Dott. Ignazio Madonia
Epilessia e alimentazione

L’epilessia è una malattia o, meglio, una sindrome patologica, che colpisce l’1% della popolazione italiana, ovvero oltre 500.000 persone. L’incidenza è di 50 nuovi casi ogni anno il che significa 25.000 nuove unità all’anno.
Le crisi possono manifestarsi a
qualunque età ma nella maggior parte dei casi iniziano prima dei vent’anni, cioè nell’infanzia o nell’adolescenza, per subire poi una flessione nell’età adulta e riacutizzarsi nell’età senile.
Definizione e origine della crisi
La parola epilessia deriva dal greco epilambaneim che letteralmente significa “essere colti di sorpresa, essere sopraffatti”. E in effetti questa malattia, o meglio queste malattie dato che se ne conoscono più di 40 tipi diversi, si caratterizza proprio per l’improvvisa insorgenza delle cosiddette crisi convulsive che colgono senza alcun preavviso la persona che ne è affetta.
L’origine delle crisi risiede nel cervello. Con il termine crisi epilettica si vuole quindi intendere un’alterazione transitoria del comportamento conseguente a una scarica ritmica e sincrona di alcuni neuroni della corteccia cerebrale. In parole più povere, queste crisi non sono altro che la reazione dei neuroni in seguito a un’intensa stimolazione.
Il neurone può essere paragonato a un interruttore che, a seconda degli stimoli che riceve, può essere acceso o spento: quando si accende trasmette degli impulsi agli altri neuroni a cui è collegato. In chi soffre di epilessia i neuroni risultano essere più eccitabili del normale, il che significa che tendono ad accendersi tutti contemporaneamente dando luogo alla scarica, così definita perché effettivamente analoga a una scarica elettrica. A originare la scarica sono un gruppo di neuroni che si trovano nel cosiddetto focolaio epilettogeno localizzato in qualche punto del sistema nervoso centrale.
Bambino: crisi epilettiche e crisi convulsive febbrili
Molti genitori si sono trovati a dover fronteggiare una crisi convulsiva in un bambino molto piccolo e la prima volta che essa si è manifestata hanno ritenuto che si trattasse di epilessia.
“È importante specificare che nei bambini, soprattutto nella fascia d’età che va dai 6 mesi ai 3-4 anni, è molto facile che, come conseguenza di una febbre molto alta, si verifichino delle manifestazioni convulsive che però, nella maggior parte dei casi, non hanno niente a che vedere con attacchi epilettici. Ciò si verifica per la combinazione di due elementi: la febbre alta e l’immaturità del sistema nervoso.
Norme di comportamento in caso di crisi convulsiva generalizzata
Se si è già consapevoli che un bambino soffre di crisi epilettiche, è opportuno attenersi alle seguenti, semplici norme di comportamento:
• non agitarsi;
• posizionare il bambino su un fianco per evitare il soffocamento (in caso di abbondante salivazione è meglio che la saliva esca dalla bocca piuttosto che rischi di “intasare” la trachea creando problemi respiratori);
• slacciare gli indumenti che possono stringere e, in caso di occhiali, rimuoverli;
• posizionare qualcosa di morbido sotto la testa;
• se la bocca è serrata non cercare di forzarne l’apertura (solo nel caso sia semiaperta si può inserire qualcosa di morbido, ad esempio un fazzoletto);
• non cercare di bloccare gli arti durante gli spasmi (si possono procurare fratture).
Dopo la crisi
• calmare il bambino;
• non imporre sforzi fisici;
• non somministrare nulla per via orale (cibo, bevande, caramelle) fino a che il bambino non riprende a essere completamente vigile;
• se la crisi è prolungata (più di 5-10 minuti) o se essa ha provocato una caduta avvertire il pediatra al più presto.
Classificazione
La classificazione dell'epilessia risale al 1989 e divide le varie forme patologiche in due gruppi:
Le convulsioni epilettiche possono essere semplici o complesse in base allo stato di coscienza del soggetto e possono evolvere in forme genralizzate e/o complesse.
Cause
Le cause principali di epilessia sono tre:
Per danno cerebrale cronico, congenito o acquisito: sono secondarie a danni prenatali, perinatali o post natali.
Genetiche: ereditarie, possono provocare sia le forme idiopatiche che quelle sintomatiche.
Diagnosi
La diagnosi di epilessia può essere fatta grazie ad una combinazione di evidenze anamnestiche, unite a tecniche di neuro immagine e all'elettroencefalogramma (EEG).
