Dott. Ignazio Madonia
Le Malattie Mitocondriali e l'alimentazione
Le malattie mitocondriali sono un gruppo molto eterogeneo di patologie ereditarie causate da alterazioni nel funzionamento dei mitocondri.
Presentano notevole variabilità clinica per quanto riguarda l’età d’insorgenza, il tipo di evoluzione e i tessuti coinvolti. La caratteristica comune è l’intolleranza agli sforzi, il facile affaticamento e l’accumulo di acido lattico. L’acido lattico si accumula nei tessuti muscolari quando la respirazione mitocondriale è insufficiente.
Manifestazione: Le malattie mitocondriali sono un gruppo di disturbi dovuti a disfunzione della catena respiratoria. Gli effetti delle mutazioni che colpiscono i complessi della catena tendono ad essere multisistemici, cioè ad interessare diversi organi e tessuti dell’organismo, in maniera non sempre prevedibile e quantificabile. Una peculiarità di questo gruppo di malattie, che ne ha reso difficoltoso lo studio nel corso degli anni, è la variabilità delle manifestazioni cliniche; nonostante queste dipendano da un’inadeguata produzione di energia cellulare, la ripercussione a carico degli organi, la velocità di progressione e l’età di insorgenza della malattia variano notevolmente sia da malattia a malattia che da paziente a paziente, anche all’interno di una stessa famiglia. I sistemi più frequentemente interessati sono l’apparato muscolare ed il sistema nervoso centrale e periferico, ma possono essere coinvolti, con variabile gravità di interessamento ed in diverse combinazioni, anche le vie visive ed uditive, il cuore, le ghiandole endocrine.
Principali manifestazioni delle malattie mitocondriali
Sistema Nervoso Centrale
Emicrania, mioclono, regressione/ritardo psicomotorio, demenza, emiparesi, convulsioni, atassia, emianopsia, cecità corticale, distonia, parkinsonismo, tremore
Sistema Nervoso Periferico
Neuropatia periferica
Muscolo
Debolezza, oftalmoplegia, ptosi palpebrale, intolleranza all’esercizio fisico,
mioglobinuria
Apparato visivo
Retinopatia pigmentosa, cataratta, atrofia ottica
Apparato acustico
Sordità/ipoacusia neurosensoriale
Sistema gastroenterico
Malassorbimento, pseudo-ostruzioni intestinali, disfunzione del pancreas esocrino
Reni
Sindrome di Fanconi
Sistema endocrino
Diabete mellito, bassa statura, ipoparatiroidismo
Sistema cardiocircolatorio
Cardiomiopatia, blocchi di conduzione
Sistema ematopoietico
Anemia sideroblastica
Trasmissione: Solo una piccola parte delle malattie mitocondriali segue le regole
dell’eredita’ mendeliana. Per le altre si parla di eredità mitocondriale, significa che possono essere trasmesse ai figli solo dalla madre. Per spiegare questa particolarità è necessario sapere che, gli spermatozoi non forniscono alcun mitocondrio all’atto della fecondazione; i mitocondri che ciascuno di noi possiede provengono esclusivamente dalla cellula uovo, sono quindi di origine materna. I mitocondri contengono al loro interno del DNA che serve alla fabbricazione di molti dei loro componenti, è definito DNA mitocondriale e presenta qualche differenza rispetto al DNA nucleare, ad esempio è più sensibile alle mutazioni perchè non possiede efficienti sistemi di riparo, soprattutto contro i danni causati dai radicali liberi. Ogni eventuale mutazione presente sul DNA mitocondriale sarà a sua volta trasmessa esclusivamente per via materna. In condizioni normali tutto il DNA mitocondriale di un individuo è omogeneo, l’insorgenza di una mutazione puo’ portare alla presenza contemporanea di due DNA mitocondriali diversi. Quando il genotipo mutato prende il sopravvento su quello “selvatico” si può avere la comparsa della malattia, per questo la maggior parte delle malattie mitocondriali si manifestano in età adulta e presentano un’ampia variabilità clinica anche all’interno di una stessa famiglia
Presentano notevole variabilità clinica per quanto riguarda l’età d’insorgenza, il tipo di evoluzione e i tessuti coinvolti. La caratteristica comune è l’intolleranza agli sforzi, il facile affaticamento e l’accumulo di acido lattico. L’acido lattico si accumula nei tessuti muscolari quando la respirazione mitocondriale è insufficiente.
