Alimentazione & Benessere ​Dott. Ignazio Madonia
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Dieta e calcoli renali

15/11/2010

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Il ruolo della dieta nella comparsa dei calcoli renali non è ancora stato pienamente chiarito. Quel che è certo è che nessun tipo di calcolosi può essere ricondotto unicamente ad un'alimentazione scorretta. Il più delle volte alla base del problema esiste infatti una predisposizione di origine genetica. Per questo motivo non può esistere una dieta precisa ed universale per evitare che si formino i calcoli. Un'unica raccomandazione trova un consenso unanime da parte di medici e ricercatori: per evitare la formazione di calcoli renali è fondamentale mantenere idratato l'organismo assumendo le giuste quantità di liquidi con la dieta.
Oltre alla ridotta assunzione di liquidi alcune abitudini alimentari possono favorire la comparsa di calcoli renali in individui predisposti.

CARNE e CALCOLI RENALI: alcuni studi hanno dimostrato che una dieta ricca di carne conduce più frequentemente ad una calcolosi renale. A causa dell'eccessivo consumo di proteine l'urina diviene più acida ed aumenta la quota d'eliminazione di ossalati, calcio e acido urico, mentre si abbassa quella dei citrati (sostanze che impediscono la precipitazione di questi sali).

Nel caso vi sia una predisposizione a calcoli renali di origine calcica, mista (ossalico-calcica) e soprattutto urica (accumulo di acido urico) vanno limitati tutti quegli alimenti ricchi di purine come: acciughe, aringhe, sardine, crostacei, fegato, animelle, rognoni, cuore, selvaggina, oche e piccioni. Va invece incoraggiata l'assunzione di alcalinizzanti urinari come il citrato di potassio o il bicarbonato di sodio.
Essendo ricchi di metionina (un aminoacido precursore della cistina) i prodotti ricchi di proteine andrebbero limitati anche in presenza di calcoli renali di origine cistinica.

SALE e CALCOLI RENALI: una dieta ricca di sale aumenta l'escrezione urinaria di calcio favorendo la formazione dei calcoli renali. Per questo motivo e per evitare altre spiacevoli condizioni (ipertensione, sovrappeso, osteoporosi) si consiglia di non assumere più di 8 grammi di sale al giorno. In particolare è bene fare attenzione a snack e cibi confezionati in genere che sono fonti "nascoste" ma molto importanti di sodio.

CALCIO E CALCOLI RENALI: il ruolo del calcio nella formazione dei calcoli renali è stato da sempre oggetto di numerosi studi e ricerche. Oggi si è giunti alla conclusione che una dieta ricca di calcio non solo non predispone alla calcolosi delle vie urinarie ma la previene riducendo l'assorbimento di acido ossalico. Viene perciò raccomandato un apporto giornaliero di 1200 mg di calcio di cui 800 mg forniti da latticini.

Un eccesso di ossalato si è invece dimostrato particolarmente dannoso in quanto fattore predisponente alla formazione di calcoli (specie se accompagnato ad un ridotto consumo di liquidi). L'ossalato è ubiquitario (si trova un po' dappertutto), ma alcuni alimenti ne sono particolarmente ricchi:  cioccolata, nocciole,  coca cola e  bevande gassate in genere, succhi di frutta, the,cavoli, piselli, asparagi, spinaci, rabarbaro
Bisogna comunque sottolineare che in caso di iperproduzione fisiologia di ossalato, ridurre il consumo di questi alimenti previene sì i calcoli renali, ma lo fa soltanto in maniera marginale. Ciò che conta, ancora una volta, non è tanto l'introduzione complessiva di ossalati quanto la relativa quantità di liquidi presenti nella dieta.

DOLCI E CALCOLI RENALI: un consumo smisurato di zuccheri con la dieta, aumenta l'eliminazione di calcio nell'urina e, di conseguenza, il rischio che si formino dei calcoli. Inoltre alcuni ingredienti tipici dei dolci (cacao) sono particolarmente ricchi di ossalato.

FIBRE E CALCOLI RENALI: in presenza di calcolosi delle vie urinarie è consigliata una dieta ricca di scorie in quanto l'acido fitico contenuto negli alimenti di origine vegetale (verdura, frutta e cereali integrali) si lega con il calcio formando composti insolubili e non assorbibili. Frutta e verdura aumentano inoltre l'eliminazione di citrati, sostanze molto efficaci nell'impedire la formazione dei calcoli. Per questo motivo il succo di limone, che contiene circa il 5-7% di acido citrico, è l'alimento ideale per chi soffre di calcoli renali.

POTASSIO E CALCOLI RENALI: secondo alcuni Autori gli alimenti ricchi di  potassio (fagioli, albicocche, piselli, patate, aglio e frutta secca) ridurrebbero l'escrezione urinaria di calcio senza interferire con l'assorbimento intestinale dello ione.

VITAMINA D E CALCOLI RENALI: un eccesso di vitamina D nella dieta, peraltro difficilmente realizzabile con la sola alimentazione, favorisce l'assorbimento intestinale di calcio causando ipercalcemia (eccesso di calcio nel sangue) e ipercalciuria (eccesso di calcio nelle urine). Tale evenienza potrebbe verificarsi in un paziente che assume regolarmente integratori di calcio e vitamina D per combattere o prevenire l'osteoporosi.

VITAMINA C E CALCOLI RENALI: anche un eccesso di vitamina C nella dieta favorirebbe la sintesi di calcoli renali a causa dell'aumentata produzione di ossalati. Si tratta anche in questo caso di un'ipotesi difficilmente realizzabili date le enormi quantità di vitamina C necessarie (10 g). Tali livelli sono praticamente irraggiungibili con la normale alimentazione (anche se integrata da multivitaminci).

ACQUA, CALCIO E CALCOLI RENALI: più che la qualità è importante valutare la quantità di acqua e più in generale di liquidi assunti con la dieta (brodo, tisane, succhi di frutta, etc). Le persone predisposte ai calcoli renali dovrebbero pertanto sforzarsi di bere abbondantemente e ripetutamente nel corso della giornata (almeno 2 litri di acqua). In caso di predisposizione individuale o per prevenire future recidive tale quota va aumentata fino a 3 litri (IDROPINOTERAPIA).