Partendo dall'anamnesi famigliare, è molto importante iniziare a valutare la familiarità, specie se entrambi i genitori hanno sofferto o soffrono di epilessie.
Inoltre si valuta anche l'anamnesi remota, ovvero se il paziente ha subito traumi cranici, meningiti, encefaliti, ictus, tumori, ecc… che potrebbero causare la comparsa della malattia epilettica.
Di fondamentale importanza è la descrizione della crisi epilettica fatta dal paziente o dai suoi famigliari, la sua modalità di comparsa e le situazioni che possono aver scatenato la crisi.
Durante la crisi epilettica, l'EEG può definire il tipo e la localizzazione della stessa.
Nelle crisi parziali semplici, per esempio, si osserva un ritmo immutato o al massimo rallentato; nelle generalizzate compaiono complessi di punta-onda bilaterali; mentre nelle assenze compaiono complessi punta-onda da 3Hz.
Importante può risultare inoltre la registrazione simultanea video + EEG, che aiuta a mettere meglio in relazione la localizzazione del focus responsabile della crisi con le alterazioni EEG e i sintomi clinici.
Altri strumenti diagnostici a nostra disposizione sono la TC, la RM e la PET. Soprattutto la RM (risonanza magnetica) individua moltissime anomalie focali o generalizzate, mentre la PET può essere utile per osservare modificazioni di flusso regionali e come mappatura preoperatoria.
L'Alimentazione
Sono più di 80 anni che è nota l’efficacia di una dieta povera di carboidrati e ricca di grassi nel controllo degli attacchi epilettici.
Il primo rapporto medico è del 1921 e fino al 1938 la dieta era l’unico strumento in mano ai medici per controllare l’epilessia. Con l’avvento poi del primo farmaco antiepilettico, la fenitoina, la terapia alimentare venne giudicata superata e quindi messa da parte.
Per nostra fortuna, nonostante la moltiplicazione dei farmaci antiepilettici, la sua memoria e la sua pratica sono sopravvissute in alcuni centri clinici, il che ha consentito la ripresa attuale.
Nei primi anni Novanta, alla Johns Hopkins University di Baltimora, curarono con la dieta un ragazzo di nome Charlie. Aveva un’epilessia resistente ai farmaci e anche alla chirurgia. Con la dieta risolse i suoi disturbi. Da allora venne costituita la Charlie Foundation che ha dato un notevole impulso alla diffusione della terapia alimentare dell’epilessia e alla ricerca scientifica.
Il centro della Johns Hopkins ha trattato più di 500 persone, in gran parte bambini, con epilessia parziale (o focale), resistente ai farmaci.
Dalle statistiche della John Hopkins emerge che, nel giro di tre mesi, si ha per lo più un dimezzamento della frequenza degli attacchi e che è possibile ridurre i farmaci fin dalle prime settimane di dieta.
Certo non siamo di fronte a una panacea. In ogni caso, una rassegna sistematica pubblicata nel 2000 da Pediatrics, la rivista della Accademia americana di pediatria, aveva concluso che il 16 per cento dei bambini trattati con la dieta non ha più attacchi significativi, il 32 per cento ha una riduzione degli attacchi maggiore del 90 per cento e il 56 per cento ha una riduzione degli attacchi superiore al 50 per cento.
La dieta ricca di grassi è chiamata anche chetogenica perché produce la formazione di corpi chetonici, sostanze derivate dall’ossidazione degli acidi grassi nel fegato, quali acetoacetato, 3-idrossibutirrato e acetone. Quest’ultimo viene notevolmente eliminato con il respiro: di qui l’odore acido di una persona in uno stato di chetosi.
Questa dieta, anche per i suoi rischi metabolici (si utilizzano molti grassi saturi, provenienti da panna e formaggi!,ndr) è stata recentemente sottoposta a una revisione. Su due fronti: sostituzione di grassi saturi con grassi polinsaturi (utilizzo di noci, mandorle, semi di lino, oli vegetali e verdure, ndr) e riduzione della percentuale di grassi con un leggero aumento dei carboidrati e soprattutto delle proteine.
I risultati sono stati molto incoraggianti: la dieta con pochi grassi saturi e con più proteine produce lo stesso risultato di quella ricca di grassi saturi, con il vantaggio di controllare meglio il colesterolo.