Manifestazione: Le malattie mitocondriali sono un gruppo di disturbi dovuti a disfunzione della catena respiratoria. Gli effetti delle mutazioni che colpiscono i complessi della catena tendono ad essere multisistemici, cioè ad interessare diversi organi e tessuti dell’organismo, in maniera non sempre prevedibile e quantificabile. Una peculiarità di questo gruppo di malattie, che ne ha reso difficoltoso lo studio nel corso degli anni, è la variabilità delle manifestazioni cliniche; nonostante queste dipendano da un’inadeguata produzione di energia cellulare, la ripercussione a carico degli organi, la velocità di progressione e l’età di insorgenza della malattia variano notevolmente sia da malattia a malattia che da paziente a paziente, anche all’interno di una stessa famiglia. I sistemi più frequentemente interessati sono l’apparato muscolare ed il sistema nervoso centrale e periferico, ma possono essere coinvolti, con variabile gravità di interessamento ed in diverse combinazioni, anche le vie visive ed uditive, il cuore, le ghiandole endocrine.
Principali manifestazioni delle malattie mitocondriali
Sistema Nervoso Centrale
Emicrania, mioclono, regressione/ritardo psicomotorio, demenza, emiparesi, convulsioni, atassia, emianopsia, cecità corticale, distonia, parkinsonismo, tremore
Sistema Nervoso Periferico
Neuropatia periferica
Muscolo
Debolezza, oftalmoplegia, ptosi palpebrale, intolleranza all’esercizio fisico,
mioglobinuria
Apparato visivo
Retinopatia pigmentosa, cataratta, atrofia ottica
Apparato acustico
Sordità/ipoacusia neurosensoriale
Sistema gastroenterico
Malassorbimento, pseudo-ostruzioni intestinali, disfunzione del pancreas esocrino
Reni
Sindrome di Fanconi
Sistema endocrino
Diabete mellito, bassa statura, ipoparatiroidismo
Sistema cardiocircolatorio
Cardiomiopatia, blocchi di conduzione
Sistema ematopoietico
Anemia sideroblastica
Trasmissione: Solo una piccola parte delle malattie mitocondriali segue le regole
dell’eredita’ mendeliana. Per le altre si parla di eredità mitocondriale, significa che possono essere trasmesse ai figli solo dalla madre. Per spiegare questa particolarità è necessario sapere che, gli spermatozoi non forniscono alcun mitocondrio all’atto della fecondazione; i mitocondri che ciascuno di noi possiede provengono esclusivamente dalla cellula uovo, sono quindi di origine materna. I mitocondri contengono al loro interno del DNA che serve alla fabbricazione di molti dei loro componenti, è definito DNA mitocondriale e presenta qualche differenza rispetto al DNA nucleare, ad esempio è più sensibile alle mutazioni perchè non possiede efficienti sistemi di riparo, soprattutto contro i danni causati dai radicali liberi. Ogni eventuale mutazione presente sul DNA mitocondriale sarà a sua volta trasmessa esclusivamente per via materna. In condizioni normali tutto il DNA mitocondriale di un individuo è omogeneo, l’insorgenza di una mutazione puo’ portare alla presenza contemporanea di due DNA mitocondriali diversi. Quando il genotipo mutato prende il sopravvento su quello “selvatico” si può avere la comparsa della malattia, per questo la maggior parte delle malattie mitocondriali si manifestano in età adulta e presentano un’ampia variabilità clinica anche all’interno di una stessa famiglia
La Nutrizione
Le malattie mitocondriali, sono patologie croniche, degenerative, caratterizzate oltre che dalla bassa prevalenza nella popolazione anche dalla difficoltà nell’effettuare una diagnosi rapida e corretta e soprattutto nell’individuare una terapia adeguata. Per questa ragione attualmente assumono un ruolo fondamentale tutti quegli interventi come la riabilitazione motoria e l’assistenza ventilatoria, che hanno lo scopo principale di migliorare la qualità di vita del paziente. L’approccio nutrizionale rientra in questo insieme di interventi e si ripropone 1) il raggiungimento o il mantenimento del peso corporeo ideale; 2) l’individuazione dei cibi più vantaggiosi, dal punto di vista metabolico; 3) un miglioramento della capacità motoria, 4) un buon controllo del profilo glicemico e lipidico in modo da ridurre il rischio di patologie secondarie di origine metabolica.
Non esistono linee guida specifiche per l’alimentazione del paziente affetto da malattie mitocondriali, tuttavia la maggior parte degli studi riguardanti la valutazione della composizione corporea e dello stato nutrizionale di questi pazienti concludono che una alimentazione adeguata ed un’idonea attività motoria sono in grado di contrastare l’obesità ed il progressivo deterioramento muscolare.