In generale più che la quantità complessiva di liquidi è importante adattare l'apporto idrico alla situazione ambientale. Il controllo visivo dell'urinazione è un esame molto semplice che il paziente può effettuare per controllare il proprio stato di idratazione. In particolare le urine non devono mai apparire troppo scure o concentrate, dato che tale caratteristica aumenterebbe il rischio di formare calcoli renali.
Per allontanare il rischio di calcolosi delle vie urinarie è molto importante che la quantità di liquidi venga suddivisa equamente nell'arco della giornata, bevendo un po' d'acqua anche prima di coricarsi. Vanno invece evitate alcune bevande come il tè concentrato (ricco di ossalati), coca-cola (molto acida) ed alcolici (innalzano i livelli d'escrezione dell'acido ossalico e dell'acido urico).
Nonostante alcuni studi abbiano dimostrato che anche le acque minerali ricche di calcio possono costituire un fattore protettivo, in presenza di calcolosi si consiglia l'utilizzo di acque minimamente mineralizzate che, in quanto povere di sali minerali, favoriscono la diuresi e facilitano l'espulsione di piccoli calcoli renali.

ALIMENTI CONSIGLIATI:

LIMONE: l'acido citrico in esso contenuto ha potere solvente sui calcoli renali facilitandone lo scioglimento ed impedendone la formazione

CIPOLLA: ha un potente effetto diuretico e favorisce l'eliminazione dell'acido urico

PREZZEMOLO: stimola l'appetito e la digestione, favorisce la diuresi eliminando piccoli calcoli renali

SEDANO: ha proprietà  diuretiche, con un'efficace azione drenante sul fegato e sulle vie respiratorie; è pertanto utile in caso di calcoli renali ed insufficienze epatiche

CARCIOFO, CAVOLO, MELA E ORTICA: aumentano l'escrezione di urina
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Caffè in gravidanza

14/11/2010

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Caffè in gravidanza con moderazione
Vi sono risultati contrastanti sull'effetto del caffè sullo sviluppo fetale anche perché in genere la gestante forte consumatrice di caffè è anche una fumatrice e, quindi, non è facile separare l'effetto dei due fattori; va anche rilevato come troppo spesso ci si fidi delle dichiarazioni delle donne sia circa le abitudini fumatorie sia nei confronti dei consumi di caffé. Presso il St. George's Hospital di Londra vera culla della Medicina Sociale inglese "al letto del malato" su più di 2.000 gestanti seguite nel corso della gravidanza si è provveduto a controllare le dichiarazioni sui consumi tabagici mediante determinazione della cotinina (un metabolita della nicotina nel plasma) ed a studiare sia l'attendibilità delle dichiarazioni sui consumi di caffè sia il metabolismo della caffeina attraverso periodiche determinazioni della quantità di caffeina nel plasma.

Intanto si è confermato che le fumatrici consumano un 50% di più di caffeina rispetto alle gestanti non fumatrici: tuttavia si ha una accelerazione del metabolismo della caffeina tale da determinare tassi di caffeina nel plasma più bassi. Tuttavia la quantità di caffeina consumata durante la gravidanza - quale derivante dalle dichiarazioni delle gestanti - è associata in senso negativo con il peso alla nascita, ma attenzione solo fra le fumatrici. Pertanto, sembra ragionevole consigliare alle donne che hanno smesso di fumare in gravidanza di ridurre l'apporto di caffeina (caffè ma anche tè).

Ma come agisce il caffè nel feto? forse bloccando i recettori dell'adenosina la caffeina interferisce con le normali risposte fisiologiche all'eccesso di carbossiemoglobina che si ha nel circolo materno e, quindi, accentuando gli effetti del fumo sull'uptake dell'Ossigeno, ma tale ipotesi non tiene conto del possibile effetto della nicotina (effetto presupposto sulla base di quanto avviene in analogia fra le gestanti che masticano tabacco).

Il sistema scandinavo di bollire il caffè come infuso (ma anche sistema turco) secondo ricerche olandesi di confronto con il caffè filtrato aumenta le aminotransferasi alaniniche le LDL a causa della presenza di deterpeni che passano nell'infuso (il caestol e il kahweol) di diretta derivazione dai semi; questo non si verifica con il caffè filtrato. Ora mentre il lieve aumento degli enzimi epatici potrebbe essere trascurabile quello del colesterolo dovrebbe indurre ad allargare anche al caffè la dieta mediterranea!

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Alimenti ricchi in ferro

14/11/2010

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Il ferro entra nella costituzione dell'emoglobina, della mioglobina e di diversi enzimi. Come tale svolge importanti funzioni, quali il trasporto di ossigeno ai tessuti, il trasferimento di elettroni nella catena respiratoria e l'attività di importanti sistemi enzimatici. Tra questi quelli della sintesi e degradazione delle amine piogene (tra i quali la dopamina e la serotonina). Il contenuto di ferro nell'organismo è di circa 3 - 4 g. Circa il 65% del ferro totale dell'organismo è presente nella molecola dell'emoglobina mentre il 10% è contenuto nella mioglobina.

L'organismo mantiene l'equilibrio del ferro attraverso:
a)La costituzione di un pool di riserva
b)La modulazione dell'assorbimento in funzione dei bisogni
c)Il recupero dal catabolismo degli eritrociti (i globuli rossi).