Ma studi recenti mettono in primo piano altri fattori: il ruolo centrale è svolto dal digiuno e da una dieta ipocalorica e con scarso contenuto di glucosio. Il grasso c’entra, ma non è l’unico elemento. Come spieghiamo qui sotto, la dieta efficace e sicura nel controllo dell’epilessia sembra essere: pochi carboidrati, più proteine e grassi, ma soprattutto poche calorie.
Perchè cambiare carburante al cervello
Il cervello è un organo che consuma molto ossigeno e glucosio. Il 20 per cento di tutto l’ossigeno del nostro organismo è consumato dal cervello, che dipende anche dal rifornimento di glucosio che giunge con il sangue. Il glucosio viene in parte trasformato in lattato e in parte entra in un ciclo di trasformazioni (cosiddetto ciclo di Krebs) che darà vita ai più importanti neurotrasmettitori eccitatori: glutammato e aspartato.
È stato visto che, in corso di epilessia, c’è un forte incremento dell’utilizzo di glucosio e quindi di produzione di glutammato e aspartato.
Ma se si digiuna, dopo 24-48 ore le riserve di glucosio si esauriscono. A questo punto, il cervello cambia dieta e utilizza come carburante i corpi chetonici, sostanze derivate dai grassi che vengono immesse dal fegato nel sangue.
Numerose prove sperimentali hanno dimostrato che l’aumento dei corpi chetonici nel sangue coincide con una riduzione dell’eccitabilità nervosa, con riduzione di aspartato e aumento di Gaba (acido gamma amino butirrico), il principale controllore dell’eccitazione nervosa.
Ora, l’aumento dei corpi chetonici nel sangue si può avere sia aumentando il consumo di grassi, sia riducendo il consumo di calorie e quindi costringendo il fegato a utilizzare il grasso corporeo di riserva.
Le crisi possono manifestarsi a
qualunque età ma nella maggior parte dei casi iniziano prima dei vent’anni, cioè nell’infanzia o nell’adolescenza, per subire poi una flessione nell’età adulta e riacutizzarsi nell’età senile.
Definizione e origine della crisi
La parola epilessia deriva dal greco epilambaneim che letteralmente significa “essere colti di sorpresa, essere sopraffatti”. E in effetti questa malattia, o meglio queste malattie dato che se ne conoscono più di 40 tipi diversi, si caratterizza proprio per l’improvvisa insorgenza delle cosiddette crisi convulsive che colgono senza alcun preavviso la persona che ne è affetta.
L’origine delle crisi risiede nel cervello. Con il termine crisi epilettica si vuole quindi intendere un’alterazione transitoria del comportamento conseguente a una scarica ritmica e sincrona di alcuni neuroni della corteccia cerebrale. In parole più povere, queste crisi non sono altro che la reazione dei neuroni in seguito a un’intensa stimolazione.
Il neurone può essere paragonato a un interruttore che, a seconda degli stimoli che riceve, può essere acceso o spento: quando si accende trasmette degli impulsi agli altri neuroni a cui è collegato. In chi soffre di epilessia i neuroni risultano essere più eccitabili del normale, il che significa che tendono ad accendersi tutti contemporaneamente dando luogo alla scarica, così definita perché effettivamente analoga a una scarica elettrica. A originare la scarica sono un gruppo di neuroni che si trovano nel cosiddetto focolaio epilettogeno localizzato in qualche punto del sistema nervoso centrale.
Bambino: crisi epilettiche e crisi convulsive febbrili
Molti genitori si sono trovati a dover fronteggiare una crisi convulsiva in un bambino molto piccolo e la prima volta che essa si è manifestata hanno ritenuto che si trattasse di epilessia.
“È importante specificare che nei bambini, soprattutto nella fascia d’età che va dai 6 mesi ai 3-4 anni, è molto facile che, come conseguenza di una febbre molto alta, si verifichino delle manifestazioni convulsive che però, nella maggior parte dei casi, non hanno niente a che vedere con attacchi epilettici. Ciò si verifica per la combinazione di due elementi: la febbre alta e l’immaturità del sistema nervoso.