La dieta dovrà innanzitutto garantire un apporto calorico tale da coprire il fabbisogno energetico necessario per il mantenimento dell’organismo, dovrà soddisfare l’extra richiesta energetica connessa ad una eventuale compromissione della funzione respiratoria, ed infine dovrà mantenere e/o raggiungere, dove necessario, il peso corporeo ideale. L’apporto calorico così definito dovrà essere distribuito correttamente tra i vari nutrienti e fra i pasti della giornata. Infine, la dieta dovrà essere sufficientemente varia in modo da soddisfare i livelli raccomandati dei macro e micronutrienti (L.A.R.N.).
Il primo dato da definire nella pianificazione dello schema alimentare è quindi il fabbisogno energetico. La sintomatologia delle malattie rare, tra cui rientrano le malattie mitocondriali, è caratterizzata da un interessamento dell’apparato muscolo-scheletrico con un progressivo deficit di forza muscolare: questo si traduce in una riduzione del metabolismo basale (MB), attribuibile principalmente alla perdita di massa muscolare, e del fabbisogno energetico (FE), legato alla riduzione del metabolismo basale e dell’attività motoria. Se non viene pianificato un intervento nutrizionale adeguato tutto questo può portare ad un notevole incremento di peso, col rischio di insorgenza di patologie secondarie di origine metabolica.
D’altro canto pazienti con compromissione della funzionalità respiratoria consumano una considerevole quantità di energia per respirare, calorie che devono essere considerate nella pianificazione di un corretto intervento alimentare onde prevenire un eccessiva perdita di peso.
Munn ha cercato di elaborare una formula matematica semplice che riuscisse ad approssimare il più possibile i fabbisogni reali dei pazienti miopatici. La formula è la seguente:
FE = MB x fattore di attività x fattore di danno muscolare
dove MB viene calcolato mediante la formula classica di Harris-Benedict; il fattore di attività è un coefficiente numerico che viene utilizzato per calcolare i fabbisogni energetici di pazienti chirurgici (Tabella 1); il fattore di danno muscolare è un coefficiente numerico determinato sperimentalmente da Bach in pazienti affetti da un altro tipo di malattia muscolare, la Distrofia Muscolare di Duchenne (Tabella 1).
Fattore di attività Caratteristiche del paziente
1.10 con supporto ventilatorio
1.15 immobile o sedato (non ventilato)
1.25 deambulante
Fattore di danno muscolare (fdm) 0.47<fdm<0.52
Tabella 1. Fattore di attività e fattore di danno muscolare per il calcolo del fabbisogno energetico di soggetti affetti da patologie neuromuscolari. Da Munn MW., 2205
Non esistono linee guida specifiche per l’alimentazione del paziente affetto da malattie mitocondriali, tuttavia la maggior parte degli studi riguardanti la valutazione della composizione corporea e dello stato nutrizionale di questi pazienti concludono che una alimentazione adeguata ed un’idonea attività motoria sono in grado di contrastare l’obesità ed il progressivo deterioramento muscolare.
La dieta dovrà innanzitutto garantire un apporto calorico tale da coprire il fabbisogno energetico necessario per il mantenimento dell’organismo, dovrà soddisfare l’extra richiesta energetica connessa ad una eventuale compromissione della funzione respiratoria, ed infine dovrà mantenere e/o raggiungere, dove necessario, il peso corporeo ideale. L’apporto calorico così definito dovrà essere distribuito correttamente tra i vari nutrienti e fra i pasti della giornata. Infine, la dieta dovrà essere sufficientemente varia in modo da soddisfare i livelli raccomandati dei macro e micronutrienti (L.A.R.N.).
Il primo dato da definire nella pianificazione dello schema alimentare è quindi il fabbisogno energetico. La sintomatologia delle malattie rare, tra cui rientrano le malattie mitocondriali, è caratterizzata da un interessamento dell’apparato muscolo-scheletrico con un progressivo deficit di forza muscolare: questo si traduce in una riduzione del metabolismo basale (MB), attribuibile principalmente alla perdita di massa muscolare, e del fabbisogno energetico (FE), legato alla riduzione del metabolismo basale e dell’attività motoria. Se non viene pianificato un intervento nutrizionale adeguato tutto questo può portare ad un notevole incremento di peso, col rischio di insorgenza di patologie secondarie di origine metabolica.