La quantità di ferro che introduciamo con la razione alimentare è sovente limitata cosicchè la maggior parte delle raccomandazioni nutrizionali insistono nel consigliare un aumento negli apporti di ferro. Il ferro entra nella costituzione di importanti strutture dell´organismo. Esso è attivamente legato al trasporto di ossigeno nel sangue, giacchè partecipa alla struttura di una proteina (l´emoglobina) che funge da veicolo per questa importante funzione. Il ferro è inoltre presente in molti enzimi, cioè in quelle sostanze proteiche che esercitano alcune attività vitali fondamentali.
La carenza degli apporti di ferro è stata messa in relazione con le situazioni di anemia che sovente si riscontrano nei bambini. Anche le donne in età fertile e gli anziani sono gruppi di popolazione facilmente "a rischio" per quanto riguarda il soddisfacimento delle esigenze di questo minerale. Il ferro è contenuto in una grande varietà di alimenti, ma in quantità molto piccole. In realtà solo la carne, e soprattutto la carne delle interiora (fegato, rene, cuore, etc) è una buona fonte di ferro. Molti alimenti di origine vegetale che sono una fonte abbastanza sostenuta di ferro sono sempre più marginali nelle nostre abitudini alimentari: legumi, frutta secca in guscio, vegetali a foglia (broccoli, spinaci, etc. ).
Varie preoccupazioni hanno condotto le autorità sanitarie a stendere, per il ferro, obiettivi di ingestione sovente superiori a quelli di sicurezza, onde evitare la diffusa sottovalutazione degli apporti di questo minerale e onde garantire, anche per i gruppi di popolazione più a rischio, il raggiungimento di livelli di apporto almeno sufficienti. Nel nostro Paese, la varietà delle abitudini alimentari è un elemento di relativa salvaguardia: altrove infatti, si ricorre spesso alle "fortificazioni" degli alimenti in ferro (cioè all'aggiunta artificiale di ferro nei prodotti alimentari) o all'impiego di integratori farmaceutici.

I Fabbisogno di Ferro

I fabbisogni quotidiani di ferro dipendono nel modo consueto dall´età e dal sesso, ma sono particolarmente elevati nell'infanzia e nelle donne in età fertile, giacchè le perdite mestruali devono essere prontamente reintegrate. Nei primi mesi di vita la riserva di ferro accumulata nel feto durante la gravidanza è sufficiente a compensare la relativa carenza di questo elemento nel latte materno prima ed in quello di vacca poi. Durante il primo svezzamento particolare cura deve essere posta nelle scelte di alimenti idonei a garantire un sufficiente apporto di ferro; per tale ragione i prodotti speciali (farine lattee, cereali formulati, latti adattati) sono opportunamente arricchiti in questo minerale. L´apporto di ferro deve inoltre essere attentamente considerato dalle adolescenti: in questa condizione i livelli raccomandati (18 milligrammi al giorno) possono essere raggiunti solo con un consumo idoneo di carne, pesce, uova, vegetali.

Bambini: nei primi mesi di vita, il neonato termina di utilizzare le riserve di ferro accumulate nell' utero. Il deficit comincia dopo il 6° mese di vita, quando la velocità di crescita va al massimo. Per evitare deficit si consiglia di allattare il bambino fino al 6 mese di vita, poiché il ferro del latte umano è altamente disponibile, ed introdurre nella dieta cibi ricchi di ferro come la carne e il pesce.

Adolescenti: situazione carenziali possono determinarsi durante l'adolescenza, quando il fabbisogno di ferro è particolarmente elevato in relazione all'accelerazione della crescita. Nelle ragazze l'inizio delle perdite ematiche con le mestruazioni concorre a rendere precario l'equilibrio marziale. Si raccomanda un' assunzione da 12 a 18 mg/die.

Gravidanza e allattamento: 18 mg/die.

RUOLO: trasporto dell´ossigeno, componente di molti enzimi.

CARENZA: la carenza di ferro è responsabile dell'anemia. Clinicamente l'anemia da carenza di ferro si presenta con astenia, pallore, tachipnea, affaticabilità nel lavoro. I sintomi dell'anemia possono anche essere causati da una carenza delle vitamine B6, B12, C e E.
E' più probabile che un'anemia da carenza di Ferro si manifesti nelle donne, specie durante la gravidanza.

ECCESSO: disfunzione epatica, pancreatica e cardiaca.

Un'intossicazione di tale elemento porta:
mal di testa;
depressione;
dispnea;
perdita di peso;
vertigini.
Poichè esso è un antagonista dello Zinco, integratori a base di ferro non possono essere somministrati senza un adeguato controllo dello Zinco.


ALIMENTI CHE LO CONTENGONO: carne, frattaglie, albicocche, alghe, asparagi, avena, banane, barbabietole, carciofi, carote, cavolo rosso e verde, cipolle, datteri, fagiolini, fagioli secchi, fave, fragole, frutta fresca e secca, germe di grano, girasole, insalata verde, kiwi, lattuga, lenticchie, lievito di birra, limoni, mandorle, melassa, mele, mirtilli, more, nocciole, olive verdi, pane integrale, pesche, pere, pinoli, piselli secchi, pomodoro, porri, prezzemolo, propoli, prugne, radicchio, rabarbaro, rape, ribes nero, sciroppo di canna e di sorgo, sedano, sesamo, soia (farina), spinaci, uva, uva passa.



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I sostituti della carne per dare proteine ai bambini

14/11/2010

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I bambini sono sempre in movimento: la scuola, il tempo libero, lo sport richiedono energia ed in ogni caso, per crescere bene, hanno bisogno di assumere tutte le proprietà nutritive in modo bilanciato. Tra queste un ruolo fondamentale lo giocano le proteine, particolarmente utili alla loro crescita: si calcola che in media un bambino in età scolare tra i 6 e gli 11 anni necessiti di circa 1 grammo e mezzo di proteine al giorno per ogni chilo di peso. Fatte le dovute proporzioni, è una quantità maggiore rispetto al fabbisogno dell’adulto.

Ma come si può coprire correttamente questo fabbisogno evitando di dare al bambino sempre e solo la carne? Ed è vero che un bimbo senza la carne non cresce bene?