Norme di comportamento in caso di crisi convulsiva generalizzata
Se si è già consapevoli che un bambino soffre di crisi epilettiche, è opportuno attenersi alle seguenti, semplici norme di comportamento:
• non agitarsi;
• posizionare il bambino su un fianco per evitare il soffocamento (in caso di abbondante salivazione è meglio che la saliva esca dalla bocca piuttosto che rischi di “intasare” la trachea creando problemi respiratori);
• slacciare gli indumenti che possono stringere e, in caso di occhiali, rimuoverli;
• posizionare qualcosa di morbido sotto la testa;
• se la bocca è serrata non cercare di forzarne l’apertura (solo nel caso sia semiaperta si può inserire qualcosa di morbido, ad esempio un fazzoletto);
• non cercare di bloccare gli arti durante gli spasmi (si possono procurare fratture).
Dopo la crisi
• calmare il bambino;
• non imporre sforzi fisici;
• non somministrare nulla per via orale (cibo, bevande, caramelle) fino a che il bambino non riprende a essere completamente vigile;
• se la crisi è prolungata (più di 5-10 minuti) o se essa ha provocato una caduta avvertire il pediatra al più presto.
Classificazione
La classificazione dell'epilessia risale al 1989 e divide le varie forme patologiche in due gruppi:
- Epilessie parziali (convulsioni di origine focale, ovvero che originano da un punto ben preciso della corteccia cerebrale)
- Epilessie generalizzate (convulsioni che originano indistintamente da entrambi gli emisferi cerebrali)
Le convulsioni epilettiche possono essere semplici o complesse in base allo stato di coscienza del soggetto e possono evolvere in forme genralizzate e/o complesse.
Cause
Le cause principali di epilessia sono tre:
- Occasionali
- Per danno cerebrale cronico, congenito o acquisito
- Genetiche
Per danno cerebrale cronico, congenito o acquisito: sono secondarie a danni prenatali, perinatali o post natali.
Genetiche: ereditarie, possono provocare sia le forme idiopatiche che quelle sintomatiche.
Diagnosi
La diagnosi di epilessia può essere fatta grazie ad una combinazione di evidenze anamnestiche, unite a tecniche di neuro immagine e all'elettroencefalogramma (EEG).
Partendo dall'anamnesi famigliare, è molto importante iniziare a valutare la familiarità, specie se entrambi i genitori hanno sofferto o soffrono di epilessie.
Inoltre si valuta anche l'anamnesi remota, ovvero se il paziente ha subito traumi cranici, meningiti, encefaliti, ictus, tumori, ecc… che potrebbero causare la comparsa della malattia epilettica.
Di fondamentale importanza è la descrizione della crisi epilettica fatta dal paziente o dai suoi famigliari, la sua modalità di comparsa e le situazioni che possono aver scatenato la crisi.
Durante la crisi epilettica, l'EEG può definire il tipo e la localizzazione della stessa.
Nelle crisi parziali semplici, per esempio, si osserva un ritmo immutato o al massimo rallentato; nelle generalizzate compaiono complessi di punta-onda bilaterali; mentre nelle assenze compaiono complessi punta-onda da 3Hz.
Importante può risultare inoltre la registrazione simultanea video + EEG, che aiuta a mettere meglio in relazione la localizzazione del focus responsabile della crisi con le alterazioni EEG e i sintomi clinici.
Altri strumenti diagnostici a nostra disposizione sono la TC, la RM e la PET. Soprattutto la RM (risonanza magnetica) individua moltissime anomalie focali o generalizzate, mentre la PET può essere utile per osservare modificazioni di flusso regionali e come mappatura preoperatoria.
L'Alimentazione
Sono più di 80 anni che è nota l’efficacia di una dieta povera di carboidrati e ricca di grassi nel controllo degli attacchi epilettici.
Il primo rapporto medico è del 1921 e fino al 1938 la dieta era l’unico strumento in mano ai medici per controllare l’epilessia. Con l’avvento poi del primo farmaco antiepilettico, la fenitoina, la terapia alimentare venne giudicata superata e quindi messa da parte.
Per nostra fortuna, nonostante la moltiplicazione dei farmaci antiepilettici, la sua memoria e la sua pratica sono sopravvissute in alcuni centri clinici, il che ha consentito la ripresa attuale.
Nei primi anni Novanta, alla Johns Hopkins University di Baltimora, curarono con la dieta un ragazzo di nome Charlie. Aveva un’epilessia resistente ai farmaci e anche alla chirurgia. Con la dieta risolse i suoi disturbi. Da allora venne costituita la Charlie Foundation che ha dato un notevole impulso alla diffusione della terapia alimentare dell’epilessia e alla ricerca scientifica.
Il centro della Johns Hopkins ha trattato più di 500 persone, in gran parte bambini, con epilessia parziale (o focale), resistente ai farmaci.