D’altro canto pazienti con compromissione della funzionalità respiratoria consumano una considerevole quantità di energia per respirare, calorie che devono essere considerate nella pianificazione di un corretto intervento alimentare onde prevenire un eccessiva perdita di peso.
Munn ha cercato di elaborare una formula matematica semplice che riuscisse ad approssimare il più possibile i fabbisogni reali dei pazienti miopatici. La formula è la seguente:
FE = MB x fattore di attività x fattore di danno muscolare
dove MB viene calcolato mediante la formula classica di Harris-Benedict; il fattore di attività è un coefficiente numerico che viene utilizzato per calcolare i fabbisogni energetici di pazienti chirurgici (Tabella 1); il fattore di danno muscolare è un coefficiente numerico determinato sperimentalmente da Bach in pazienti affetti da un altro tipo di malattia muscolare, la Distrofia Muscolare di Duchenne (Tabella 1).
Fattore di attività Caratteristiche del paziente
1.10 con supporto ventilatorio
1.15 immobile o sedato (non ventilato)
1.25 deambulante
Fattore di danno muscolare (fdm) 0.47<fdm<0.52
Tabella 1. Fattore di attività e fattore di danno muscolare per il calcolo del fabbisogno energetico di soggetti affetti da patologie neuromuscolari. Da Munn MW., 2205
Questo calcolo fornisce solo un dato approssimativo che deve essere corretto in base ai risultati ottenuti da altre valutazioni quali misure antropometriche, calorimetria, bioimpedenziometria, che permettono di delineare in modo più accurato lo stato nutrizionale del paziente.
Oltre ad un adeguato apporto calorico, per una corretta alimentazione è importante anche la distribuzione dell’apporto calorico tra i vari nutrienti. La distribuzione più corrette prevede che i carboidrati forniscano il 55-60% delle calorie totali, i grassi il 25-30% e le proteine il 12-15%. Fonti principali di energia sono quindi i carboidrati ed i grassi, infatti anche se questi ultimi vengono consumati in percentuale minore rispetto ai primi, hanno un potere energetico maggiore (circa doppio): 9 Kcal/g contro 4 Kcal/g dei carboidrati.
Per quanto riguarda i carboidrati, è opportuno consigliare il consumo di carboidrati complessi quali pane, pasta e cereali, che vengono assorbiti più lentamente degli zuccheri semplici (contenuti nel latte, nella frutta, nelle caramelle, ecc.) e quindi non producono brusche variazioni della glicemia e della risposta insulinica. Inoltre gli zuccheri semplici sono più lipidogenici, tendono cioè ad aumentare i livelli di trigliceridi e quindi sono da sconsigliare nei pazienti affetti da malattie mitocondriali, che possono andare incontro a complicanze di tipo metabolico. Infine, la riduzione degli zuccheri semplici (10% dell’apporto calorico totale) è utile anche per prevenire la carie: bisogna infatti ricordare che i pazienti hanno spesso difficoltà motorie che impediscono loro di provvedere ad una adeguata igiene orale.
E’ molto diffusa l’opinione che il paziente affetto da malattie neuromuscolari necessiti di un apporto proteico maggiore per compensare l’aumentata degradazione muscolare che caratterizza queste patologie. A questo proposito, occorre sottolineare che le proteine non vengono utilizzate come substrato energetico, o meglio questo avviene solo in circostanze di emergenza, quando non vi sono altri substrati disponibili. Inoltre, non esistono sistemi di riserva per le proteine, quindi quelle fornite in eccesso vengono degradate con un notevole carico di lavoro per il rene, aumento delle scorie azotate e del carico acido, con le dannose conseguenze che questo può comportare. L’apporto proteico deve quindi coprire il fabbisogno, che è di circa 1g/kg di peso corporeo ideale, ma non eccedere questa misura.
Per quanto riguarda le fibre, oggi si tende a suggerirne il consumo perchè svolgono numerose funzioni positive: rallentano l’assorbimento dei grassi e degli zuccheri, ritardano lo svuotamento gastrico, danno senso di sazietà, facilitano il transito del bolo alimentare e migliorano la funzione intestinale. Nel caso di pazienti affetti da malattie mitocondriali è necessario porre attenzione in quanto questi pazienti spesso non si idratano in modo adeguato, e quindi si corre il rischio di ostruzioni intestinali in quanto le fibre agiscono proprio assorbendo acqua. Conviene ridurre il consumo di fibre anche in pazienti inappetenti o con difficoltà respiratorie, dato che le fibre danno sensazione di sazietà e producono gonfiore addominale.