Esistono numerose alternative a questo alimento che possono sostituire la bistecca variando il gusto e supportando al meglio la crescita.
Ad esempio i legumi uniti ai cereali con la pasta, integrano infatti il loro patrimonio di aminoacidi incrementando così il loro valore biologico. Questa associazione aumenta quindi il valore delle proteine alternative alla carne. Un unico accorgimento che va preso in caso di problemi di meteorismo è che i legumi vanno sempre lessati e passati in modo che restino senza la buccia, responsabile del gonfiore. Un’altra combinazione efficace è quella che consiste nell’unire il formaggio (perfetti sono il grana o il parmigiano reggiano) alla pasta oppure al pane. E’ importante sottolineare che, invece, vanno possibilmente evitati i formaggi troppo grassi come ad esempio il mascarpone.
Le uova racchiudono la migliore qualità di proteine in assoluto, e quindi vanno benissimo per la crescita sana dei bambini, ma non vanno date ai più piccini più di 2-3 volte la settimana.
Infine due parole sul pesce, un alimento sano ed assolutamente indicato purché gradito come sapore ai più piccoli. Sono consigliati la sogliola, il merluzzo ed in generale tutto il pesce azzurro, che è una fonte di proteine e di acidi grassi Omega 3, fondamentali per la salute del cuore e dell’apparato circolatorio e per un armonioso sviluppo muscolare. Bisogna cucinarli nel modo più naturale possibile: alla griglia senza troppi condimenti, al vapore o in forno al cartoccio.

Allergia alla carne, questi i sintomi

Al di là del fatto che far mangiare carne ai bambini tutti i giorni non serve ed anzi, può contribuire all’accumulo di scorie nocive, esistono casi in cui i più piccini manifestano i sintomi di una vera e propria allergia alla carne bovina. Le statistiche confermano che oggi questo disturbo colpirebbe un bambino su 300 già nei primi anni di vita, e spesso si accompagna all’allergia al latte vaccino. A causare l’allergia alla carne è una proteina, la sieroalbumina, che quando viene ingerita provoca rapidamente delle reazioni visibili e caratteristiche: eczema, mal di pancia, nausea, cefalea, gonfiore alle labbra.
Eliminare la carne totalmente non serve: la cura consiste nel somministrarla al piccolo in quantità minime, sotto forma di bocconcini bolliti almeno per mezz’ora. Oppure si può sostituire la carne bovina con quelle di pollo, tacchino, coniglio, cavallo o con le fonti di proteine alternative: legumi, pesce, latti vegetali. A questo proposito si può dire che un bimbo tra 6 ed 11 anni dovrebbe assumere circa 250 calorie al giorno sotto forma di latte e derivati, a meno che non sia intollerante al lattosio contenuto in questi alimenti. Se il latte vaccino crea problemi, si può optare per i latti vegetali: di riso, di avena, di mandorle, che sono ugualmente proteici e gustosi e vengono trasformati anche in yogurt. Va bene anche il latte di capra, a patto che il bimbo ne gradisca il sapore vagamente salato. Il latte di soia va somministrato gradualmente e a piccole dosi: in alcuni soggetti può scatenare allergie.

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Colite e morbo di Crohn

14/11/2010

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La colite ulcerosa e il morbo di Crohn sono malattie che colpiscono l’apparato intestinale e vengono definite generalmente col nome di malattie infiammatorie dell’apparato intestinale. La colite ulcerosa è un’infiammazione del rivestimento del colon, o intestino crasso, caratterizzata da diarrea con perdite di sangue.
Il morbo di Crohn può colpire nello stesso modo qualsiasi parte dell’apparato digerente ed è caratterizzato da dolori addominali, diarrea o stitichezza e perdita di peso. Se non guarisce con i farmaci si deve ricorrere quasi sempre all’intervento chirurgico. In passato veniva definito come ileite ed enterite. Questo disturbo colpisce spesso gli adolescenti che hanno bisogno di un sostegno emotivo.
Benché le cause della malattia siano sconosciute, vi è di solito una relazione tra la colite e lo stile di vita segnato dalla presenza di depressione o ansia. Il grado di stress emotivo di una persona è legato alla gravità della sua colite. La carenza di vitamina K è stata associata alla colite ulcerosa. La carenza di acido pantotenico causa disturbi addominali, vomito e crampi. Nei malati di colite può manifestarsi carenza di fosforo.
La malattia allo stadio iniziale è caratterizzata da crampi o dolori addominali, diarrea e il bisogno di evacuare più volte al giorno. Con l’aggravarsi della malattia, questi sintomi sono accompagnati da sanguinamento rettale. Invece di venire assorbiti dall’organismo, l’acqua e i minerali vengono rapidamente eliminati attraverso la parte inferiore del canale alimentare, provocando perdita di peso ed eventualmente disidratazione e anemia. A causa di questa rapida eliminazione e del minore assorbimento dell’acqua e degli elementi nutritivi, la situazione nutritiva del paziente colitico è molto precaria. L’anoressia accompagna spesso questa malattia a causa dei sintomi ad essa connessi.