Dalle statistiche della John Hopkins emerge che, nel giro di tre mesi, si ha per lo più un dimezzamento della frequenza degli attacchi e che è possibile ridurre i farmaci fin dalle prime settimane di dieta.
Certo non siamo di fronte a una panacea. In ogni caso, una rassegna sistematica pubblicata nel 2000 da Pediatrics, la rivista della Accademia americana di pediatria, aveva concluso che il 16 per cento dei bambini trattati con la dieta non ha più attacchi significativi, il 32 per cento ha una riduzione degli attacchi maggiore del 90 per cento e il 56 per cento ha una riduzione degli attacchi superiore al 50 per cento.
La dieta ricca di grassi è chiamata anche chetogenica perché produce la formazione di corpi chetonici, sostanze derivate dall’ossidazione degli acidi grassi nel fegato, quali acetoacetato, 3-idrossibutirrato e acetone. Quest’ultimo viene notevolmente eliminato con il respiro: di qui l’odore acido di una persona in uno stato di chetosi.
Questa dieta, anche per i suoi rischi metabolici (si utilizzano molti grassi saturi, provenienti da panna e formaggi!,ndr) è stata recentemente sottoposta a una revisione. Su due fronti: sostituzione di grassi saturi con grassi polinsaturi (utilizzo di noci, mandorle, semi di lino, oli vegetali e verdure, ndr) e riduzione della percentuale di grassi con un leggero aumento dei carboidrati e soprattutto delle proteine.
I risultati sono stati molto incoraggianti: la dieta con pochi grassi saturi e con più proteine produce lo stesso risultato di quella ricca di grassi saturi, con il vantaggio di controllare meglio il colesterolo.
Ma studi recenti mettono in primo piano altri fattori: il ruolo centrale è svolto dal digiuno e da una dieta ipocalorica e con scarso contenuto di glucosio. Il grasso c’entra, ma non è l’unico elemento. Come spieghiamo qui sotto, la dieta efficace e sicura nel controllo dell’epilessia sembra essere: pochi carboidrati, più proteine e grassi, ma soprattutto poche calorie.
Perchè cambiare carburante al cervello
Il cervello è un organo che consuma molto ossigeno e glucosio. Il 20 per cento di tutto l’ossigeno del nostro organismo è consumato dal cervello, che dipende anche dal rifornimento di glucosio che giunge con il sangue. Il glucosio viene in parte trasformato in lattato e in parte entra in un ciclo di trasformazioni (cosiddetto ciclo di Krebs) che darà vita ai più importanti neurotrasmettitori eccitatori: glutammato e aspartato.
È stato visto che, in corso di epilessia, c’è un forte incremento dell’utilizzo di glucosio e quindi di produzione di glutammato e aspartato.
Ma se si digiuna, dopo 24-48 ore le riserve di glucosio si esauriscono. A questo punto, il cervello cambia dieta e utilizza come carburante i corpi chetonici, sostanze derivate dai grassi che vengono immesse dal fegato nel sangue.
Numerose prove sperimentali hanno dimostrato che l’aumento dei corpi chetonici nel sangue coincide con una riduzione dell’eccitabilità nervosa, con riduzione di aspartato e aumento di Gaba (acido gamma amino butirrico), il principale controllore dell’eccitazione nervosa.
Ora, l’aumento dei corpi chetonici nel sangue si può avere sia aumentando il consumo di grassi, sia riducendo il consumo di calorie e quindi costringendo il fegato a utilizzare il grasso corporeo di riserva.

Oggi la dieta chetogenica è stata riconosciuta come il migliore protocollo per trattare le epilessie resistenti al trattamento farmacologico.
Questo tipo di dieta, in generale, prevede l’assunzione di un quantitativo di grassi che deve soddisfare circa il 90% del fabbisogno calorico giornaliero del paziente. Il restante 10% deve essere suddiviso in proteine e carboidrati. L’assunzione di proteine deve essere pari a circa 1 gr/kg di peso corporeo del paziente.
Questo permette la formazione di elevati quantitativi di corpi chetonici che favoriscono una riduzione dell’attività elettrica del cervello con cambio del metabolismo celebrale, modificazione della funzione dei neurotrasmettitori e abbassamento dei livelli di insulina. Questi pazienti dovranno integrare vitamine, minerali e ferro.