Per i pazienti disfagici e/o con una funzione respiratoria compromessa, spesso è opportuno modificare la distribuzione delle calorie fra i principali nutrienti a favore dei lipidi, riducendo di un 10% circa l’apporto di carboidrati. I lipidi ci consentono infatti di avere un apporto calorico elevato e volumi di cibo ridotti, aspetto molto importante per pazienti che si affaticano a mangiare e si sentono subito sazi. L’altro vantaggio è dato dal fatto che il metabolismo lipidico, rispetto a quello glucidico, determina una minore produzione di anidride carbonica come prodotto di scarto, a parità di ossigeno consumato.
La distribuzione delle calorie tra i vari pasti nella giornata non deve essere trascurata. Lo schema ideale dovrebbe prevedere colazione, pranzo, cena e due piccoli spuntini a metà mattina e metà pomeriggio. In generale, sia per il paziente che deve perdere peso, sia per quello che lo deve riacquistare e che tende a saziarsi subito, oppure per quelli che non deambulano, è sempre consigliabile frazionare i pasti nell’arco della giornata per garantire livelli glicemici più stabili, per favorire la digestione, e per evitare il senso di ripienezza che può ostacolare anche la respirazione.
Per quanto riguarda l’aspetto qualitativo della dieta, il modello mediterraneo è ritenuto il regime alimentare più consono alle problematiche di questi pazienti.
I principi fondamentali sono: privilegiare i cereali, gli ortaggi, la frutta, i legumi, fonti di carboidrati complessi, proteine, sali minerali, vitamine, fibre; preferire il pesce fonte di acidi grassi poliinsaturi; consumare una adeguata quantità di latte e derivati per l’apporto di calcio e di proteine; scegliere l’olio extravergine di oliva come condimento. Tutto questo è fondamentale per garantire un’alimentazione varia che soddisfi i L.A.R.N. dei macro e micro-nutrienti.
Oltre ad un adeguato apporto calorico, per una corretta alimentazione è importante anche la distribuzione dell’apporto calorico tra i vari nutrienti. La distribuzione più corrette prevede che i carboidrati forniscano il 55-60% delle calorie totali, i grassi il 25-30% e le proteine il 12-15%. Fonti principali di energia sono quindi i carboidrati ed i grassi, infatti anche se questi ultimi vengono consumati in percentuale minore rispetto ai primi, hanno un potere energetico maggiore (circa doppio): 9 Kcal/g contro 4 Kcal/g dei carboidrati.
Per quanto riguarda i carboidrati, è opportuno consigliare il consumo di carboidrati complessi quali pane, pasta e cereali, che vengono assorbiti più lentamente degli zuccheri semplici (contenuti nel latte, nella frutta, nelle caramelle, ecc.) e quindi non producono brusche variazioni della glicemia e della risposta insulinica. Inoltre gli zuccheri semplici sono più lipidogenici, tendono cioè ad aumentare i livelli di trigliceridi e quindi sono da sconsigliare nei pazienti affetti da malattie mitocondriali, che possono andare incontro a complicanze di tipo metabolico. Infine, la riduzione degli zuccheri semplici (10% dell’apporto calorico totale) è utile anche per prevenire la carie: bisogna infatti ricordare che i pazienti hanno spesso difficoltà motorie che impediscono loro di provvedere ad una adeguata igiene orale.
E’ molto diffusa l’opinione che il paziente affetto da malattie neuromuscolari necessiti di un apporto proteico maggiore per compensare l’aumentata degradazione muscolare che caratterizza queste patologie. A questo proposito, occorre sottolineare che le proteine non vengono utilizzate come substrato energetico, o meglio questo avviene solo in circostanze di emergenza, quando non vi sono altri substrati disponibili. Inoltre, non esistono sistemi di riserva per le proteine, quindi quelle fornite in eccesso vengono degradate con un notevole carico di lavoro per il rene, aumento delle scorie azotate e del carico acido, con le dannose conseguenze che questo può comportare. L’apporto proteico deve quindi coprire il fabbisogno, che è di circa 1g/kg di peso corporeo ideale, ma non eccedere questa misura.
Per quanto riguarda le fibre, oggi si tende a suggerirne il consumo perchè svolgono numerose funzioni positive: rallentano l’assorbimento dei grassi e degli zuccheri, ritardano lo svuotamento gastrico, danno senso di sazietà, facilitano il transito del bolo alimentare e migliorano la funzione intestinale. Nel caso di pazienti affetti da malattie mitocondriali è necessario porre attenzione in quanto questi pazienti spesso non si idratano in modo adeguato, e quindi si corre il rischio di ostruzioni intestinali in quanto le fibre agiscono proprio assorbendo acqua. Conviene ridurre il consumo di fibre anche in pazienti inappetenti o con difficoltà respiratorie, dato che le fibre danno sensazione di sazietà e producono gonfiore addominale.