La dieta terapeutica per la colite varia, perché alcuni alimenti possono essere irritanti per un individuo e non per un altro, ma dovrebbe essere in ogni caso povera di grassi e ricca di fibre (ad eccezione dei momenti in cui la malattia è in fase acuta), proteine e di acidi grassi insaturi per riformare i tessuti persi o consumati. E’ stato scoperto che il lievito del pane o di alimenti simili come i dolci, è irritante per l’intestino dei malati di colite.
Gli studi più recenti hanno messo in evidenza alcuni alimenti particolarmente irritanti per l’intestino: derivati del latte, verdure crocifere come cavoli e cavolfiori, mais, grano, pomodori, agrumi e uova. Bisognerebbe controllare che gli oli vegetali consumati abbiano un giusto equilibrio tra Omega 6 e Omega 3. L’olio di lino può essere mischiato con oli ricchi di omega 6 per dargli un giusto equilibrio. L’olio di colza contiene entrambi gli acidi grassi. I grassi saturi (Omega 6) favoriscono l’infiammazione e la diarrea. Si consiglia di fare pasti piccoli e frequenti. Il miglior modo di trovare la propria dieta personale è provare parecchi alimenti ed eliminare quelli che sono irritanti per l’intestino. I cibi ricchi di fibre grezze, come frutta e verdura cruda e i cereali integrali che non irritano (il riso completo se gli altri non possono essere consumati) sono buone fonti di fibre. Per diminuire l’irritazione delle pareti intestinali, pur mantenendo un’alimentazione adeguata si consiglia di aggiungere crusca di riso o di altro tipo ai cereali e ai succhi, frullare la verdura cruda o cotta a vapore, o consumare alimenti per bambini. L’aglio consumato in grande quantità e in qualsiasi forma combatte le infezioni.
L’acqua pura o la gassosa può essere utilizzata per sostituire i liquidi persi con la diarrea. Qualche volta il latte e i suoi derivati non sono tollerati, si rende quindi necessaria un’integrazione di calcio. Esiste un tipo di latte senza lattosio. Bisogna evitare il latte molto grasso e i formaggi. Evitate di usare grassi per la cottura degli alimenti, preferite la cottura al forno o alla griglia. Evitate anche i semi e la frutta secca. Alcuni frutti che contengono fruttosio, come le pesche, le pere, le prugne, le susine e il succo di mela, possono irritare il rivestimento dell’intestino e dovrebbero quindi essere consumati insieme ad altri alimenti o dopo il pasto. Bisognerebbe evitare anche le carni rosse grasse, i dolcificanti, i cibi industriali, la caffeina, il tè, il cioccolato, la coca cola e tutti gli alimenti irritanti.
L’acidophilus viene utilizzato per mantenere l’intestino in buona salute. Il ferro è necessario per evitare l’insorgere dell’anemia e la vitamina C per favorire l’assorbimento del ferro. La vitamina B6 insieme al magnesio viene somministrata per iniezioni per rilassare i muscoli e controllare il colon spastico.

L’esercizio fisico è importante, particolarmente lo stretching che migliora la digestione. Anche la forza dell’addome è importante. Avere una vita attiva è positivo per tutti gli aspetti della vita, soprattutto per migliorare la fragile situazione emotiva dei malati di colite.
Le erbe benefiche nel trattamento dei disturbi intestinali sono la camomilla (l’eccesso causa diarrea), l’infusione di lobelia, l’olmo americano (calma il colon), il trifoglio, il polline (regola l’intestino, diminuisce i problemi di prostata), il pau d’arco, il carbone per i gas (deve essere preso ad un’ora di distanza dagli altri integratori o farmaci), il prezzemolo (sempre per i gas), i semi di finocchio, lo zenzero, il ginepro, il tarassaco, la consolida (per la gastrite), il partenio, il peperoncino rosso (per il dolore e l’infiammazione), l’erba gattaria e l’achillea. La scutellaria è un sedativo naturale per combattere il nervosismo e la radice di valeriana calma l’intestino e lo stomaco nervoso.
Le persone alle quali la colite causa stitichezza possono prendere lassativi naturali come la consolida, la pepsina, il cardo in una base di senna e la triphala ayurvedica. Il succo di aloe vera favorisce la cicatrizzazione del colon per chi soffre di colite ulcerosa. Il clistere di gramigna dà sollievo al dolore causato dai gas intestinali e pulisce il colon dalle scorie residue. Anche l’alfalfa è utile per i gas intestinali. Il GLA (olio di enotera) è indicato per la funzionalità gastro-intestinale. Gli alginati (alghe) sono una forma naturale di anti-acidi. I rimedi omeopatici sono Mercurius corrosivus 6C, Arsenicum album 6C e Podophyllum 6C.
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Il chitosano

14/11/2010

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Venuto recentemente di moda, il chitosano è una sostanza conosciuta da molto tempo, essendo stata scoperta intorno alla metà dell'800. Si tratta di un polisaccaride, ovvero una molecola costituita da dei gruppi che hanno a che vedere con il glucosio (più precisamente, con la glucosammina) e che formano una catena. Così come avviene ad esempio con la cellulosa, o -in forma di catene corte- con le farine e gli zuccheri composti.
Questa sostanza è usata da tempo per impieghi che non hanno molto a che vedere con la dieta: ad esempio, per la purificazione dell'acqua.
Essa ha infatti la particolarità di "sequestrare", quasi di "assorbire" alcuni elementi come l'olio, alcuni metalli pesanti, eccetera. Il chitosano è stato impiegato proprio per "eliminare" la diffusione di olii sulla superficie delle acque inquinate.
Questa sua caratteristica di "assorbire grassi" è stata recentemente provata anche per uso dietetico. Si è detto: se il chitosano assorbe i grassi, li "circonda" e non li rende digeribili, ecco che può far diminuire la presenza dei grassi nell'intestino, e quindi diminuire l'apporto di calorie. In effetti i grassi "sequestrati" dal chitosano non sono più disponibili per l'assorbimento, e quindi sono eliminati con le feci.
Naturalmente è impensabile pretendere di legare al chitosano tutti i grassi presenti nell'intestino. Il chitosano (ingerito) può "sequestrare" una parte più o meno rilevante di grassi.
La sperimentazione pratica ha confermato questa possibilità, e per giunta, ha messo in rilievo anche un'altra azione positiva: il chitosano tende a sequestrare anche i sali biliari, e il fegato ricorre (per riformarli) all'utilizzo del colesterolo LDL, ovvero al colesterolo "cattivo", che va abbassato a favore del colesterolo HDL, che è invece quello "buono", che tende a "tener pulite" le arterie.
Per contro, l'alterazione dell'assorbimento dei grassi può portare a alterazioni del transito intestinale (es diarrea). Il chitosano è fornito di solito in forma di polvere, e la fibra si"gonfia" assorbendo acqua. E' quindi importante prenderlo assieme ad abbondante liquido.

In conclusione, che dire del chitosano?

Anche qui (come nel caso dell'Orlistat citato tra i farmaci ipolipemizzanti ) occorre dire che gran parte dei "peccati di gola" che molti obesi compiono non riguardano i grassi, ma i carboidrati (pasta, dolciumi...) contro cui il chitosano può far ben poco...
Quindi, si profila un altro aiuto per chi vuol dimagrire. E' chiaro che l'insidia è sempre la stessa: quella di affidarsi al chitosano (o a qualunque altra cosa) dimenticando che nessuna delle sostanze scoperte fino ad oggi permette di dimagrire senza rischi evitando la dieta.
La dieta (e l'allenamento sportivo) sono insomma una strada obbligata. Vi sono diversi espedienti per "aiutare" a percorrere questa strada. Ma non vi è alcun espediente per evitare di percorrerla!