Questo tipo di dieta deve essere prescritta da una persona esperta e il bambino deve essere seguito continuamente per tamponare subito gli effetti collaterali di questo regime dietetico che non è pericoloso nel breve periodo, ma lo potrebbe diventare se perdura per mesi o addirittura per anni come nel caso dei pazienti epilettici.
Secondo quanto detto, la dieta chetogenica è una valida opportunità per ridurre la frequenza delle crisi epilettiche, soprattutto nell’età infantile. Essendo un regime alimentare particolarmente stressante per l’organismo, la si può adottare solo ciclicamente e sotto la supervisione del proprio medico.
La dieta chetogenica ha dei risultati molto interessanti, infatti migliora lo sviluppo psicomotorio e cognitivo dei pazienti. La condizione che si raggiunge tramite la dieta porta a una riduzione della trasmissione nervosa e dell’eccitabilità, quindi alla diminuzione della frequenza delle crisi.
Secondo questa dieta, i carboidrati devono essere pressoché eliminati. Anche le bevande alcoliche, così come la caffeina e la teina, sono da evitare proprio per gli effetti troppo stimolanti sul cervello.
Coloro che soffrono di epilessia possono concentrarsi invece su piccoli pasti distribuiti nell’arco della giornata. Le fibre, tra cui frutta e verdura, sono degli ottimi sostituivi dei carboidrati, ma anche i legumi e alcune proteine. Le uova, ma anche il latte e i suoi derivati, ad esempio, aiutano a raggiungere lo stato di chetosi.
AVVERTENZA: Questo sito ha carattere di divulgazione culturale e informativa, necessariamente generale. Le informazioni contenute, pur basate sugli studi scientifici citati, non sostituiscono il consulto personalizzato del professionista pratico, dietologo o medico. Il lettore non è autorizzato a considerare gli articoli qui contenuti come consulti medici, né a prenderli a pretesto per curarsi da sé.
Questo tipo di dieta, in generale, prevede l’assunzione di un quantitativo di grassi che deve soddisfare circa il 90% del fabbisogno calorico giornaliero del paziente. Il restante 10% deve essere suddiviso in proteine e carboidrati. L’assunzione di proteine deve essere pari a circa 1 gr/kg di peso corporeo del paziente.
Questo permette la formazione di elevati quantitativi di corpi chetonici che favoriscono una riduzione dell’attività elettrica del cervello con cambio del metabolismo celebrale, modificazione della funzione dei neurotrasmettitori e abbassamento dei livelli di insulina. Questi pazienti dovranno integrare vitamine, minerali e ferro.
Questo tipo di dieta deve essere prescritta da una persona esperta e il bambino deve essere seguito continuamente per tamponare subito gli effetti collaterali di questo regime dietetico che non è pericoloso nel breve periodo, ma lo potrebbe diventare se perdura per mesi o addirittura per anni come nel caso dei pazienti epilettici.
Secondo quanto detto, la dieta chetogenica è una valida opportunità per ridurre la frequenza delle crisi epilettiche, soprattutto nell’età infantile. Essendo un regime alimentare particolarmente stressante per l’organismo, la si può adottare solo ciclicamente e sotto la supervisione del proprio medico.
La dieta chetogenica ha dei risultati molto interessanti, infatti migliora lo sviluppo psicomotorio e cognitivo dei pazienti. La condizione che si raggiunge tramite la dieta porta a una riduzione della trasmissione nervosa e dell’eccitabilità, quindi alla diminuzione della frequenza delle crisi.
Secondo questa dieta, i carboidrati devono essere pressoché eliminati. Anche le bevande alcoliche, così come la caffeina e la teina, sono da evitare proprio per gli effetti troppo stimolanti sul cervello.
Coloro che soffrono di epilessia possono concentrarsi invece su piccoli pasti distribuiti nell’arco della giornata. Le fibre, tra cui frutta e verdura, sono degli ottimi sostituivi dei carboidrati, ma anche i legumi e alcune proteine. Le uova, ma anche il latte e i suoi derivati, ad esempio, aiutano a raggiungere lo stato di chetosi.
AVVERTENZA: Questo sito ha carattere di divulgazione culturale e informativa, necessariamente generale. Le informazioni contenute, pur basate sugli studi scientifici citati, non sostituiscono il consulto personalizzato del professionista pratico, dietologo o medico. Il lettore non è autorizzato a considerare gli articoli qui contenuti come consulti medici, né a prenderli a pretesto per curarsi da sé.