Per i pazienti disfagici e/o con una funzione respiratoria compromessa, spesso è opportuno modificare la distribuzione delle calorie fra i principali nutrienti a favore dei lipidi, riducendo di un 10% circa l’apporto di carboidrati. I lipidi ci consentono infatti di avere un apporto calorico elevato e volumi di cibo ridotti, aspetto molto importante per pazienti che si affaticano a mangiare e si sentono subito sazi. L’altro vantaggio è dato dal fatto che il metabolismo lipidico, rispetto a quello glucidico, determina una minore produzione di anidride carbonica come prodotto di scarto, a parità di ossigeno consumato.
La distribuzione delle calorie tra i vari pasti nella giornata non deve essere trascurata. Lo schema ideale dovrebbe prevedere colazione, pranzo, cena e due piccoli spuntini a metà mattina e metà pomeriggio. In generale, sia per il paziente che deve perdere peso, sia per quello che lo deve riacquistare e che tende a saziarsi subito, oppure per quelli che non deambulano, è sempre consigliabile frazionare i pasti nell’arco della giornata per garantire livelli glicemici più stabili, per favorire la digestione, e per evitare il senso di ripienezza che può ostacolare anche la respirazione.
Per quanto riguarda l’aspetto qualitativo della dieta, il modello mediterraneo è ritenuto il regime alimentare più consono alle problematiche di questi pazienti.
I principi fondamentali sono: privilegiare i cereali, gli ortaggi, la frutta, i legumi, fonti di carboidrati complessi, proteine, sali minerali, vitamine, fibre; preferire il pesce fonte di acidi grassi poliinsaturi; consumare una adeguata quantità di latte e derivati per l’apporto di calcio e di proteine; scegliere l’olio extravergine di oliva come condimento. Tutto questo è fondamentale per garantire un’alimentazione varia che soddisfi i L.A.R.N. dei macro e micro-nutrienti.
Piramide alimentare mediterranea (www.inran.it)
IDRATAZIONE PAZIENTI MITOCONDRIALI
L'acqua (H2O) è il principale costituente del corpo umano ed è elemento essenziale alla vita poiché il metabolismo cellulare si svolge in ambiente acquoso, cioè in soluzione.
Una soluzione è una miscela omogenea di una o più sostanze: il solvente è la sostanza presente in quantità maggiore, il soluto (o soluti) è (sono) la sostanza (o sostanze) presente in quantità minore. Il punto di ebollizione elevato (100°C) permette all'acqua di restare allo stato liquido a temperatura ambiente; inoltre, la polarità elettrica delle sue molecole permette all'acqua di essere un buon solvente per sali e molecole che presentano legami polari.
Oltre a costituire l'ambiente in cui avvengono le principali reazioni chimiche, l'acqua ha la proprietà fisica di assorbire il calore metabolico prodotto nel nostro organismo. Inoltre, l'acqua è componente preponderante del tessuto vascolare, rappresentato dai liquidi circolanti (sangue e linfa) cui spetta la funzione di irrorare i tessuti e gli organi del corpo, trasportandovi ossigeno e sostanze nutritive e prelevandovi sostanze di rifiuto del metabolismo e della respirazione. La quantità di acqua che l'organismo richiede giornalmente non può essere totalmente prodotta per via metabolica né ottenuta dai cibi ingeriti, per cui dobbiamo fare molta attenzione alla quantità di liquidi che ingeriamo abitualmente. Un bilancio idrico negativo può compromettere il nostro stato di salute, come vedremo.
L'acqua corporea totale (Total body water, TBW) è maggiore nei bambini (circa 77% del peso corporeo) e diminuisce con l'età (circa il 60% del peso di un individuo adulto).
Composizione corporea di un adulto di 70 kg (da Improving food qualità and preventing disease, Rowett Research Institute).
L'acqua corporea totale comprende il liquido intra-cellulare (65%) e quello extra-cellulare (35%) che include a sua volta liquido interstiziale, plasma e linfa. Avviene uno scambio continuo di acqua attraverso le membrane cellulari per mantenere l'equilibrio osmotico fra fluidi intra ed extra-cellulari.