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Sovrappeso e Obesità

13/11/2010

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L’Organizzazione Mondiale della Sanità ha definito l’obesità un’epidemia planetaria dilagante anche nelle
nazioni emergenti (che si affacciano per la prima volta al benessere : paesi dell’est, nord Africa) ; le
statistiche più aggiornate affermano che in Europa l’Italia, alla pari dell’Inghilterra, è seconda solo alla
Germania per numero di persone grasse. Attualmente, per la prima volta nella storia dell’umanità, il numero
dei grassi coincide con quello di chi muore di fame e di stenti. Gli Italiani mangiano meno di 10 anni fa ma
continuano ad ingrassare. Infatti, è sovrappeso: il 47% degli uomini, soprattutto a livello addominale, Il 32% delle donne, comprese le più giovani, Il 12% degli alunni frequentanti la scuola media e il 16% dei giovani delle superiori . 
Inoltre: solo il 24% degli uomini cerca di ridurre il proprio peso in eccesso, perché il 50% lo ritiene
normale, solo l’11% segue una dieta; il 6% cerca di perdere peso facendo attività sportiva, solo il 4% del totale associa lo sport alla dieta.
L’origine dell’obesità e del sovrappeso non è unica, ma multifattoriale. Esiste l’obesità genetica: la tendenza ad
ingrassare ( e ad assumere una certa forma corporea), si eredita dall’albero genealogico, non
obbligatoriamente dai genitori. E’ comunque certo che se uno dei genitori è obeso la probabilità che un figlio lo
diventi è del 30 % , se sono obesi entrambi il rischio supera il 70%. Si ereditano le abitudini alimentari dei
genitori e del clan di appartenenza. Rilevante è l’obesità dovuta all’ alimentazione iperlipidica, (cioè ricca di
grassi) : tutti gli alimenti manipolati industrialmente sono ricchi di lipidi, dallo sconfinato potere calorico
e quindi ingrassante. Nel dopoguerra, sotto forma di grassi alimentari, gli italiani assumevano meno
del 15 % della quota calorica, oggi mediamente ne introducono il 40 %. Non è da sottovalutare l’obesità
dovuta alla modifica dello stile di vita : la struttura familiare è cambiata molto nel corso degli ultimi
decenni. Frequentemente entrambi i genitori lavorano e spesso mangiano in mensa, in paninoteca o al
self service, affidando ad altri la gestione del loro pasto. Quasi nessun componente della famiglia media
passa ore ai fornelli ; i figli pranzano a scuola o dai nonni, durante i pomeriggi, lasciati soli a casa,
mangiucchiano in continuazione a loro piacimento, davanti alla televisione o al computer. Più frequente è l’obesità
dovuta ad un’ alimentazione ipercalorica : tutti mangiano troppo, più volte al giorno (è un classico lo spuntino
serale davanti alla tv). E’ tramontata la figura della madre che prepara piatti equilibrati (mediterranei) : oggi
cucina sempre meno e sempre più spesso risolve il pasto serale con cibo pronto, veloce : formaggio e salumi
sono la regola della cena. Questo modo di nutrirci è qualitativamente squilibrato : poche vitamine, minerali
e fibra alimentare, tradotto in termini semplici significa poca frutta, poca verdura cruda e cotta, pochi legumi e
alimenti integrali. L’obesità è dovuta anche all’attività fisica ridotta:  L’italiano è diventato sedentario, il tempo libero è raramente dedicato al movimento. La maggior parte preferisce nascondersi dietro la cronica mancanza di tempo dovuta al lavoro, alla famiglia, allo studio. Più che all’assunzione smodata di cibo il sovrappeso e l’obesità sono legati allo scarso consumo calorico nello svolgere le normali occupazioni quotidiane, le nuove ricerche spostano l’attenzione dal metabolismo all’anatomia e al funzionamento del tessuto muscolare.
Paradossalmente più l’individuo è grasso, maggiore è la sua incapacità di bruciare molte calorie nello svolgere
attività motoria, l’errore risiede in un difetto di consumo calorico nel salire le scale, usare la bicicletta, spostare i
pesi.
Dov’ è l’errore  metabolico?  Esistono due tipi di fibre muscolari : le fibre di tipo 2 che utilizzano come
propellente gli zuccheri e le fibre di tipo 1 che invece utilizzano soprattutto grassi di deposito. Le persone
obese possiedono una ricchezza di fibre che bruciano zuccheri : è questa la ragione dello scarso consumo
calorico, come dire : più un soggetto è grasso, tanto più l’organismo si oppone al dimagramento.
Da ciò deriva la necessità di associare un adeguato programma di attività fisica al regime alimentare in un progetto
di calo ponderale per gli obesi che devono muoversi di più, allenarsi per consumare maggiore energia : così
facendo si trasformano le fibre di tipo 2 in fibre di tipo 1, perdendo così il peso in eccesso.

