obbligarlo a mangiare più del dovuto. In questo modo si andrebbe infatti ad alterare il senso di sazietà del bambino che una volta cresciuto potrebbe mantenere l’ attitudine a mangiare più del necessario.
CONSIGLI UTILI CONTRO L’ OBESITA’ INFANTILE
- Bonificare la casa da cibi “spazzatura” (soprattutto merendine, bibite zuccherate e dolci).
- Educare il bambino a mangiare lentamente, poiché la prima digestione avviene in bocca.
- Imporre al bambino il consumo di un’ abbondante colazione secondo le regole della dieta mediterranea (cereali, latte o yogurt, frutta), ne gioverà la sua salute, il suo umore ed il suo profitto scolastico.
- Quando si prepara lo zainetto inserire anche una bottiglietta d’ acqua, sia per abituare il bambino a bere frequentemente, sia per evitare il rischio disidratazione che nei bambini è superiore rispetto agli adulti.
- Non utilizzare il cibo come mezzo di pressione (mangiare tutto ciò che c’è nel piatto), di ricompensa o consolazione (se fai il bravo ti compro il gelato) o di trasformarlo in castigo o minaccia (andare a letto senza cena).
- Spegnere la tv durante i pasti e consumarli ad orari e luoghi prestabiliti (non dove e quando capita).
- Dedicare maggior tempo alla preparazione dei pasti e degli spuntini del proprio figlio utilizzando prodotti il più possibile naturali, non confezionati; presentare i cibi con fantasia per soddisfare tutti i sensi del bambino.
- Incoraggiare il bambino ad apprezzare i pasti forniti dalla mensa scolastica; se il proprio figlio non accetta il piatto che gli viene fornito, al termine del pasto avrà ancora fame e si sazierà con snack, brioches e merendine varie.
LA DIETA EQUILIBRATA
Carne
Preferibilmente 3 volte alla settimana, di cui 2 volte bianca (es. coniglio, pollo, tacchino) ed 1 volta rossa (es. manzo, cavallo, vitello)
Pesce
2 – 3 volte alla settimana, fresco o surgelato
Uova
Non più di 3-4 volte alla settimana, di gallina – qualità A extra
Legumi
Almeno 3 volte alla settimana secchi o surgelati: fave, ceci, lenticchie, piselli, fagioli, soia
Cereali
Pasta, polenta, riso, farro, orzo, fiocchi d’avena ecc., raffinati o integrali
Verdura
Non meno di 14 volte alla settimana (tutti i giorni) fresca di stagione o surgelata, da utilizzarsi cruda o cotta, scegliendo colori sempre diversi
Frutta
Preferibilmente 14 volte alla settimana (tutti i giorni) di stagione, variando nella scelta qualità e colori
Formaggi
Non più di 2 volte alla settimana, come secondo piatto
Salumi
Non più di 1 volta alla settimana preferire prosciutto crudo magro, bresaola, prosciutto cotto senza polifosfati
AVVERTENZA: Questo sito ha carattere di divulgazione culturale e informativa, necessariamente generale. Le informazioni contenute, pur basate sugli studi scientifici citati, non sostituiscono il consulto personalizzato del professionista pratico, dietologo o medico. Il lettore non è autorizzato a considerare gli articoli qui contenuti come consulti medici, né a prenderli a pretesto per curarsi da sé.