L'osmolarità esprime la concentrazione di una soluzione, sottolineando il numero di particelle di soluto presenti nella soluzione stessa. L'osmosi è il passaggio spontaneo di un solvente (che nei sistemi biologici di solito è l'acqua), dalla soluzione in cui i soluti sono più diluiti a quella in cui sono più concentrati attraverso una membrana semipermeabile, cioè liberamente permeabile solo all'acqua. La diffusione avviene nella direzione che tende a rendere uguali le pressioni osmotiche nei due compartimenti. La pressione che occorre applicare alla soluzione affinché il passaggio del solvente non avvenga è detta pressione osmotica.
Il bilancio idrico del corpo umano dipende dalla differenza netta fra introduzione/produzione e perdite. Oltre all'acqua introdotta con gli alimenti (20-30% del totale) e con le bevande (70-80%), che viene assorbita nell'intestino, esiste una produzione endogena di acqua di origine metabolica, prodotta dalla respirazione cellulare. È il metabolismo dei carboidrati che contribuisce maggiormente alla produzione di acqua metabolica (10-12%). Le perdite di acqua avvengono per via respiratoria (vapore acqueo nell'aria espirata dai polmoni, 250-350 ml/die), cutanea (sudore, 450 ml/die a temperatura ambiente), renale (urine, 1000-2000 ml/die) e gastrointestinale (feci, 100-200 ml/die). In condizioni basali, a riposo e alla temperatura ambiente di 20 °C, le perdite di acqua sono inferiori ad 1 ml/minuto; con l'attività fisica e l'aumento della temperatura ambiente le perdite possono arrivare a 14-17 ml/minuto. Poiché l'acqua corporea totale deve restare relativamente costante nell'arco delle 24 ore, il volume di liquidi introdotto deve essere mediamente uguale o superiore al fabbisogno. Quando la temperatura corporea sale, l'unico meccanismo per disperdere il calore è la sudorazione. L'attività fisica, specialmente se in ambiente caldo-umido, può far perdere fino a 1-2 litri di acqua all'ora e, essendo il sudore ipotonico (cioè contiene più acqua che elettroliti), può comportare disidratazione e iperosmolarità del liquido extracellulare. Nel così detto colpo di calore la temperatura corporea sale repentinamente per insufficiente dispersione del calore mediante sudorazione.
La quantità di acqua ingerita è principalmente regolata dal meccanismo della sete: il centro della sete si trova nel cervello (ipotalamo) ed elabora segnali provenienti da diversi recettori che segnalano un aumento di osmolarità o una diminuzione dei volumi dei liquidi corporei. Anche la quantità di acqua riassorbita a livello renale (e quindi la quantità di acqua eliminata con le urine) è regolata in base a volume e osmolarità dei liquidi corporei mediante complessi meccanismi recettoriali e ormonali.
Nonostante l'importanza di un'idratazione adeguata, l'acqua è invece spesso dimenticata nelle raccomandazioni dietetiche. Un apporto idrico abitualmente insufficiente aumenterebbe il rischio di infezioni delle vie urinarie e quello di calcolosi sia delle vie urinarie che della cistifellea. L'Istituto di Medicina (Institute of Medicine, IOM, of the National Academy of Sciences) ha stabilito il fabbisogno medio giornaliero di acqua per fasce di età (www.iom.edu/).
Età Acqua totale, L/giorno
Bambini 0-6 mesi 0,7
Bambini 7-12 mesi 0,8
Bambini 1-3 anni 1,3
Bambini 4-8 anni 1,7
Ragazzi 9-13 anni 2,4
Ragazze 9-13 anni 2,1
Ragazzi 14-18 anni 3,3
Ragazze 14-18 anni 2,3
Uomini 19-70+ anni 3,7
Donne 19-70+ anni 2,7
La perdita di acqua e sali minerali può generalmente essere reintegrata con una dieta sana, ricca di verdura, frutta e acqua. Le linee guida per una sana alimentazione sono disponibili nel sito dell'Istituto Nazionale di Ricerca per gli Alimenti e la Nutrizione, I.N.R.A.N. (http://www.inran.it/). Cosa bere? L'acqua è definita potabile quando è limpida, trasparente, incolore, non contiene sostanze dannose alla salute né batteri patogeni e se la quantità di sali in essa disciolta è piuttosto contenuta.