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Sindrome di Dumping

13/11/2010

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Per sindrome da dumping si intende l'insieme di sintomi che si producono a breve distanza dai pasti in persone sottoposte a resezione gastrica (dumping in inglese significa svuotamento). Lo stomaco, che in questi pazienti è di dimensioni ridotte, svuota il contenuto ancora mal digerito nell'intestino tenue provocando, per il forte richiamo di sangue e liquidi verso il tubo digerente, un vero e proprio collasso.
La sindrome è costituita da una fase precoce che si verifica entro 30-60 minuti dal pasto, caratterizzata dall'insorgenza di sintomi associati a iperglicemia, quali distensione addominale, diarrea, vomito, tachicardia, nausea, diaforesi, ipotensione, irritabilità oppure letargia. Segue una fase tardiva, 1-4 ore dopo, caratterizzata da ipoglicemia reattiva che si manifesta con sintomi che spesso sono indistinguibili da quelli precoci. Altri sintomi che si possono accompagnare a quelli già descritti sono debolezza improvvisa e intensa, calore, sudorazione profusa, cefalea.
Mentre in età adulta la sindrome da dumping può essere facilmente riconosciuta per le sue tipiche manifestazioni cliniche, nei bambini mancano i classici sintomi gastrointestinali della fase precoce; inoltre i bambini presentano ipoglicemie post-prandiali reattive gravi che possono essere misconosciute. Il mancato riconoscimento o la diagnosi tardiva di questa complicanza è particolarmente frequente nei bambini con gravi problemi neurologici che possono mascherare i sintomi tipici della sindrome.
L'eziologia e i meccanismi fisiopatologici alla base della sindrome da dumping in età pediatrica non sono chiari.
E' certo però che un rapido svuotamento gastrico di soluzioni iperosmolari contenenti carboidrati nel tratto prossimale del tenue determina un richiamo di fluidi nel lume intestinale con conseguente ipovolemia (diminuzione della massa ematica circolante), rapido assorbimento di glucosio, quindi iperglicemia e successivamente ipoglicemia reattiva da risposta insulinica. I sintomi spesso sono scatenati da un pasto ad alto contenuto di zuccheri semplici.
La diagnosi si avvale del test di tolleranza glucidica. Una riduzione del livello glicemico maggiore di 6 mmol/L rappresenta il criterio diagnostico proposto per la DS (dumping sindrome).
Per il trattamento della sindrome, sono state proposte varie strategie nutrizionali, quali l'utilizzo di combinazioni di formule prive di lattosio con carboidrati complessi ed emulsione di grassi, pectina, amido di mais crudo. Tuttavia questi approcci spesso non risultano efficaci soprattutto nel controllare la fase ipoglicemica.
Nella maggior parte dei bambini affetti dalla malattia l'alimentazione enterale continua previene le gravi ipoglicemie reattive, ma questa modalità di nutrizione determina numerose complicanze collegate alla ridotta mobilità e al ritardo dello sviluppo psico-motorio.
Negli ultimi anni alcuni studi hanno dimostrato una buona efficacia terapeutica dell'acarbosio nella stabilizzazione dei valori glicemici anche in età pediatrica. L'acarbosio è un inibitore dell'enzima alfa-glucosidasi che ritarda la conversione degli oligosaccaridi in monosaccaridi e pertanto attenua l'incremento della glicemia post-prandiale e l'ipoglicemia reattiva. La dose utilizzata deve essere personalizzata per il paziente, in base alla risposta glicemica, in modo da raggiungere l'effetto desiderato senza significativi effetti collaterali. Questo trattamento è ben tollerato ed i principali effetti collaterali riportati in età pediatrica sono flatulenza, distensione addominale o diarrea. I pazienti devono essere monitorati per la funzionalità epatica poichè questa terapia comporta un aumento delle transaminasi.

Come prevenire la “sindrome da dumping”?

- Informare ed educare la persona che questo disturbo perdurerà per un tempo limitato (1 – 2 mesi);
- invitare la persona ad assumere pasti piccoli e frequenti (6 – 8 al giorno);
- consigliare la persona di limitare l’assunzione di latte e/o cibi e bevande molto zuccherate;
- invitare la persona a stendersi per circa mezz’ora dopo i pasti (per rallentare il transito del bolo alimentare);
- consigliare l’assunzione di cibi secchi e a modesto contenuto glicidico.

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Quante proteine occorrono al nostro organismo

12/11/2010

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Molte persone si chiedono: di quante proteine ho bisogno per ciascun giorno, per sopravvivere, oppure per fare body-building, o per fare questa o quest'altra attività fisica? Ogni giorno devo mangiare una bistecca, una porzione di carne in scatola, o posso fare il vegetariano? I componenti da cui il nostro corpo parte per costruire i muscoli sono gli amminoacidi. Si tratta quindi di valutare quanti e quali amminoacidi introdurre con l’alimentazione, e dove si trovano questi amminoacidi, in modo da scegliere quei cibi e non altri. Partiamo dal fabbisogno di proteine. Siccome glucidi e grassi non contengono azoto, che invece è contenuto nelle proteine, si dice che: per mantenere le proteine che ci sono nel corpo, ci dovrebbe essere un pareggio nel bilancio dell’azoto.
In altre parole, un po’ di azoto va sempre perso, con le feci, le urine, il sudore, eccetera. Per mantenere i muscoli e i tessuti così come sono, occorre che queste perdite di azoto (ad esempio, con le urine) siano compensate con altrettanti composti a base di azoto che devono entrare con l’ alimentazione.

Se uno deve crescere in muscolatura, questo bilancio deve essere positivo.

Ad esempio, se si perde un po’ di azoto come è inevitabile (le perdite fanno in modo che scenda a -1) e si vuole raggiungere muscolatura +2, deve introdurne 3. L' "1" serve per compensare la normale perdita di azoto, e il "2" serve per incrementare la muscolatura. In totale, va quindi posto nell'alimentazione 3.

Come si valuta il fabbisogno di azoto?

Si usano due metodi: quello basato sulle perdite “obbligate” (come detto, urine, feci o pelle...) chiamato “metodo fattoriale”, oppure il metodo “del bilancio” basato sul calcolo della qualità e quantità delle proteine in ingresso/uscita. I due metodi non forniscono gli stessi risultati, in quanto valutando i fattori di perdita si avrebbe una percentuale di proteine inferiore rispetto a quanto ottenuto col metodo del bilancio. Vari organismi, associazioni e commissioni hanno provato a definire quale sia il fabbisogno di proteine per un essere umano: ci hanno provato in molti dalla FAO all’Organizzazione mondiale della sanità.
Per essere prudenti, si è preso un valore “sicuro” di 80 mg di azoto per chilogrammo di peso corporeo (3,4 N/Kal) e si è aumentato del 30% per tener conto delle variazioni individuali.
Si può anche aumentarlo in situazioni particolari: periodi di allenamento, di gravidanza, fasi della vita in cui si ha una crescita in statura, eccetera. In ogni caso, il bisogno di proteine tipico di una persona normale dovrebbe aggirarsi sul grammo o grammo e mezzo per chilogrammo di peso.
Una persona di 75 Kg, potrebbe aver bisogno di una quantità di proteina che vanno dai 50 agli 80-100 grammi a seconda delle circostanze. (Ad esempio: Per una persona di 75 Kg, si calcola 75 x 0,8gr = circa 60 grammi).Notate che queste proteine sono contenute nella quasi totalità dei cibi (in pratica potete togliere solo l’alcool e pochi altri alimenti...). Si può ragionevolmente pensare che una persona normale possa aver bisogno di circa 100 grammi al giorno di proteine. In certe condizioni morbose, la richiesta può essere superiore, e da studi fatti si vede che in certi casi il bilancio di azoto può divenire positivo solo al di sopra di 1,5 grammi per chilo, ovvero anche oltre i 100 grammi per persone di 75-80 chili.
Vi è qualcuno che ritiene di dover “pompare” l’assunzione di proteine in situazioni di allenamento intenso e pesante, raggiungendo un introduzione di proteine per diversi ettogrammi. Si tratta di una precauzione che in genere è priva di grandi controindicazioni, come del resto è non vi è alcuna prova scientifica che serva a qualcosa. Anzi, se mai vi sono degli studi che paiono dimostrare che questo incrementare la somministrazione di proteine con integratori dietetici non faccia altro che caricare i reni di lavoro: si è visto che aumentando l’introduzione di azoto in modo da fargli aumentare la sua proporzione rispetto agli altri componenti dell’alimentazione (zuccheri e grassi) non fa altro che aumentare solo la sua eliminazione con le urine. Questo aumento proporzionale è proprio quello che si ha quando si introducono integratori a base di sole proteine, o amminoacidi che (come detto) sono i mattoni con i quali esse sono costruite.

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Malattie alimentari

12/11/2010

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Sono i batteri patogeni presenti nell'organismo umano, negli animali e, più in generale, nell'ambiente i responsabili dell'alterazione microbiologica degli alimenti. Alcune volte utili, come quelli che regolano i processi enzimatici e digestivi, i microrganismi risultano talvolta dannosi e compromettono la salubrità di un alimento fino a farlo diventare nocivo per la salute, anche attraverso la produzione di tossine.
Il consumo di alimenti contaminati da microrganismi o tossine batteriche può determinare malattie alimentari. Ne esistono due forme:

intossicazione: è dovuta a sostanze tossiche presenti negli alimenti. Tali sostanze possono essere di origine chimica (metalli pesanti, diossine, ecc.) di origine biologica (micotossine e tossine algali) o di origine microbiologica (botulino, staffilococco, ecc.);

infezioni: si manifestano quando il microrganismo sopravvive in un alimento per un certo tempo per moltiplicarsi poi nell'organismo umano determinando la malattia.

La tossinfezione alimentare è una sindrome morbosa a carattere gastroenterico acuto e con sintomi di avvelenamento, provocata dall'ingestione di alimenti contaminati da microrganismi patogeni o dalle loro tossine. Esistono forme vive di batteri, ma i microbi possiedono anche la capacità di rinchiudersi in una spora, una capsula resistente ove rimangono in uno stato di "non vita" anche per diversi anni, per rivitalizzarsi in un ambiente favorevole alla loro crescita. L'azione di questi germi invisibili non è sempre riconoscibile: infatti, mentre alcuni microbi attraverso i loro enzimi alterano le caratteristiche organolettiche e la consistenza di un alimento, altri non determinano modificazioni evidenti, anche nella fase di massima virulenza. Si deve anche precisare che la sola presenza di batteri patogeni non è sempre in grado di determinare la tossinfezione, ma è necessario che la carica microbica nell'alimento sia elevata; se il cibo è contaminato da pochi germi, un individuo sano può sopportarli senza conseguenze, grazie alle proprie difese organiche. Possono essere suscettibili di infezione persone a rischio (anziani, bambini, immunodepressi).

Le malattie alimentari si manifestano solitamente con disturbi gastrointestinali il cui periodo di incubazione varia da poche ore ad alcuni giorni; spesso le patologie si risolvono in breve tempo senza conseguenze, a volte però esse determinano forme cliniche gravi e anche letali. Per questo, nel caso di un sospetto di sintomatologia di malattia alimentare, occorre subito consultare il proprio medico o il più vicino Pronto Soccorso per stabilire la gravità del male e predisporre tempestivamente la cura: una precisa diagnosi può essere formulata dal medico sulla base delle manifestazioni cliniche, ma soprattutto grazie alla ricerca dell'agente patogeno nelle feci o nell'alimento consumato.Le malattie alimentari maggiormente patogeni sono:

Tossinfezione da salmonella: La salmonellosi umana può essere causata da un'elevata carica di salmonelle presenti soprattutto negli alimenti di origine animale, come uova e carni crude macellate, disturbi gastrointestinali, come vomito o diarrea, possono determinarsi in un periodo da 6 ore a 2-3 giorni per effetto del consumo dell'alimento contaminato e si accompagnano a febbre ed elevata debilitazione.Nella gran parte dei casi la guarigione è completa, ma il soggetto può rimanere portatore convalescente di salmonella o anche portatore cronico attraverso le feci.

Tossinfezione da staphylococcus aureus: E' diffuso nell'ambiente attraverso il corpo umano, in quanto è frequentemente presente sulla cute e sulle mucose dell'uomo e quindi anche di coloro che manipolano gli alimenti, isintomi compaiono tra le 2 e le 6 ore dopo il consumo dell'alimento e si manifestano con nausea, vomito, diarrea e crampi senza febbre. La malattia guarisce spontaneamente, ma il soggetto può rimanere a lungo portatore sano.

Tossinfezione da Clostridium botulinum: I primi sintomi, solitamente, seguono di un paio di giorni l'ingestione, ma compaiono anche più tardi e, se non si interviene in modo tempestivo, possono comportare anche la morte per paralisi respiratoria.

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    Autore

    Dott. Ignazio Madonia
    Dietista

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