L'Organizzazione Mondiale della Sanità ha fissato le caratteristiche chimiche e batteriologiche che un'acqua potabile deve avere; i limiti di tolleranza per quelle sostanze chimiche che possono avere effetti sulla salute sono state indicati nell'Annesso IV del documento intitolato Guidelines for drinking-water quality (http://www.who.int/water_sanitation_health/dwq/gdwq3rev/en/index.html). Per quanto riguarda l'uso delle acque minerali, le raccomandazioni dell'Istituto Superiore di Sanità per i consumatori sono le seguenti: 1) preferire a tavola il consumo di acque oligominerali e mediominerali; 2) evitare il consumo di acque eccessivamente addizionate di anidride carbonica in quanto, se pur più dissetanti, provocano un aumento dell'acidità;
3) verificare i valori dei sali riportati in etichetta che più si adattano alle proprie esigenze metaboliche (ad esempio, contenuto di sodio, residuo fisso, ecc.); 4) controllare l'integrità del contenitore e la data di scadenza; 5) occhio al prezzo: non è detto che il prodotto più caro sia necessariamente il migliore. (http://www.iss.it/pres/prim/cont.php?id=662&lang=1&tipo=6).
La perdita del 1-2% dell'acqua corporea può già compromettere le funzioni cognitive, lo stato di coscienza e il rendimento fisico. Una disidratazione del 10% del peso corporeo comporta rischio di insorgenza del colpo di calore e mette in pericolo la stessa sopravvivenza. Lo stato di idratazione può essere valutato in modo non invasivo mediante all'analisi dell'impedenza bioelettrica (bioimpedenziometria); esistono anche indicatori ematochimici (come l'osmolarità plasmatica, la sodiemia e l'azotemia) e urinari (volume e colore delle urine, densità, osmolarità).
Problemi di idratazione possono insorgere in caso di febbre, vomito o diarrea. Di seguito riporto una tabella nella quale sono comprese alcune delle cause di disidratazione. Una parte di questi problemi si riscontra nei malati mitocondriali.
Alcune cause di disidratazione
Ridotta assunzione di liquidi Mancanza di liquidi disponibili, alterazioni dello stato di coscienza,
lesioni delle prime vie digestive
Aumento delle perdite gastrointestinali Vomito, diarrea
Aumento delle perdite urinarie Diabete mellito scompensato, diabete insipido, uso di diuretici, malattie renali
Aumento delle perdite cutanee Infiammazioni cutanee, ustioni, ipertermia, eccessiva sudorazione
Aumento delle perdite respiratorie Iperventilazione, ridotta umidità dei gas inspirati
I bambini e gli anziani sono maggiormente esposti al rischio di disidratazione perché hanno meccanismi di allarme e di compenso meno efficienti. Segni e sintomi di disidratazione sono la sete, senso di affaticamento, apatia, mal di testa, rossore cutaneo, crampi muscolari, intolleranza al calore, vertigini, secchezza di mucose e cute, riduzione della produzione di urine, ipotensione, tachicardia. Brusche variazioni del peso corporeo possono segnalare perdite equivalenti di liquidi.
E' consigliabile bere spesso, bere in piccole quantità e bere lentamente (soprattutto se l'acqua è fredda). Preferire l'acqua e consumare invece con moderazione quelle bevande che contengono zuccheri e/o caffeina (aranciata, cola, succhi di frutta, tè, caffè). In caso di vomito e/o diarrea, sono disponibili in farmacia soluzioni reidratanti orali, contenenti glucosio e sali, che fanno riferimento alle indicazioni dell'Organizzazione Mondiale della Sanità o della Società Europea di Gastroenterologia Pediatrica, Epatologia e Nutrizione (ESPGHAN, European Society for Pediatric Gastroenterology, Hepatology and Nutrition). La soluzione raccomandata dall'OMS contiene 90 mmol/litro di sodio, 20 mmol/litro di potassio, 80 mmol/litro di cloruro, 30 mmol/litro di bicarbonato e 111 mmol/litro di glucoso; può essere preparata aggiungendo a 1 litro di acqua 3.5 g di cloruro di sodio, 2.5 g di bicarbonato di sodio, 1.5 g di cloruro di potassio e 20 g di glucoso. E' opportuno che l'osmolarità delle soluzioni reidratanti non superi i 300 mosmol/litro.
In conclusione, l'acqua è un nutriente essenziale che svolge ruoli critici nel corpo umano: elemento costitutivo, solvente, mezzo di reazione, reagente e prodotto di reazione, veicolo dei nutrienti e delle scorie metaboliche, termoregolatore, lubrificante ecc. Di conseguenza, il funzionamento ottimale del nostro organismo richiede un buon livello di idratazione; la regolazione del bilancio idrico è precisa e indispensabile al mantenimento dello stato di salute.
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